L’Abbigliamento nella Roma Antica

L’Abbigliamento nella Roma Antica si distingueva in due generi di indumenti, il primo erano gli “indumenta” che si indossavano sia di giorno che di notte, mentre il secondo erano gli “amictus” che a differenza dei primi, venivano indossati soltanto la notte.
Vediamo ora in dettaglio come era composto il vestiario maschile. Tra gli indumenti troviamo il subligaculum, una sorta di perizoma in lino annodato alla vita. Sopra veniva indossata semplicemente la toga, oppure una tunica, formata da due parti di stoffa cucite insieme, indossata in modo che, legata alla vita, la parte posteriore risultasse più lunga sino all’altezza delle ginocchia, mentre nella parte anteriore risultava più corta.
Proprio la tunica era forse l’indumento principale per i romani, in particolare durante l’età imperiale era d’uso indossarne addirittura due, una intima detta “subucula” e un’altra esterna detta “tunica exterior”.
Durante le stagioni più fredde i più freddolosi ne potevano indossare anche di più, è il caso dell’Imperatore Augusto, che come ci racconta Svetonio, arrivava a vestirne ben quattro sotto la toga, e siccome risultava particolarmente debole di salute, vi aggiungeva anche maglie di lana e fasce di stoffa che era solito avvolgersi attorno a braccia e gambe.
A differenza del “chitone” greco che era privo di maniche, le tuniche romane venivano confezionate con maniche all’avambraccio e i tessuti più comuni che venivano utilizzati erano la lana e il lino, ma dall’età imperiale, con l’espandersi dei commerci verso l’estremo oriente, non era inusuale, specialmente per i più abbienti, trovare tuniche in seta o cotone. Nelle zone più fredde non era raro vedere persone indossare pellicce o cappelli.


Solo chi era in possesso della cittadinanza romana aveva il diritto di indossare la toga e le autorità specifiche dovevano vigilare che gli stranieri non la indossassero. C’era poi anche chi, pur essendo cittadino romano, poteva perdere il diritto a vestirla, era il caso ad esempio di chi veniva condannato all’esilio.
Era in occasione della festa di Bacco che avveniva il 17 marzo, che nelle famiglie romane più rinomate si celebrava il passaggio alla maggiore età del giovane tra i 15 e i 17 anni. In particolare il ragazzo smetteva la “toga praetexta” e acquisiva il diritto di vestire la “toga virilis” entrando così a far parte a tutti gli effetti della comunità dei cittadini romani.
Anche chi si candidava alle cariche pubbliche indossava una toga particolare, la “toga candida”, così chiamata per il suo colore particolarmente sbiancato rispetto alle “virilis”. Viceversa chi aveva subito un lutto vestiva la “toga pulla” di colore grigio o nero.
La toga, inizialmente era un ampio semicerchio di stoffa di lana bianca di 2 metri e 70 centimetri di diametro. Essa veniva avvolta intorno all’intera persona e, in epoca più tarda, drappeggiata in modo più elaborato. La toga presentava comunque qualche difficoltà ad essere indossata non permettendo particolari gesti scomposti, cosa che contribuiva così a dare un aspetto più dignitoso alla persona. Il peso del tessuto non era indifferente e il candore richiesto rendeva necessari continui lavaggi che presto usuravano l’indumento, costringendo a cambiarla spesso.
Pur rimanendo la toga, l’abito formale per eccellenza, malgrado gli inviti ad indossarla in particolare nelle occasioni pubbliche, ben presto i Romani preferirono l’uso del più pratico “pallium”, un soprabito di forma rettangolare che si poneva al di sopra della tunica, di probabili origini etrusche
La toga era il segno distintivo dei Senatori di Roma che la portavano di colore bianco ornata da una striscia di color porpora. Anche il “dominus”, in occasione delle elargizioni ai suoi “clientes” spesso pretendeva che questi indossassero la toga, un abbigliamento che doveva evidenziare il prestigio e l’importanza del benefattore.

L’abbigliamento era completato dalle scarpe: in particolare con una specie di sandali da frate, una semplice suola legata con lacci al piede, chiamate “Solae”, oppure vi erano le “crepidae” che erano dei sandali di cuoio intrecciato, inoltre vi erano i “calcei” , un tipo di stivaletto chiuso o aperto sul davanti, utilizzati spesso da chi viveva in città. Vi erano poi le famose “caligae”, le tipiche scarpe con corregge di cuoio intrecciate, usate prevalentemente dai contadini e dai legionari.

Vediamo ora come si componeva il vestiario femminile:


Le donne solitamente indossavano come “indumenta” il perizoma, il seno era coperto da una fascia chiamata “strophium”, o una sorta di guaina chiamata “capetium” e una o più tuniche intessute con lana o lino, generalmente prive di maniche. Al di sopra della tunica “intima” (che nelle donne era lunga fino ai talloni), veniva indossato il “sùpparum”, un’altra tunica, meno lunga, cucita sui fianchi con i margini superiori chusi con fibule o cammei, in modo da formare due false maniche lunghe fin quasi al gomito.
Vi era poi la “palla”, il classico mantello femminile, dalla tipica forma rettangolare e indossata in svariati modi, il più noto consisteva nel portarsene un lembo a coprirsi il capo. Mentre gli uomini non portavano copricapi riparandosi dal sole o dalla pioggia con un lembo del mantello o sollevando il cappuccio della loro “paenula” o “pallium”, la donna romana metteva tra i capelli un nastro di color rosso porpora o un “tutulus”, una larga benda collocata a forma di cono sulla fronte. Le matrone romane erano dotate anche di un fazzoletto per pulirsi il viso, all’occorrenza, dalla polvere o per detergersi il sudore. Per proteggersi dalle intemperie poteva essere indossato un mantello con cappuccio, detto “byrrus”, un indumento che si è tramandato fino al giorno d’oggi in Nordafrica, col nome, derivato dal latino, di “burnus”.
Le donne si adornavano poi con pettini, spille (fibulae) e, se potevano permetterseli, con numerosi gioielli: orecchini, collane, catenelle intorno al collo, anelli alle dita, al braccio e alle caviglie.

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