La prima guerra servile

Statua di Euno a Enna.
Statua di Euno a Enna.

Svoltasi fra il 136 e il 132 a.C., la prima guerra servile vide contrapposti gli schiavi siciliani capeggiati da Euno e Cleone di Cilicia e l’esercito romano del console Publio Rupilio.
Nel 146 a.C., dopo la distruzione di Cartagine da parte di Scipione Emiliano, la Sicilia viveva un periodo di vertiginoso sviluppo economico grazie soprattutto alla ricchezza che le proveniva dall’esportazione dei suoi prodotti agricoli pregiati, grano e vino in primis. Questo stato di fatto aveva favorito la nascita di un ceto aristocratico benestante dedito al latifondismo della terra, ma anche allo sfruttamento delle numerose cave e miniere presenti nell’isola.
La vasta manodopera di cui necessitavano queste attività era facilmente reperibile a basso prezzo sui mercati di schiavi, ben forniti grazie alle guerre di conquista che Roma stava conducendo in quel periodo, soprattutto in Oriente.
In questo contesto entra in scena Euno, uno schiavo siriano del nobile aristocratico Antigono della città di Enna. Egli credeva di essere un profeta ed egli stesso raccontava di poter vedere il futuro: sostenendo inoltre che un giorno sarebbe diventato re. Fu così che nel 136 a.C., il ribelle siriano, alla guida di circa 400 schiavi, entrò nella città di Enna facendo strage di nobili. Questa azione diede il coraggio ad altri 6.000 schiavi della zona di ribellarsi e unirsi ad Euno, proclamandolo Re con il nome di Antioco. Le gesta del piccolo esercito arrivarono alle orecchie di un altro schiavo di nome Cleone, originario della Cilicia, che subito organizzò altri 14.000 uomini da unire al contingente di Euno. I romani tentarono subito di contrastare i ribelli, ma i primi scontri risultarono del tutto inutili, tant’è che nel primo anno di guerra i rivoltosi riuscirono a conquistare le importanti città di Catania e Tauromenium (odierna Taormina).
Nel 134 a.C., non essendo più i pretori in grado di arginare la guerra, venne inviato in Sicilia il console Gaio Fulvio Flacco, ma anche questo tentativo non impedì ad Euno di assediare Messana (Messina), alla guida di un esercito che ormai contava di quai 200.000 unità.
La riscossa romana iniziò proprio da questo episodio, quando l’altro console Lucio Calpurnio Pisone, alla guida di un forte esercito, sconfisse pesantemente i ribelli durante l’ultimo assalto alla città.
Nel 132 a.C., Euno e l’esercito ribelle veniva assediato a Taormina dal console Publio Rupilio, che dopo la fine delle ostilità sarebbe divenuto governatore della Sicilia. Gli schiavi riuscirono a difendersi a lungo, sopportando anche la fame, pare dandosi anche al cannibalismo, poiché sembra che si cibarono dapprima dei bambini, poi delle donne, e, quindi, gli uni degli altri, cedendo soltanto quando uno dei loro capi, Serapione, tradendo i compagni, lasciò prendere ai romani la roccaforte. Tutti gli schiavi catturati furono, come la legge romana stabiliva, torturati e poi uccisi. Poco dopo, anche la città di Enna, dove nel frattempo si erano rifugiati Euno e Cleone, cadde nelle mani dei romani, che catturarono e uccisero i due principali cospiratori. Diodoro Siculo ricorda che Euno venne imprigionato nell’antica città di Morgantina, che si era ribellata come Enna. Gli schiavi rimasti furono ben presto sconfitti. Circa 20.000 furono uccisi e gli altri furono ridotti in una condizione ancora più misera rispetto all’inizio della guerra. Inoltre venne promulgata la Lex Rupilia che portava il nome del nuovo governatore, che riorganizzava sul piano giuridico il rapporto tra le città siciliane e lo stato romano.
Sempre Diodoro Siculo, testimone storico autentico di quanto accadde, sostiene espressamente che la responsabilità di quanto accadde fu principalmente dovuta alla stoltezza e alla cecità dei padroni degli schiavi, ma anche alla presa di coscienza da parte di questi ultimi di quale sarebbe stata, comunque, la loro vita e che, quindi, era preferibile per loro tentare la sorte e vivere almeno per qualche tempo liberi e nell’abbondanza di cibo, piuttosto che ridotti in catene e destinati a rapida morte sicura.
Questi i presupposti che spiegano il divampare di violenze e stragi orribili, da un lato per vendicarsi dei padroni, dall’altro per ripristinare l’ordine pubblico a qualsiasi costo. Infatti, va ricordato che per la legge e la consuetudine romana era prassi della procedura criminale torturare gli schiavi ed infliggere loro esecuzioni capitali esemplari e crudeli, anche di massa, specie in caso di sedizione, come ad esempio la crocifissione.

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