La Misura del tempo nell’antica Roma

A causa delle grandi imprecisioni del sistema di calcolo, la misura del tempo nell’antica Roma, non permetteva una precisa suddivisione in ore della giornata, ne una rigida suddivisione dei giorni che componevano l’anno.

La Misura del tempo nell’antica Roma, il calendario romano:

Dopo il 46 a.C., subito dopo la riforma giuliana, il calendario romano redatto prima da Giulio Cesare e poi da Augusto, presenta ancora oggi molte affinità con quello attuale, i mesi infatti hanno mantenuto nei secoli gli stessi nomi e  nel medesimo ordine, compreso febbraio per gli anni bisestili. Del vecchio ordinamento si conservavano: le calende (il primo giorno del mese), le none ( dal 5 al 7), e le famosissime idi (dal 13 al 15 di ogni mese). Con l’avvento dell’Impero, in base alle credenze astrologiche, si aggiunse la settimana di sette giorni, che nei nomi si rifacevano agli influssi dei sette pianeti che regolavano la vita dell’universo.Dione Cassio nel III secolo d.C. visto com’era stato fatto proprio quest’uso della settimana dalla coscienza popolare lo considerava propriamente romano tale che, tranne il cambiamento del giorno del Sole, dies solis (sunday,Sonntag) con quello del Signore, dies dominica, è sopravvissuto alla decadenza dell’astrologia e al prevalere della cristianità, sino ai nostri giorni nei paesi di origini linguistiche romane.

La Misura del tempo nell’antica Roma, le ore:

Ogni giorno veniva suddiviso poi in ore, ma, a differenza dei Babilonesi che ponevano l’inizio del giorno al sorgere del sole, e dei greci che invece consideravano il tramonto come inizio giornata, i romani, esattamente come noi oggi, consideravano l’inizio del giorno a metà notte, cioè mezzanotte. Le analogie con i tempi moderni però si fermano qui, perchè per i romani le ore rappresentavano una realtà molto diversa dalla nostra.  L’astrologo e matematico greco, Metone, nel V sec. a.C., aveva creato per Atene un quadrante solare consistente in una calotta di pietra, al centro della quale era collocato uno stilo, che al sorgere del sole creava un’ombra. In base a vari calcoli geometrici si ottenevano le “horae”,  segnate dalla posizione dell’ombra del sole nel suo cammino nel corso dell’anno all’interno del quadrante. Nasceva così “l’horologium”, il “contaore”  dei romani. Anche altre città greche vollero avere il proprio contaore, ma variando il cammino apparente del sole con la latitudine, l’ora variava da città a città e gli astronomi greci, avvertiti della difficoltà, fecero orologi adeguati alla posizione geografica. Non fu così per i romani  che solo due secoli dopo gli ateniesi sentirono la necessità di contare le ore e lo seppero fare con esattezza un secolo dopo aver cominciato. Nel IV sec. a.C., i romani dividevano semplicemente la giornata in due parti, cioè prima e dopo il mezzogiorno,  un messo dei consoli, nello specifico,  era incaricato di segnare il passaggio del sole al meridiano e annunziarlo al popolo. Ai tempi delle guerre contro Pirro le due mezze giornate iniziarono a loro volta ad essere ulteriormente divise: la prima metà venne suddivisa in mattina e antimeriggio, mentre la seconda parte veniva divisa in pomeriggio e sera.

La Misura del tempo nell'antica Roma
La Misura del tempo nell’antica Roma

La Misura del tempo nell’antica Roma, il primo Horologium:

Nel 263 a.C. all’inizio della prima guerra contro Cartagine, il console Manio Valerio Massimo Messalla, portò a Roma il bottino di guerra fatto in terra siciliana, tra le tante cose di valore vi era anche il quadrante solare collocato originariamente nella città di Catana (odierna Catania). Il console predispose il quadrante sul “comitium”, e da quel momento, come ci racconta Plinio il Vecchio, i romani presero a seguire l’orario catanese, anche se molto più verosimilmente continuarono con il vecchio uso di calcolare l’ora dall’altezza del sole disinteressandosi del quadrante solare proveniente dalla Sicilia. Solo nel 164 a.C. il censore Quinto Marcio Filippo, installò un “Horologium” apposito per Roma, certamente più preciso del precedente, suscitando grande riconoscenza fra la popolazione, Dall’acquisizione della Grecia i romani avevano iniziato a conoscere e ad apprezzare una cultura certamente più   raffinata, non che strumentazioni più evolute, fu così che i censori Publio Cornelio Scipione Nasica e Marco Popilio Lenate, affiancarono al quadrante solare di Marcio Filippo un orologio ad acqua, in grado di sostituirlo nelle giornate nuvolose oppure durante la notte. Da quel periodo in poi l’uso degli orologi solari si diffuse moltissimo e nelle dimensioni più variabili, si andava dall’enorme Horologium Augusti, fatto installare dallo stesso Imperatore nel campo di Marte nel 10 a.C.,  il cui gnomone oggi campeggia davanti a Montecitorio, a quelli portatili di dimensioni ridottissime (circa 3 cm), rinvenuti ad Aquileia. Con l’avvento dell’Impero, si moltiplicarono le richieste dalle classi più abbienti, per possedere nella propria abitazione un orologio ad acqua, da sfoggiare durante le occasioni importanti.  Clepsydrarii e organarii, facevano così a gara per accontentare le varie esigenze, nacquero così orologi ad acqua sempre più sofisticati e curiosi come per esempio quelli che ad ogni nuova ora segnata lanciavano in aria sassi o uova o addirittura emettevano lunghi fischi. Possedere un orologio del genere era segno di grande prestigio e ricchezza. I romani non potevano più fare a meno di consultare frequentemente l’ora: ma sbaglierebbe chi pensasse che essi fossero assillati, come noi, dalla scansione del tempo. Questo perché i loro strumenti di misurazione  erano ben lontani dalla precisione dei nostri. Poteva infatti accadere spesso che lo stilo non corrispondesse perfettamente alla latitudine del luogo e il corrispondente orario segnato dall’orologio ad acqua non teneva conto delle diverse misurazioni che avrebbe richiesto l’ora a seconda dei giorni dei diversi mesi. Per questo motivo, chi in Roma avesse chiesto che ora fosse si sarebbe sentito dare risposte tutte diverse.

Questa mancanza di precisione dipendeva dal fatto che, mentre era relativamente possibile accordare il quadrante solare con l’orologio ad acqua durante il giorno, per la notte quest’accordo non era possibile. Inoltre mentre le nostre ore sono composte di sessanta minuti di sessanta secondi ciascuno tutti uguali, nelle ore romane, mancando la divisione interna, ogni ora era diversa dall’altra a seconda che fosse diurna o notturna e a seconda di quali giorni dell’anno fosse stata misurata. Così ad esempio al solstizio d’inverno l’hora prima delle ore diurne andava dalle ore 7,33 alle ore 8,17; la stessa hora prima delle ore diurne nel solstizio estivo andava dalle 4,27 alle 5,42. Tutto ciò significava che, data l’estrema imprecisione delle ore romane, la vita quotidiana, anche intensa dei romani, era piuttosto flessibile nell’adempiere agli impegni presi, non risentiva della rigidità della scansione del tempo che caratterizza le nostre giornate e che piuttosto si regolava sulla disponibilità della luce a seconda delle stagioni: per cui nel tempo invernale, durando di meno la luce solare ci si dava da fare di più rispetto alle giornate estive quando le consuete attività potevano dilungarsi tranquillamente nel tempo avendo più luce a disposizione, infischiandosene dell’ora segnata dall’horologium o tenendone relativamente conto. La vita quotidiana si regolava sulla disponibilità della luce a seconda delle stagioni. In genere i Romani si alzavano molto presto per approfittare delle ore di luce, dato che l’illuminazione serale era piuttosto scarsa, affrettandosi ad uscire di casa per sbrigare i loro impegni.

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