La Caduta di Cartagine

La caduta di Cartagine rappresenta l’atto conclusivo della terza guerra punica, iniziata nel 149 a.C. e terminata tre anni più tardi con la distruzione della città stessa, per opera dei legionari del generale romano Scipione Emiliano.

La Caduta di Cartagine, antefatto:

Gli accordi che obbligavano Cartagine ad interpellare Roma nel caso si palesasse una guerra, vennero infranti, in quanto la capitale punica, stanca delle continue provocazioni del vicino regno di Numidia governato da Massinissa, decise di dare battaglia, provocando la rabbia romana.

Da anni ormai i senatori di Roma erano divisi riguardo Cartagine, vi era infatti una frangia più attendista che sosteneva la pace e che Cartagine non rappresentasse più una minaccia, e vi era una frangia più oltranzista che invece sosteneva che i punici, avendo già pagato i tributi delle guerre passate e avendo sistemato la loro economia, si stavano rinforzando tornando ad essere un pericoloso nemico. Il senatore più rappresentativo di questa ala interventista era Catone il Censore, che, si dice, terminasse ogni suo discorso con la frase “Ceterum censeo Carthaginem esse delendam!” , ovvero “Per il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta!”.

 

La Caduta di Cartagine
La Caduta di Cartagine

La Caduta di Cartagine, la battaglia:

A seguito della dichiarazione di guerra cartaginese nei confronti del regno di Numidia, seguì quella di Roma contro Cartagine, così nel 149 a.C. l’esercito romano sbarcò in Africa. L’esercito di Roma, guidato dai Consoli Manlio Nepote e Lucio Marcio Censorino, pose immediatamente il proprio campo presso la città di Utica che subito si arrese. Cartagine cercando di minimizzare i danni dall’aver perso una importante roccaforte, finse di rimettersi al volere romano fornendo ostaggi e materiale bellico, nient’altro che una mossa per guadagnare tempo.

I Consoli romani decisi sulla strada intrapresa si mostrarono irremovibili,  Lucio Marcio Censorino nello specifico intimò ai cartaginesi di uscire dalla città, e di trasferire le proprie abitazioni circa 15 chilometri più all’interno, lontano dal mare e distante dalle più importanti rotte commerciali. A questa richiesta seguì un categorico rifiuto, ottenendo viceversa il risultato di compattare anche le fazioni nemiche che verso Roma dimostravano una certa apertura. Fu a questo punto che i punici trucidarono tutti gli italici presenti in città, richiamarono in patria Asdrubale e altri esuli che in passato erano stati allontanati dalla città per compiacere i romani, liberarono gli schiavi per aiutarli nella difesa, e con la scusa di spedire una delegazione a Roma ottennero una sospensione di un mese delle operazioni belliche.

In questo tempo Cartagine rinforzò le mura, si riarmò utilizzando qualsiasi tipo di metallo, si stima che  i circa 300.000 abitanti riuscirono a produrre ogni giorno 300 spade, 500 lance, 150 scudi e 1.000 proiettili per catapulte, e che addirittura le donne offrissero i loro capelli per fabbricare corde per gli archi. Come se non bastasse il ritorno di Asdrubale permise di reclutare altri 50.000 soldati ben armati e ben addestrati.

Trascorso un mese quando i Consoli si mossero da Utica, la situazione era davvero complicata, le mura di Cartagine erano possenti e difese come non mai, in più il porto della città garantiva rifornimenti continui e abbondanti.

I romani tuttavia non si scoraggiarono, Manlio Nepote via terra portò i suoi soldati all’assalto delle mura della cittadella, mentre l’altro Console, Censorino, con la flotta tentava di bloccare il porto cartaginese. La battaglia era cominciata, i romani riuscirono quasi subito a provocare una breccia nelle mura nemiche, ma questa venne prontamente richiusa e al contrattacco dei difensori molti legionari persero la vita. Anche la flotta non aveva miglior fortuna, Asdrubale infatti rintuzzò ogni attacco.

In questi giorni difficili però, un giovane tribuno di nome Scipione Emiliano, si distinse fra tutti, riuscendo a catturare Imilcone, uno dei capi della cavalleria punica con i suoi 1.000 cavalieri.

L’anno successivo (148 a.C.) la guerra passò nelle mani dei nuovi Consoli, Lucio Calpurnio Pisone e Lucio Ostilio Mancino. In quell’anno i risultati furono ancora più magri per i romani, i due nuovi Consoli si rivelarono del tutto incapaci di condurre una guerra così difficile, venendo battuti in varie battaglie da soldati di città vicine accorse in aiuto di Cartagine.

Nel 147 a.C. pur non avendo ancora compiuti i 47 anni di età veniva eletto console Scipione Emiliano, che tanto si era fatto valere nel primo anno di guerra, come suo collega al consolato venne eletto Gaio Livio Druso. Con Scipione Emiliano il modo di condurre la guerra cambiò, a differenza dei suoi predecessori che si affannavano nel colpire le città che prestavano aiuto a Cartagine, egli preferì concentrarsi sulla capitale stessa, in quanto caduta quella le altre città avrebbero, secondo lui, smesso di resistere. Con una serie di operazioni mirate e decise Scipione respinse Asdrubale nei pressi del porto, dopo di che si affrettò a bloccare lo stesso con una diga alta tre metri. I Cartaginesi riuscirono solo momentaneamente a eludere il blocco mediante la costruzione di un tunnel, che però fu subito scoperto e presidiato dai romani.

Nel frattempo il legato Lelio affiancato da Golussa, figlio di Massinissa, si scontrava con i punici nell’importante quartiere di Nefari. Lo scontro fu cruento, la propaganda romana parla di circa 70.000 vittime, fatto sta che caduto il borgo di Nefari, le città che aiutavano Cartagine si arresero, lasciando così la capitale punica sola.

La Caduta di Cartagine: la distruzione:

L’agonia di Cartagine si protrasse per tutto l’inverno seguente, la popolazione soffriva la fame e lo sviluppo di una pestilenza fece numerose vittime. Scipione Emiliano sapeva che era solo questione di tempo e solo nel 146 a.C. lanciò all’assalto delle mura i propri soldati. Seguirono 15 giorni dove gli assediati, nonostante la fame e la malattia, si difesero strenuamente, i legionari dovettero combattere aspramente, casa per casa, per avere ragione del nemico.  Gli ultimi difensori punici assieme a un migliaio di disertori romani si arroccarono sull’acropoli   e riuscirono a resistere per altri otto giorni. I romani riuscirono a stanarli solo dando alle fiamme il tempio dentro al quale si erano rifugiati. Questa situazione di guerriglia che non favoriva certo i legionari addestrati a battagliare in campo aperto, stancava molto Scipione e i soldati stessi, al che il Console decise di emanare un bando nel quale si specificava che chiunque usciva dalla propria abitazione arrendendosi, avrebbe avuto la garanzia di avere salva la propria vita.  Circa 50.000 uomini accettarono la proposta, tra questi vi era anche il generale Asdrubale.

In quel frangente Scipione riuscì a recuperare numerose opere d’arte, predate dai cartaginesi in Sicilia anni prima, poi permise ai suoi soldati di abbandonarsi al saccheggio della città.  Cartagine fu completamente rasa al suolo, le sue mura abbattute, il suo florido porto distrutto, ogni abitazione o tempio venne dato alle fiamme. Come la tradizione ci riporta, al termine di tutto questo, i romani sparsero sale sulle rovine della città, a simboleggiare che più nulla doveva sorgere su quella terra, i 50.000 cartaginesi sopravvissuti ebbero effettivamente salva la vita, ma vennero tutti venduti come schiavi.

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