I Gracchi


I Gracchi, Tiberio e Caio.
I Gracchi, Tiberio e Caio.

In seguito alle sue grandi vittorie, Roma, oltre ad avere conquistato molti territori, ottenne anche grandi ricchezze, ma proprio questa grande prosperità fu inizialmente causa di numerosi problemi, portando grande discordia tra gli stessi Romani.
Il popolo ben presto si rese conto che le ricchezze non venivano divise equamente, e proprio questo fu la causa che determinò la nascita di partiti opposti che, scontrandosi tra di loro, diedero vita ad un periodo di grande tensione politica e civile. Le conquiste ottenute trasformarono di fatto la società romana.
In una parte della popolazione si concentrarono così nuove enormi ricchezze, nell’altra invece, molti si impoverirono; molti cittadini di Roma si trovarono così a vivere nel lusso più sfrenato, mentre altri si ritrovarono nella miseria più cupa.

In questo difficilissimo contesto si innestano I fratelli Gracchi. Essi furono infatti importanti figure politiche di quei tempi, dalla parte dei populares della Repubblica romana, e facevano parte della Gens Sempronia di stirpe plebea.
Tiberio Sempronio Gracco (162 circa 133 a.C.) , fu tribuno della plebe. Cresciuto con il fratello Caio, a soli diciassette anni partecipò alla presa di Cartagine e a venticinque prestò servizio come questore in Spagna affiancato al console Mancino. Tiberio, in quel frangente, riuscì nel difficile compito di ottenere la liberazione dell’esercito romano catturato dagli abitanti di Numanzia.
Da allora ebbe inizio la sua attività politica, con un programma che si fondava principalmente sulla sua personale esperienza della miseria delle campagne d’ltalia, sulla convinzione che le fortune dello Stato Romano dipendevano in gran parte dalla ricostituzione della piccola proprietà e della classe media contadina e dal ripristino del potere del popolo.
Eletto tribuno nel 133 a.C., propose una riforma agraria, nota come Lex Sempronia I, che, ricollegandosi alle leggi Liciniae-Sextiae, disponeva che i possessori dell’agro pubblico consegnassero soltanto cinquecento iugeri per sé e duecentocinquanta per ogni figlio maschio (fino a un totale di 1.000 iugeri) che il resto venisse distribuito fra i nullatenenti in porzioni di trenta iugeri, sotto il controllo di una commissione di triumviri, e che per il miglioramento dei poderi vi fosse un indennizzo corrispondente.
Il Senato rifiutò e così Tiberio presentò la proposta ai comizi tributi; in questa occasione un tribuno di nome Ottavio, pose il veto e di conseguenza Tiberio ne fece votare l’immediata destituzione dall’assemblea stessa come organo popolare sovrano, con il risultato dell’approvazione immediata della legge.
Per l’ attuazione di quella legge si associarono a Tiberio anche il fratello Caio e il suocero Appio Claudio e, quando si trovò ad aver bisogno di reperire i fondi per le aziende agricole dei nuovi piccoli proprietari, non esitò a chiedere all’assemblea di usare per tale scopo i beni lasciati in eredità al popolo romano dal Re del regno di Pergamo, Attalo III.
Tale richiesta suscitò una violenta opposizione, che si accrebbe quando egli, nel timore che allo scadere della sua carica, la riforma venisse bloccata, pretese, contro la consuetudine, di essere rieletto tribuno anche per l’anno successivo.
Fu conveniente, e in qualche modo semplice per i suoi avversari politici credere e far credere che Tiberio Gracco mirasse alla tirannide. Il Senato nell’immediato non emise contro di lui provvedimenti, ma nel giorno delle elezioni un gruppo di nobili, capitanati da Scipione Nasica, si scontrarono con lui e con i suoi seguaci prima nel Foro e poi sul Campidoglio.
Nella zuffa che ne scaturì Tiberio Gracco rimase ucciso con trecento uomini a lui fedeli e il suo corpo fu gettato nel Tevere.

Complesso scultoreo raffigurante i fratelli Gracchi con la madre Cornelia.
Complesso scultoreo raffigurante i fratelli Gracchi con la madre Cornelia.

Caio Sempronio Gracco (154 circa 121 a.C.), continuò l’opera riformatrice del fratello Tiberio con maggior concretezza e una più ampia visione dei problemi.
Come sopra ricordato fu membro del triumvirato per l’attuazione della Lex Sempronia I, e nel 126 a.C. venne inviato come questore in Sardegna, da dove ritornò nel 124 a.C. con l’intento di conseguire il tribunato, che ottenne per il 123 e poi per il 122 a.C..
I due tribunati furono intensi e occupati da un’ attività legislativa che mirava ad abbattere il predominio dei nobili con l’inserire nello Stato le forze popolari, la classe dei cavalieri e gli Italici, in più si proponeva di risolvere la crisi economica e sociale deducendo nuove colonie, con l’assistenza pubblica e l’organizzazione di grandi lavori stradali.

Ancora sotto lo stimolo di vendicare il fratello, Caio Gracco ottenne con due plebisciti l’esclusione perenne dalle altre cariche dei magistrati destituiti e l’invalidità delle condanne senza l’appello al popolo, e con una legge agraria conosciuta come Lex Sempronia II, ottenne la vendita sottocosto del grano ai nullatenenti e con quella “de coloniis deducendis” lo sfollamento dalla capitale dei proletari e dalle campagne dei braccianti disoccupati, mediante la fondazione di colonie.
Ad accrescere l’importanza economico-politica dei cavalieri, Caio provvide con la concessione in appalto del tributo della provincia d’Asia e con il loro inserimento nelle giurie dei tribunali permanenti che trattavano soprattutto cause di concussione, in numero doppio dei senatori. Con la determinazione della procedura nelle elezioni dei comizi tributi e nella assegnazione delle province l’opera rivoluzionaria poteva dirsi terminata.

Mancava ora la riforma più difficile, ovvero la concessione della cittadinanza agli Italici. Caio nel maggio del 122 a.C. fece la proposta di assegnare la cittadinanza romana ai Latini e lo status di Latini agli Italici, e fu la sua rovina. L’opposizione al suo disegno di legge trovò concordi il Senato, e pressoché tutta la plebe egoisticamente gelosa dei propri privilegi ottenuti fino a quel momento.
I nobili aizzarono contro Caio Gracco il collega Livio Druso che praticava la politica demagogica delle grandi promesse e il triumviro Papirio Carbone che proclamava come “opera invisa agli dei”, la deduzione di una colonia a Cartagine. Caio perse in questo modo molta della sua popolarità e non fu rieletto quando pose la candidatura per un terzo tribunato.
Il giorno in cui Caio si presentò in Campidoglio per difendere dinanzi all’assemblea del popolo la relativa legge scoppiò un grave tumulto tra le parti in disaccordo, costringendo Il Senato a proclamare lo stato di emergenza. Caio si ritirava così con i suoi fedeli sull’Aventino dove venne subito attaccato dalle truppe del console Opimio, e come si vide sopraffatto, fuggì al di là del Tevere dove, secondo la tradizione più accreditata, si fece uccidere da un servo nel bosco delle Furie. Con lui perirono, vittime di una repressione feroce circa tremila cittadini.

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