L’attraversamento del Rubicone, contesto storico:
Avvenuta tra il 49 e il 44 a.C., la guerra civile che vide contrapposti Cesare e Pompeo fu il penultimo episodio bellico avvenuto nel contesto della Repubblica romana. Dopo i primi grandi successi in Gallia di Giulio Cesare e la successiva e strategica alleanza con Pompeo e Crasso che sfociò nel primo triumvirato, seguirono sviluppi politici che elevarono Cesare nell’Olimpo dei grandi conquistatori romani. Egli era amato dalla plebe che con grandi benefici dovuti ai ricchi bottini di guerra era riuscito sapientemente a portare dalla propria parte. Il Senato e Pompeo ora lo temevano, sapendo che al suo seguito aveva legioni temprate dalla guerra, costituite da cittadini di recente cittadinanza e legati a lui da un vincolo di fedeltà clientelare quasi assoluta. La definitiva conquista della Gallia ruppe definitivamente i sottili equilibri di potere che avevano retto fino a quel momento.
L’attraversamento del Rubicone, il casus belli:
Decaduto il triumvirato dopo la morte di Crasso avvenuta a Carre, le azioni del Senato di Roma portarono all’elezione di Pompeo a “consul sine collega” ovvero console senza collega, questa mossa evitò almeno formalmente la dittatura, associando Pompeo Magno alla propria causa e attribuendogli un potere pressochè illimitato. Da questo momento in poi fino al 49 a.C., quando scoppiò la guerra civile, i Senatori avversi e Pompeo tentarono di imbrigliare Cesare con una gran mole di provvedimenti che, al termine della pacificazione della Gallia, lo avrebbero costretto ad abbandonare esercito e province. La frattura vera e propria avvenne nel 50 a.C., quando entrarono in carica i nuovi consoli Gaio Claudio Marcello e Lucio Emilio Lepido Paolo. Il Console Marcello nell’aprile di quell’anno mise all’ordine del giorno che il proconsolato di Cesare terminasse e che si provvedesse a inviare un successore per il novembre successivo. Poi sempre per indebolirlo, il senato, con la scusa di proteggere la Siria contro i Parti decretò che fossero aggiunte due legioni alla provincia orientale, da prelevarsi dai due proconsoli in Occidente. Gneo Pompeo non esitò ad ubbidire, mettendo a disposizione le legioni che nel 53 a.C. aveva prestato a Cesare in Gallia. Fu così che quest’ultimo dovette piegarsi al volere del senato e cedere due delle sue legioni, in particolare la I e la XV che furono immediatamente inviate a Capua. Fu a questo punto che il conquistatore delle gallie capì che il conflitto era ormai inevitabile, divise il proprio esercito nei quartieri invernali e si recò con la XIII legione a Ravenna dove fu da quest’ultima acclamato “Imperator”. I vari tentativi di mediazione del tribuno della plebe Gaio Scribonio Curione che seguirono nei mesi successivi per far stemperare gli animi fallirono, e anzi, fu proprio lo stesso tribuno che il 1 gennaio del 49 a.C., consegnò l’ultimatum di Cesare ai nuovi consoli di quell’anno. La missiva venne faticosamente letta in un Senato in subbuglio quasi totalmente ostile a Cesare. Nella lettera Cesare si impegnava a dimettersi dal comando militare a condizione che Pompeo facesse lo stesso. Concludeva che qualora Pompeo avesse mantenuto l’esercito, sarebbe stato del tutto ingiusto privarlo del suo, esponendolo pericolosamente ai suoi detrattori.
L’attraversamento del Rubicone, il passaggio:
Un ultimo tentativo di mediazione per guadagnare qualche giorno di tempo per continuare a trattare venne fatto dal suocero di Cesare, il censore Lucio Calpurnio Pisone Cesonino e dal pretore Lucio Roscio Fabato, ma il loro prodigarsi venne ostacolato dal Console Lentulo e da uno dei più grandi avversari del proconsole delle Gallie, Marco Porcio Catone.
A questo punto la guerra stava per cominciare, si presume che Pompeo potesse contare su circa 17 legioni, 10 stanziate su suolo italico mentre le altre sette sarebbero accorse in suo aiuto dalle province spagnole. Le forze di Cesare si attestavano su 8 o 9 legioni per un totale di circa 40.000 uomini.
Ottenuto il benestare dalle proprie legioni dopo averle adeguatamente arringate, Cesare con la XIII legione parti da Ravenna alla volta di Ariminum (Rimini), e nella notte tra l’11 e il 12 gennaio varcò in armi il Rubicone. Probabilmente pronunciando la famosissima frase “Alea iacta est!”, il dado è tratto, Giulio Cesare e la XIII legione attraversarono il fiume che rappresentava il confine dell’Italia romana, dando così inizio alla Guerra civile. Su quello che realmente pronunciò il generale romano durante l’attraversamento del fiume non c’è una reale certezza, molte fonti parlano del celeberrimo “il dado è tratto!”, ma altre ci raccontano che la frase da lui pronunciata fu: “Si getti il dado”, Svetonio inoltre scrive che la frase sarebbe stata “Iacta alea est”. Dopo aver varcato il Rubicone e aver di fatto dichiarato guerra al senato, a Cesare si avvicinò, almeno inizialmente, Cicerone nel tentativo di accattivarsene il favore, salvo poi ritornare sui suoi passi per unirsi a Pompeo. Nel frattempo Cesare, giunto a Rimini, incontrò i tribuni della plebe, che si erano rifugiati presso di lui. Inviò quindi messi ai quartieri d’inverno delle altre legioni, ordinando loro di raggiungerlo.
Fu così che dopo aspri dissensi con il senato, Cesare varcò in armi il fiume Rubicone, che segnava il confine politico dell’Italia; il senato, di contro, si strinse attorno a Pompeo e, nel tentativo di difendere le istituzioni repubblicane, decise di dichiarare guerra a Cesare. Dopo alterne vicende, i due contendenti si affrontarono in modo definitivo a Farsalo, dove Cesare sconfisse irreparabilmente il rivale. Questo scontro armato segnò la strada per la fine della Repubblica romana a cui verrà dato il colpo di grazia con un’altra guerra civile questa volta fra Marco Antonio e Ottaviano Augusto, terminata con la battaglia di Azio nel 31 a.C..