Il Garum

Al tempo dei romani la cena era senza dubbio il pasto più rilevante dell’intera giornata, a causa della lunghissima durata dei banchetti, che spesso duravano fino a notte inoltrata, si susseguivano uno dopo l’altro i più svariati piatti a base di carne o di pesce, formaggi di vario tipo e frutta. C’era però un ingrediente che condiva ogni pietanza, il Garum.

Il Garum per gli antichi patrizi romani era il condimento per eccellenza e veniva utilizzato e commercializzato su larga scala in tutto l’Impero. Paragonandolo ai nostri giorni si potrebbe affermare che il Garum venisse usato esattamente come noi oggi utilizziamo la maionese o il ketchup, ma il sapore che forse più si avvicina alla suddetta salsa è quello della pasta di acciughe, la differenza è solo economica, non bisogna dimenticare infatti che il Garum era una salsa molto ricercata e di conseguenza molto costosa. L’odore non era per nulla invitante, tanto è vero che miele e mosto fresco venivano impiegati proprio per renderlo più sopportabile.  Per la conservazione si utilizzavano invece delle piccole anfore. La qualità di Garum più costosa era senza dubbio quella chiamata “flos floris”, il cui colore scuro era dovuto alla presenza di sangue di tonno. Inoltre, il garum era fondamentale come sostituto del sale e per cuocere funghi, uova, carne e tartufi.

Ma come veniva fatto il Garum? sicuramente la ricetta e la preparazione farebbe storcere il naso a molti, ma in antichità veniva considerata una vera prelibatezza.

Fabbrica di Garum di Baelo Claudia, nel sud della Spagna.
Fabbrica di Garum di Baelo Claudia, nel sud della Spagna.

Il Garum, preparazione:

La preparazione della salsa, detta anche “liquamen” ci viene tramandata da vari scrittori dell’epoca, tra i quali Marziale e Plinio il vecchio, il procedimento consisteva nell’estrarre interiora di vari pesci come ad esempio sgombri, triglie e acciughe, e disporle in un recipiente, seguiva poi una adeguata salatura dopo di che veniva il tutto esposto al sole ad essicare. Occorreva poi mescolare di tanto in tanto il contenuto e quando si fosse ritenuto che il tutto fosse pronto, veniva immerso nel recipiente una sorta di setaccio, quello che filtrava dal setaccio, il liquamen, veniva raccolto, mentre quello che rimaneva all’interno del setaccio veniva chiamato “allec”. Marziale ci spiega nel dettaglio:

“Si usino pesci grassi come sardine e sgombri cui vanno aggiunti, in porzione di 1/3, interiora di pesci vari. Bisogna avere a disposizione una vasca ben impeciata, della capacità di una trentina di litri. Sul fondo della stessa vasca fare un alto strato di erbe aromatiche disseccate e dal sapore forte come aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe, zafferano, origano. Su questo fondo disporre le interiora e i pesci piccoli interi, mentre quelli più grossi vanno tagliati a pezzetti. Sopra si stende uno strato di sale alto due dita. Ripetere gli strati fino all’orlo del recipiente. Lasciare riposare al sole per sette giorni. Per altri venti giorni mescolare sovente. Alla fine si ottiene un liquido piuttosto denso che è appunto il garum. Esso si conserverà a lungo”.

Se un tempo veniva usato un pesce chiamato garos, ai tempi di Plinio il vecchio, ovvero nel I secolo a.C., si usavano gli sgombri, che, da come ci viene riferito, non avevano altri usi oltre la produzione della salsa di pesce di prima qualità. La notizia di questa intensa pesca, produzione e commercio di garum ci è confermata anche dal geografo greco Strabone, che infatti riferisce :

“Vi è poi l’isola di Ercole appena dietro Cartagine, che è detta Sgombraria per la cattura degli sgombri, dai quali si ricava il garum migliore…”.

Questa industria costituiva una ricca fonte di guadagni specialmente per quelle città che si trovavano nei pressi dello stretto di Gibilterra, che intercettavano gli sgombri che entravano nel Mediterraneo dall’Atlantico: sulle coste della penisola iberica e del Marocco sono ancora oggi visibili resti di fabbriche di garum, e specialmente dei grandi recipienti seminterrati in terracotta, detti dolia, in cui avveniva la macerazione del pesce.

Nel corso della storia, nonostante la caduta dell’Impero e del cambio di molte abitudini alimentari, il garum non è sparito dalle preparazioni culinarie, anzi, si può ben dire che diverse sue varianti abbiano continuato a condire le pietanze di mezza Europa per diversi secoli, ci sono testimonianze di un suo utilizzo sulle tavole della Francia del ‘500, e ancora oggi  esiste una salsa che può definirsi la vera discendente della ghiottoneria per eccellenza dei Romani, la salsa “nuoc-mam” originaria del Vietnam, a base di succo di limone e salsa di pesce. Per rimanere entro i patri confini, una salsa dal sapore forte e lontana parente del Garum romano la possiamo trovare in Campania, per la precisione a Cetara, celebre per la sua colatura di alici.

9 Risposte a “Il Garum”

  1. Un grande affresco sugli usi e costumi della antica Roma. Particolarmente interessante la logistica delle comunicazioni indispensabile per la strategia di guerra come si evince anche nella nostra epoca. Bravo Gianluca

  2. Descrizione interessante, ho avuto il piacere di leggerla assieme a mio padre dopo aver parlato con lui del garum.
    Plinio il Vecchio però è vissuto nel I secolo d.c. (Questa è una precisazione di mio padre).
    Piacevolissimo e curioso articolo

  3. Mi permetto di segnalare che la citazione non è del Marziale poeta ( I sec.), ma di Quinto Gargilio Marziale (III sec.).

  4. Mi permetto di segnalare che la citazione non è del Marziale poeta ( I sec.) ma di Quinto Gargilio Marziale (III sec.). Non specificandolo si pensa invece subito al prima, inevitabilmente.

  5. Mi permetto di segnalare, però, che la citazione non è del Marziale poeta ( I sec.) ma di Quinto Gargilio Marziale (III sec.). Non essendo specificato, il lettore penserà invece al poeta, inevitabilmente.

  6. Mi permetto di segnalare, però, che la citazione non è del Marziale poeta (I sec.) Ma di Quinto Gargiulo Marziale (III sec.). Non specificandolo, il lettore sarà inevitabilmente portato a pensare al poeta.

  7. Mi permetto di segnalare, però, che la citazione non è del Marziale poeta (I sec.), ma di Quinto Gargilio Marziale (III sec.). Non specificandolo, il lettore sarà inevitabilmente portato a pensare al poeta.

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