La battaglia di Alesia

Alesia si trovava nel cuore della Gallia
Alesia si trovava nel cuore della Gallia
La battaglia di Alesia si svolse nell’anno 52 a.C. nel cuore della Gallia transalpina, tra l’esercito romano guidato da Gaio Giulio Cesare e le tribù galliche guidate da Vercingetorige, capo degli Arverni, nell’ambito delle campagne militari a conquista della Gallia. L’esito finale della battaglia fu favorevole ai Romani che, al termine dello scontro, poterono annettere i nuovi territori alla provincia della Gallia Narbonense. Cesare, con la scusa di dover impedire che la tribù degli Elvezi attraversasse la Gallia e si stabilisse in una posizione non gradita per Roma, ad occidente dei suoi possedimenti della provincia narbonense, si intromise negli affari interni di queste genti. Una ad una tutte le popolazioni della Gallia furono sconfitte dal proconsole romano a iniziare da quelle della Gallia Belgica, per poi spingersi fino a sottomettere quelle della costa atlantica, fino all’Aquitania.

I primi focolai di rivolta si ebbero negli anni 52-53 a.C. quando alcune popolazioni galliche si sollevarono e uccisero numerosi coloni romani nella città di Cenabum (Orleans), altri delitti simili si consumarono ai danni di mercanti e altri coloni negli altri centri abitati principali. Cesare informato prontamente di ciò che accadeva, radunò rapidamente alcune coorti di legionari e partì alla volta della Gallia, superando le Alpi ancora innevate. Cesare ricongiunse il suo esercito ad Agendico, dove stavano di stanza altri soldati a presidio della zona, poi ne affidò una parte al suo generale Tito Labieno che mandò a combattere le tribù del nord, riservandosi per lui la parte più complicata, ovvero andare a caccia di colui che stava fomentando le ribellioni in tutta la regione, il Re degli Arverni Vercingetorige. Cesare riuscì nell’impresa individuando il nemico nella città di Gergovia, che immediatamente assediò,.
Lo scontro fra i due eserciti fu molto cruento e seppur di poco i Galli prevalsero, mettendo in fuga i legionari romani che vista la situazione preferirono ripiegare sul quartier generale di Agendico, dove Cesare riunificò nuovamente l’esercito con Tito Labieno. Forti di questo parziale successo, i Galli iniziarono le trattative per riunirsi e formare una forte e ampia coalizione in grado di ricacciare al di la delle Alpi i militari romani, un concilio generale tenutosi a Bibracte stabilì che a capo di questa coalizione ci dovesse essere Vercingetorige.
Fu dopo uno scontro tra le cavallerie dei Galli e dei Romani, dove i Galli ebbero la peggio, che Vercingetorige si convinse a dirigersi verso la rocca di Alesia, punto strategico e inespugnabile……non per Cesare e i picconi dei suoi legionari, come vedremo.

Le cifre esatte degli uomini schierati dai Galli probabilmente non le sapremo mai, ma basandoci sui racconti che Giulio Cesare ci scrive sul suo “De Bello Gallico” possiamo stimare una cifra attorno alle 80.000 unità per i Galli assediati e una cifra ben 240.000 uomini facenti parte dell’esercito della coalizione che giungeva in soccorso di Alesia, bisogna comunque tenere presente che le fonti sono unicamente di parte romana e quindi probabilmente propagandistiche per aumentare la grandezza della vittoria. I romani invece schieravano undici legioni dirette da Cesare e dai suoi validissimi legati Tito Labieno, Marco Antonio e Gaio Trebonio.

La scelta di rifugiarsi nella rocca di Alesia si rivelò per Vercingetorige una trappola, al contrario di quanto era successo a Gergovia, poiché le imponenti opere di assedio costruite dall’esercito di Cesare riuscirono a bloccare del tutto i rifornimenti agli assediati e neppure l’arrivo dell’esercito della coalizione gallica poté salvare il Re degli Arverni e la sua armata dalla resa finale. Per prima cosa Cesare fece scavare una fossa (ad occidente della città di Alesia, tra i due fiumi Ose e Oserain) profonda circa sei metri, con le pareti dritte in modo che il fondo fosse tanto largo quanto distavano i margini superiori. Ritirò, quindi, tutte le altre fortificazioni a seicento metri da quella fossa ad occidente. A questo punto, fu costruito, in sole tre settimane, la prima “circonvallazione” di quindici chilometri tutto intorno alla rocca nemica e, all’esterno di questo, per altri quasi ventun chilometri , la “controvallazione” esterna, Le opere quindi comprendevano, due valli (uno esterno ed uno interno) sormontati da una palizzata, la cui altezza totale era di tre metri e mezzo; due fosse larghe quattro metri e mezzo e profonde circa uno e mezzo lungo il lato interno, dove la fossa più vicina alla fortificazione fu riempita con l’acqua dei fiumi circostanti, trappole e profonde buche per limitare le continue sortite dei Galli, che spesso e volentieri disturbavano i cantieri Romani; un migliaio di torri di guardia equidistanti a tre piani (a venticinque metri circa, l’una dall’altra), presidiate dall’artiglieria romana; ben ventitré fortini, nei quali di giorno e di notte erano posti dei corpi di guardia affinché i nemici non facessero improvvise sortite, quattro grandi campi per le legioni e quattro campi per la cavalleria, legionaria, ausiliaria e germanica.

Ricostruzione delle fortificazioni romane al parco archeologico di Alesia
Ricostruzione delle fortificazioni romane al parco archeologico di Alesia

Prima che i Romani terminassero la linea fortificata, Vercingetorige decise di lasciar partire, in piena notte, l’intera cavalleria, affinché ciascun cavaliere si recasse presso la propria nazione d’origine e chiedesse aiuto a chiunque fosse in età per poter combattere, distribuì poi per ogni uomo il bestiame che la tribù dei Mandubi aveva raccolto prima dell’inizio dell’assedio e, infine, ritirò l’intero esercito dentro le mura della città, preparandosi ad attendere gli aiuti esterni della Gallia per l’attacco finale. Anticipando questo rischio, Cesare aveva ordinato la costruzione di una seconda linea di fortificazioni, rivolta verso l’esterno. Lungo questa linea esterna, che si estendeva per quasi ventun chilometri, erano posti quattro accampamenti di cavalleria ed altrettanti per la fanteria legionaria. Questa serie di fortificazioni aveva lo scopo di difendere l’esercito romano quando fossero giunte le imponenti forze di soccorso dei Galli. I Romani si sarebbero così trovati nella condizione di essere assedianti ed assediati nello stesso momento.
Mentre Cesare proseguiva nelle opere d’assedio, all’interno della cittadella di Alesia le condizioni di vita cominciarono a farsi insostenibili, terminato infatti tutto il frumento, gli assediati si riunirono a consulto per decidere sul da farsi, stabilendo che la popolazione non più adatta alla guerra come vecchi o bambini uscissero dalla città sperando nella clemenza del generale romano, risparmiando così cibo. Cesare in quel frangente fu spietato, e nonostante le suppliche di quelli fuoriusciti da Alesia, li lasciò morire di stenti, dando un ulteriore colpo al morale già basso degli assediati. Fortuna volle che di li a poco il numeroso esercito della coalizione gallica sopraggiunse, ridando slancio e coraggio agli abitanti della città.

Il primo scontro armato si ebbe fra le cavallerie, e quella romana numericamente inferiore si battè con grande onore per un intero giorno senza che i nemici riuscissero a prevalere, riguardo allo scontro lo stesso Cesare scrive: “« …quelli che stavano nelle fortificazioni … facevano coraggio ai loro compagni con clamori ed urla… poiché si combatteva di fronte a tutti, nessuna azione coraggiosa o vile poteva essere nascosta, entrambi gli schieramenti erano incoraggiati ad avere comportamenti eroici, per il desiderio di gloria e per il timore dell’ignominia… ». Proprio quando il primo scontro sembrava risolversi in un sostanziale nulla di fatto, Cesare a sorpresa, inviò lungo un fianco dello schieramento gallico la cavalleria germanica, la quale riuscì non solo a respingere il nemico, ma a far strage degli arcieri che si erano mischiati alla cavalleria, inseguendone le retroguardie fino al campo dei Galli.
I Galli lasciarono passare un giorno, durante il quale tentarono di riorganizzarsi e usciti dal loro campo in silenzio a mezzanotte, si accostarono alle fortificazioni romane e, levato un grido per segnalare il loro attacco agli assediati di Alesia, attaccarono, con fionde, frecce e pietre, e iniziarono a scalare il vallo romano. I Romani, preparati a questo genere di attacchi, presero le posizioni assegnate e riuscirono a tener lontani i Galli, con fionde che lanciavano proiettili da una libbra, con pali, proiettili di piombo e macchine da getto come catapulte, baliste ed onagri. I legati Marco Antonio e Gaio Trebonio, cui era toccato il compito di difendere quella parte, mandavano truppe tolte ai fortini più lontani in soccorso di quelle posizioni sotto l’attacco delle truppe galliche. A causa dell’oscurità i feriti e le vittime furono molte da entrambi gli schieramenti, ma non appena si fece giorno i romani presero il sopravvento, grazie anche al tiro delle macchine da getto, che dalle torri riuscivano a ed essere estremamente precise.

Ricostruzione degli ostacoli a guardia delle fortificazioni romane
Ricostruzione degli ostacoli a guardia delle fortificazioni romane

Respinti per ben due volte con grandi perdite di vite umane, l’esercito di soccorso dei Galli decise, dopo aver eseguito una ricognizione delle posizioni difensive romane, di attaccare il campo che sorgeva in una posizione leggermente sfavorevole in leggero pendìo, ai piedi di un colle, che a causa della sua ampiezza non era stato inglobato nella linea fortificata romana. Questo campo era stato affidato ai legati legionari Gaio Antistio Regino della undicesima legione e Gaio Caninio Rebilo a capo della prima legione. Il consiglio di guerra gallico decise di selezionare sessantamila fanti tra i più valorosi e di sferrare un attacco a sorpresa nel punto da loro considerato più debole dello schieramento romano, affidandone il comando all’arverno Vercassivellauno, cugino di Vercingetorige. Come stabilito, Vercassivellauno mosse la sua armata verso il campo di Regino e Caninio, mentre contemporaneamente dal grande campo gallico dell’esercito di soccorso veniva inviata tutta la cavalleria ed altri reparti di truppe nella piana, di fronte alle fortificazioni romane, sempre Cesare a riguardo ci dice: « Le forze romane si dividevano per tutta l’ampiezza della linea fortificata e non facilmente riuscivano a fronteggiare il nemico in più luoghi contemporaneamente. I Romani erano altresì terrorizzati dal grido che si alzava alle loro spalle mentre combattevano, poiché capivano che il pericolo dipendeva dal valore di coloro che proteggevano le loro spalle: ciò che non si vede infatti turba maggiormente le menti degli uomini. »

Era lo scontro che avrebbe deciso le sorti di tutta la guerra, Vercingetorige sapeva bene che se l’esercito gallico non fosse riuscito nell’impresa di sfondare le fortificazioni romane, lui e tutta la Gallia avrebbero dovuto abbandonare ogni desiderio di libertà, e anche Cesare era al corrente che se i suoi legionari avessero vinto, avrebbero posto fine a tutte le sofferenze che la guerra reclama. Torniamo alla battaglia; la situazione per i romani era veramente complicata, la lunga ampiezza delle fortificazioni non permetteva un’adeguata e pronta difesa,Cesare in persona si mosse lungo tutto il percorso esortando i propri soldati al valore, tamponando con forze più fresche nei punti più critici, dove i galli provocavano maggiori vittime, anche in questo frangente Cesare ci aiuta raccontando che: ” Riconosciuto Cesare per il colore del suo mantello, che portava come un’insegna durante i combattimenti… i Romani, lasciati i pilum, combattono con la spada. Velocemente appare alle spalle dei Galli la cavalleria romana, mentre altre coorti si avvicinano. I Galli volgono in fuga. La cavalleria romana rincorre i fuggiaschi e ne fa grande strage. Viene ucciso Sedullo, comandante dei Lemovici; l’arverno Vercassivellauno viene catturato durante la fuga; vengono portate a Cesare settantaquattro insegne militari. Di così grande moltitudine pochi riuscirono a raggiungere il campo e salvarsi… Dalla città, avendo visto la strage e la fuga dei compagni e disperando della salvezza, ritirano l’esercito in Alesia. Giunta questa notizia, i Galli del campo esterno si danno alla fuga… Se i legionari non fossero stati sfiniti… tutte le truppe nemiche avrebbero potuto essere distrutte. Verso mezzanotte la cavalleria, mandata all’inseguimento, raggiunse la retroguardia nemica. Un grande numero di Galli fu preso ed ucciso, gli altri si disperdono in fuga verso i loro villaggi. ». La vittoria di Cesare e dei romani era totale e lampante.

Il giorno dopo la battaglia Vercingetorige rimetteva la sua vita nelle mani dell’assemblea cittadina era disponibile sia a morire, sia ad essere consegnato quale preda di guerra a Cesare. Furono, quindi, inviati ambasciatori al proconsole per trattare le condizioni della resa. La risposta non si fece attendere: Cesare stabilì che si dovevano consegnare tutte le armi e presentare i capi della rivolta. Il proconsole romano, che aveva fatto porre il proprio seggio davanti alle fortificazioni, accolse la resa dei capi galli e la consegna del comandante sconfitto. La fine di Alesia segnò la fine della resistenza della Gallia unita. I soldati di Alesia furono fatti prigionieri e in parte assegnati in schiavitù ai legionari di Cesare come bottino di guerra, tranne ventimila armati facenti parte delle tribù degli Edui e degli Arverni, che furono liberati per salvaguardare l’alleanza dei due più importanti popoli gallici con Roma. In quanto a Vercingetorige fu rinchiuso nel Carcere Mamertino e nei sei anni successivi rimase nell’attesa di essere esibito nel trionfo di Cesare, per poi essere strangolato una volta terminata la processione, come era tradizione per i comandanti nemici catturati.
la Gallia andò via via romanizzandosi attraverso la costruzione di nuove città, strade ed acquedotti, dando vita a quella cultura gallo-romana assimilata anche dai Franchi, secoli dopo, e su cui germoglierà il Sacro Romano Impero di Carlo Magno.

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