Tiberio

Tibèrio Claudio Nerone, il cui nome latino era Tiberius Claudius Nero, nacque a Roma il 16 novembre del 42 a.C., e morì a Miseno il 16 marzo del 37 d.C., fu il secondo imperatore romano, appartenente alla dinastia giulio-claudia, e governò dal 14 d.C. fino alla sua morte.
Tiberio sale al potere nel 14 d.C., l’anno stesso della morte di Augusto, del quale è stato uno dei migliori e più famosi generali.
Al momento della sua incoronazione egli è già un uomo maturo, capace quindi di valutare la complessità del ruolo istituzionale che gli viene affidato. Forse anche a questo si deve imputare la sua politica prudente e saggia che seguirà.
Fondamentalmente Tiberio seguì la strada politica intrapresa da Augusto che si fondava su tre punti principali, ovvero il consolidamento dei confini e della pace o sicurezza interna dell’Impero; il rispetto formale del Senato e delle tradizioni politiche repubblicane; un’attenzione a tutte le diverse identità politiche e culturali che componevano la società romana.

In gioventù Tiberio si distinse per il suo talento militare conducendo brillantemente numerose campagne lungo i confini settentrionali dell’Impero e in Illirico. Una volta salito al trono, operò alcune importanti riforme in ambito economico e politico, e pose fine alla politica di espansione militare, limitandosi a mantenere sicuri i confini grazie anche all’opera del nipote Germanico. Tiberio favorì sempre più l’ascesa del prefetto del pretorio Seiano, allontanandosi volontariamente da Roma per ritirarsi nell’isola di Capri. Quando però Seiano mostrò di volersi impadronire del potere assoluto, Tiberio lo fece destituire e uccidere, evitando comunque di rientrare nella capitale.
La tradizione storica rappresentata da Tacito e Svetonio, a Tiberio palesemente ostili, finì per nascondere le imprese militari del successore di Augusto e i provvedimenti politici che prese nel primo periodo del suo principato, registrando invece tutte le critiche e le bugie che i nemici riversarono su Tiberio, fornendone dunque una descrizione abbastanza negativa. Tiberio, da parte sua, non fece comunque nulla per allontanare da lui critiche e sospetti, molto probabilmente a causa della sua personalità chiusa, malinconica e sospettosa. Tuttavia, riuscì ad impedire, con il suo governo fermo, ordinato e rispettoso delle regole poste da Augusto, che l’opera di quest’ultimo non avesse un carattere di provvisorietà ed andasse perduta. Tiberio riuscì nel corso del suo regno a dare quella continuità indispensabile al sistema del principato, ed evitare che la situazione degenerasse in nuove guerre civili, come accadde tristemente nel passato.
Seguendo gli interessi politici della famiglia, Tiberio nel 12 a.C. fu costretto da Augusto a divorziare dalla prima moglie, Vipsania Agrippina, figlia di Marco Vipsanio Agrippa, che aveva sposato nel 16 a.C. e da cui aveva avuto un figlio, Druso minore. L’anno successivo sposò dunque Giulia maggiore, figlia dello stesso Augusto e quindi sua sorellastra, vedova di Agrippa. Tiberio era sinceramente innamorato della prima moglie Vipsania e se ne allontanò con grande dispiacere. Il sodalizio con Giulia, vissuto dapprima con concordia e amore, si rovinò ben presto, dopo la morte del figlio ancora in tenera età. Il carattere di Tiberio, particolarmente riservato, si contrapponeva inoltre a quello di Giulia, circondata da numerosi amanti.
Malgrado l’onore della ” tribunicia potestas” concessagli da Augusto nel 6 d.C., Tiberio decise di ritirarsi dalla vita politica e abbandonare la città di Roma, per andarsene in un volontario esilio sull’isola di Rodi, che lo aveva affascinato fin dai giorni in cui vi era approdato, di ritorno dall’Armenia. Augusto e Livia tentarono inutilmente di trattenerlo; l’Imperatore arrivò addirittura a parlare della questione in senato. Tiberio, in risposta, decise di smettere di mangiare e rimase a digiuno per quattro giorni, fino a quando non gli fu concesso di lasciare l’Urbe per recarsi dove desiderava.

Busto di Tiberio conservato alla Gliptoteca di Monaco di Baviera
Busto di Tiberio conservato alla Gliptoteca di Monaco di Baviera

Dopo essere stato adottato da Augusto, Tiberio fu nuovamente investito dell’imperium proconsolare e della tribunicia potestas e inviato dall’Imperatore in Germania, poiché i precedenti generali Lucio Domizio Enobarbo e Marco Vinicio non erano riusciti a espandere ulteriormente la zona d’influenza romana rispetto alle conquiste che Druso maggiore aveva portato a termine tra il 12 e il 9 a.C..
Tiberio giunse quindi in Germania, dove, nel corso di due campagne militari svolte tra il 4 e il 5 d.C., occupò in modo permanente tutte le terre della zona settentrionale e centrale comprese tra i fiumi Reno ed Elba, e sottomettendo numerose tribù barbare fra le quali anche i Cherusci di Arminio che dopo pochi anni avrebbero procurato a Roma la più grande disfatta della storia.
Pacificato anche l’Illirico dove Tiberio si era recato nel 6 d.C., per sedare la rivolta dalmato-pannonica, tornò a Roma, dove decise di posticipare la celebrazione del trionfo che gli era stato tributato in modo tale da rispettare il lutto imposto per la disfatta di Varo a Teutoburgo. Il popolo avrebbe comunque desiderato che prendesse un soprannome, come Pannonico, Invitto o Pio, che ricordasse le sue grandi imprese; Augusto, tuttavia, respinse le richieste rispondendo che un giorno avrebbe preso anch’egli l’appellativo di Augusto, inviandolo prontamente sul Reno, per evitare che il nemico germanico attaccasse la Gallia.
Giunto in Germania, Tiberio poté constatare la gravità della disfatta di Varo e delle sue conseguenze, che impedivano di progettare una nuova riconquista delle terre che andavano fino all’Elba. Adottò, dunque, una politica particolarmente accorta, prendendo ogni decisione assieme al consiglio di guerra ed evitando di far ricorso, per la trasmissione di messaggi, a uomini del luogo come interpreti; sceglieva allo stesso modo con cura i luoghi in cui erigere gli accampamenti, in modo tale da fugare qualsiasi pericolo di rimanere vittima di una nuova imboscata e mantenne, infine, tra i legionari una disciplina ferrea, punendo in modo estremamente rigoroso tutti coloro che trasgredivano i suoi rigidi ordini. In questo modo poté ottenere numerose vittorie e confermare il confine lungo il fiume Reno, mantenendo fedeli a Roma i popoli germanici, tra cui Batavi, Frisoni e Cauci, che abitavano quei luoghi.

Busto di Tiberio
Busto di Tiberio

Il 17 settembre del 14 d.C., Tiberio divenne il successore di Augusto alla guida dell’Impero, mantenendo la tribunicia potestas e l’imperium proconsulare maius insieme agli altri poteri di cui aveva usufruito il suo predecessore, e assumendo il titolo di princeps. Rimase imperatore per quasi ventitré anni, fino alla sua morte, nel 37. Il suo primo atto fu quello ratificare la divinizzazione di suo padre adottivo, Augusto (divus Augustus), come in precedenza era stato fatto con Gaio Giulio Cesare.
Nel corso del suo principato Tiberio dovette fronteggiare numerose critiche rivolte alla sua persona, principalmente dovute alla morte del generale Germanico, amatissimo dal popolo, e di Druso pochi anni dopo, nelle quali era opinione pubblica che Tiberio ne fosse il mandante mosso dall’invidia e dal timore della loro popolarità per quanto riguardava il primo, e per la forte rivalità con il prefetto del pretorio Seiano, favorito da Tiberio, per il secondo.
Esasperato per le continue perplessità e dicerie sul suo conto, Tiberio decise nel 26 d.C., di allontanarsi da Roma, fu a quel punto che il prefetto Seiano assunse quel grande potere a cui segretamente aveva sempre ambito, con l’immensa fiducia in lui riposta dall’Imperatore lontano dalla capitale, divenne il rappresentante incontrastato del potere imperiale, prendendo il totale controllo di tutte le attività politiche. Era fin troppo facile pensare che Seiano ambisse al trono imperiale, e il suo coinvolgimento nell’eliminazione di tutti i discendenti diretti di Tiberio ne sono una prova inconfutabile. La sua parabola giunse però al termine quando Antonia minore, vedova di Druso, si fece con coraggio portatrice di tutti malumori che i discutibili modi di Seiano creavano, e con una lettera a Tiberio raccontò di come il prefetto del pretorio fosse fortemente implicato nei delitti atti a favorire la sua carriera.
Seiano venne quindi smascherato e accusato di tradimento e condannato a morte per strangolamento, condanna che avvenne lo stesso giorno in cui con una lettera Tiberio fece credere a Seiano di conferirgli la tribunicia potestas, ma che invece si rivelò un’accusa ben precisa che lo trascinò alla pena capitale.

Tiberio trascorse l’ultima parte del suo regno sull’isola di Capri, circondato da uomini di studio, giuristi, letterati ed anche astrologi: lì fece costruire dodici ville, per poi risiedere in quella che preferiva, la Villa Jovis.
Nel 37 d.C., Tiberio lasciò Capri, come aveva già fatto in precedenza, forse con l’idea di rientrare finalmente in Roma per trascorrervi i suoi ultimi giorni; intimorito però dalle reazioni che il popolo avrebbe avuto, si fermò a sole sette miglia dall’Urbe, e decise di tornare sui suoi passi. In questo frangente fu colto da malore, e trasportato nella villa di Lucullo a Miseno; dopo un iniziale miglioramento, il 16 marzo cadde in uno stato di delirio e creduto morto. Mentre molti già si apprestavano a festeggiare l’ascesa di Caligola, Tiberio si riprese suscitando scompiglio tra coloro che avevano già acclamato il nuovo imperatore; il prefetto Macrone, tuttavia, mantenendo la lucidità, ordinò che Tiberio fosse soffocato tra le coperte. Il vecchio imperatore, debole e incapace di reagire, spirò all’età di settantasette anni.
La plebe romana reagì con grande gioia alla notizia della morte di Tiberio, festeggiandone la scomparsa. Molti monumenti che celebravano le imprese dell’imperatore furono distrutti, così come le numerose statue che lo raffiguravano. In molti tentarono di far cremare il corpo di Tiberio a Miseno, ma fu comunque possibile trasportarlo a Roma, dove fu cremato nel Campo Marzio e sepolto, tra le ingiurie del popolo, nel Mausoleo di Augusto presidiato dai pretoriani. Mentre l’imperatore defunto riceveva queste modeste onoranze funebri, Caligola era già stato acclamato princeps dal senato.

2 Risposte a “Tiberio”

  1. Molto interessante e vero. Peccato che ancora non sia riconosciuto come il grande generale che fu e che le storie dei suoi nemici siano credute come vere. Grazie tante!

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