La Religione Romana

Statua di Augusto nelle vesti di Pontefice Massimo
Statua di Augusto nelle vesti di Pontefice Massimo

La religione romana era politeista e fu influenzata sia dalle tradizioni religiose dei popoli abitanti la penisola italica come gli Etruschi, Sabini, Sanniti, Latini, sia, dopo la conquista della Grecia, dalla religione greca.

Una delle caratteristiche della religione romana fu quella di essere aperta nei confronti delle religioni di altri popoli, di cui spesso assimilò divinità, credenze e riti. La pax romana consisteva proprio in questo cioè rispettare le tradizioni religiose, politiche e sociali dei popoli conquistati e integrarle con la legge e la giurisdizione di Roma.
La religione aveva poi una funzione prevalentemente sociale e politica, per mezzo della quale tutti i sudditi erano chiamati a riconoscere ed onorare la potenza degli dei, grazie alla quale l’impero esisteva. Essa non affondava le sue radici nella coscienza degli uomini, non li aiutava nei momenti difficili, non consolava i loro dolori e non forniva speranze per questa e per l’altra vita, Riassumendo era meno attenta alle domande fondamentali dell’uomo, che ancora oggi si pone.

Lo stesso imperatore pretese col tempo di essere adorato come una divinità, e per questo assunse il titolo di pontefice massimo che, precedentemente, spettava al capo del collegio dei sacerdoti. Tale pretesa garantiva l’unità della pax romana perchè tutti i popoli sottomessi erano uniti nell’adorazione all’imperatore.
Durante l’impero, quindi, la religione ufficiale consisteva sostanzialmente in due culti; quello rivolto all’imperatore e quello delle tre divinità del Campidoglio, ovvero Giove, Giunone e Minerva.
C’erano però a disposizione del popolo, una serie di altri culti, credenze e dottrine che andavano a soddisfare le profonde esigenze della propria coscienza religiosa. Si seguivano antichi culti locali e alcuni culti importati dall’Oriente, come quello egizio di Iside e Osiride, quello asiatico di Cibele, la grande dea madre, e quello siriano di Mitra, il dio del sole.
Si può riassumere quindi che nella vita religiosa della repubblica romana prima e dell’Impero poi, il denominatore comune sia stata la continuità, lo stretto legame tra vita religiosa e vita politica infatti si conservarono immutati dall’età più antica fino al tardo impero.
Più che di attaccamento alla religione vera e propria possiamo parlare di sentimenti legati ai riti destinati a invocare la protezione divina.
I romani considerarono sempre il rapporto con il mondo divino essenzialmente come un contratto: il singolo individuo, o un gruppo familiare o sociale, o se vogliamo l’intera comunità, prestavano agli dei il culto dovuto ma si aspettavano in cambio, e a volte quasi pretendevano, il soddisfacimento delle loro invocazioni. La richiesta, doveva avvenire con un preciso formulario e con riti e sacrifici compiuti secondo un preciso e minuzioso rituale rimasto invariato attraverso i secoli.
L’esigenza della precisione nei riti e nei sacrifici potrebbe far pensare a numerosi interventi di personaggi particolarmente addetti a tali funzioni, invece a Roma non si costituì mai una casta sacerdotale chiusa, e i sacerdoti, che pure esistettero, si trovavano in una posizione al di sotto rispetto al potere politico, così come la religione, nel suo insieme, assumeva una funzione soprattutto sociale.

Nell’età monarchica era il Re che stava a capo della vita religiosa; con la repubblica invece la funzione venne ereditata dai consoli. Il controllo sulla sfera del sacro era esercitata dal collegio dei pontefici che aveva a capo il pontefice massimo che veniva scelto fra i cittadini più eminenti. Altri collegi sacerdotali comprendevano i flamini, addetti al culto di determinate divinità come ad esempio Giove, Marte, Quirino, gli àuguri, incaricati di leggere la volontà degli dei interpretandone alcuni segnali che potevano essere il tuono, il lampo o il volo degli uccelli; vi erano poi i Salii, che celebravano particolari riti in onore di Marte e le sei vergini Vestali che, in un tempio posto nel Foro, serbavano perennemente acceso il fuoco di Vesta, simbolo della grande famiglia comprendente l’intero popolo romano.

Edicola per l'adorazione dei Lari.
Edicola per l’adorazione dei Lari.

Vestali a parte, i sacerdoti non si occupavano del loro incarico come una professione unica ed esclusiva, ma erano cittadini impegnati in altre attività, private o pubbliche. Gli stessi magistrati prendevano le funzioni di sacerdoti nei principali atti di culto, così come il pater familias officiava, nella sua casa, il culto dei lari e dei penati.
Parte integrante del culto ufficiale era l’arte della divinazione grazie alla quale si poteva riconoscere e interpretare il volere degli dei attraverso alcuni segni apparentemente normali o insignificanti e che potevano essere palesi oppure non visibili. Gli etruschi, con i loro aruspici, praticarono l’osservazione dei fulmini e la consultazione del fegato degli animali immolati; i romani e altri popoli italici praticavano anche l’avispicio, cioè l’osservazione del volo degli uccelli da parte degli àuguri, proprio come fecero Romolo e Remo per stabilire chi dei due dovesse fondare la città eterna. Le autorità romane ebbero cura che l’aruspicina si mantenesse ad alto livello, al punto che nel II secolo a.C. il senato prescrisse con un decreto che le città etrusche, depositarie della tradizione più genuina, consegnassero ognuna dieci rampolli delle migliori famiglie perché potessero seguire gli studi specializzati. Sempre grazie ad un intervento statale si dovette a Roma la traduzione in latino dei libri sacri etruschi, ricordati ancora nel IV secolo d.C.

Grazie a http://guide.supereva.it/fantasmi/interventi/2010/08/la-religione-nellantica-roma

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