Appio Claudio e Virginia

Le vicende fra il decemviro Appio Claudio e Virginia, si sviluppano nella Roma repubblicana della fine del IV secolo a.C., allorquando il nobile desiderava ardentemente per se la bella ragazza, figlia del prode centurione Lucio Virginio, e già promessa al tribuno della plebe, Lucio Icilio. I Decemviri già invisi al popolo per la loro prepotenza e per i loro abusi di potere, si macchiarono così di un ennesimo delitto.

Appio Claudio e Virginia
Appio Claudio e Virginia

Rifiutando qualsiasi dono e promessa, l’onestà e i principi della giovane donna vennero così insidiati dalle malsane voglie di Appio Claudio, il quale approfittando della lontananza del padre, ordinò ad un suo cliente di sostenere pubblicamente che la giovane Virginia gli apparteneva come schiava. Il loro piano meschino entrò in scena un giorno nel quale la ragazza tornava a casa dopo le lezioni, così tra una taberna e l’altra, uscì il complice del decemviro, che tirandola per un braccio, la reclamò per se, sostenendo quando accordato con Appio Claudio, forzandola anche con la violenza qual’ora fosse stato necessario. Virginia, naturalmente non acconsentì, e alle sue richieste di aiuto, una numerosa folla si schierò al suo fianco per difenderla. Il cliente di Appio tuttavia non arretrò, dichiarando che la fanciulla era di sua proprietà e di essere pronto a provarlo di fronte ad un giudice. Spinti così dalla folla, i due si presentarono davanti ad Appio Claudio, pronto per dirimere la questione in suo favore. Il complice del decemviro prese subito la parola, cercando di provare che la giovane Virginia fosse effettivamente nata da una schiava che serviva nella sua casa, e che solo in seguito, la fanciulla venne abbandonata, o rapita, e lasciata crescere nella casa del centurione Lucio Virginio, il quale, d’accordo con la moglie, le fece credere di essere loro figlia. Il cliente inoltre dichiarava di avere molti testimoni pronti ad affermare questa versione, chiedendo in più che la giovane gli fosse consegnata già durante la durata del processo. I difensori di lei naturalmente si opposero duramente, affermando che era profondamente ingiusto procedere data la lontananza del padre, che nel frattempo serviva sotto l’esercito, e che per ogni giudizio era d’obbligo attendere il suo ritorno. Nel frattempo, visto che Lucio Virginio, una volta informato, poteva fare ritorno in un paio di giorni, i difensori di Virginia pretesero che la ragazza, in quel lasso di tempo, fosse dichiarata libera da ogni vincolo.  Ascoltate le due versioni, Appio Claudio rispose che quanto affermavano i difensori non poteva trovare applicazione, in quanto la legge da loro invocata trovava esecuzione solo nelle persone libere, mentre Virginia era ancora sotto la patria potestà, e che fino a prova contraria, non si poteva impedire al suo cliente di portare nella sua casa la giovane ragazza, tuttavia fu d’accordo nel mandare rapidamente un messo per informare il padre di quanto stava accadendo.

Fra Appio Claudio e Virginia, vi erano però tra la folla, lo zio materno della giovane, Publio Numitore, e il fidanzato Icilio, il quale, sentendo le parole del decemviro, si fece largo fra la folla, e con risolutezza rispose:

O Appio, prima che tu abbia ciò che desideri, soltanto con il ferro e con la forza io potrò esser cacciato di qui; Io sono il fidanzato di questa donna immacolata e intendo sposarla. Fa pur venire i littori dei tuoi colleghi usando le verghe e le scuri, ma la futura mia sposa non rimarrà fuori della casa paterna; ci avete tolto i tribuni e la facoltà di appello ma la vostra libidine non ci toglierà le donne e i figli. Incrudelite pure contro di noi, ma sia salvo il pudore delle nostre donne. Se oggi si vorrà usare la violenza io, il popolo e i soldati di Virginio chiameremo in soccorso e gli dei tutti; né la tua sentenza sarà eseguita finché vivi saremo. Pensa, Appio, a quel che fai. Si aspetti che Virginio ritorni e tu sappi che io reclamo la libertà per la mia donna e che preferisco morire anziché venir meno alla fede”.

Icilio non aveva ancora finito di parlare, che la folla attorno a lui già iniziava ad agitarsi pericolosamente, così, Appio Claudio, per evitare una rivolta, consentì la libertà di Virginia, per un solo giorno, dando così tempo al padre di far ritorno in città, ma che al termine di quel tempo avrebbe comunque dato seguito alla giustizia. Subito il fratello di Icilio e un figlio dello zio Numitore, montarono a cavallo per raggiungere Lucio Virginio per informarlo di tutte le novità, ma allo stesso tempo, Appio Claudio, diede mandato di non far uscire il centurione dal campo, anche con la forza se fosse stato necessario. Fortunatamente i messi del decemviro furono molto più lenti, e al loro arrivo, Lucio Virginio era già partito in direzione della Capitale.

APPIO CLAUDIO E VIRGINIA, IL PROCESSO:

La mattina del giorno dopo il processo ebbe inizio alla presenza del centurione e padre di Virginia, e subito il complice di Appio ebbe a lamentarsi di come il giorno prima non gli fosse stata concessa giustizia, reclamando con forza la proprietà della ragazza,  Appio Claudio, mal celando il suo coinvolgimento, non lo fece neppure finire di parlare e accolse subito le sue istanze, e quando il cliente si fece avanti per impossessarsi della ragazza, la folla, alterata per l’ingiusta sentenza, gli sbarrò la strada, ma il decemviro, fatto tornare faticosamente il silenzio, intimò al popolo di fermarsi e di non cadere nella sedizione organizzata appositamente da Icilio, pena l’uso delle armi da parte dei littori presenti nel foro. La folla, sorpresa dalle minacce di Appio, si fece mestamente da parte, ma il padre, Lucio Virginio, perso l’appoggio del popolo su cui contava, prese la parola:

“O Appio, io ti prego anzitutto che tu mi perdoni se io, angosciato, ho a te rivolto parole risentite, poiché tu mi consenta, qui, alla presenza della fanciulla stessa, che io interroghi la nutrice e sappia da lei in quale modo e perché abbiano fatto credermi padre di Virginia”.

Ottenuto il permesso da Appio, il padre prese con se la figlia e la nutrice per condurle presso il tempio della Dea Cloacina, dopo di che impadronendosi di un coltello da una bottega, lo affondò nel corpo della figlia esclamando:

“Soltanto così, o figlia mia, io posso difendere e mantenere la tua libertà”, dopo di che riferendosi direttamente al decemviro gridò: “O Appio, agli dei infernali io consacro te e il tuo capo”.

Appio Claudio e Virginia
Appio Claudio e Virginia

Il tutto accadde in una manciata di secondi, poi realizzato quanto era appena successo, Appio Claudio, accecato dalla rabbia, ordinò che Lucio Virginio venisse immediatamente arrestato, ma questi, con ancora in mano l’arma coperta del sangue della figlia, aiutato dalla confusione della folla, trovò scampo fuori dalla città. Nel frattempo il tumulto fra il popolo si fece sempre più drammatico, con Icilio e Numitore che mostravano alla folla il corpo esanime di Virginia, a causa della scelleratezza del decemviro. Appio Claudio sempre più fuori di se, ordinò la cattura di Icilio, ma questi armato e fiancheggiato da un manipolo di seguaci si scagliò contro i littori, spezzandone le verghe, la rissa che ne seguì vide la fuga precipitosa di Appio, che trovò rifugio presso l’abitazione di un altro decemviro: Spurio Oppio, il quale cercò subito di portare aiuto al collega, ma senza successo, e il Senato venne convocato sul da farsi. I Senatori furono tutti concordi sul fatto che la plebe andava calmata, temendo soprattutto che la fuga di Lucio Virginio portasse ad una rivolta dell’esercito, così, per evitare questa ipotesi, vennero mandati alcuni giovani patrizi agli accampamenti per tenere calmi i soldati. I loro tentativi, furono però vani, il centurione li aveva già preceduti a capo di 400 cavalieri rivelando tutto l’accaduto, e insinuando nei cuori dei legionari un profondo sdegno verso Appio Claudio e i suoi colleghi. L’esercito prese così a marciare su Roma, invitando alla rivolta tutti i plebei incontrati lungo il cammino, dopo di che giunti sull’Aventino,  vi si accamparono. Queste notizie, ravvivarono la plebe, ma al contrario atterrirono i patrizi che subito mandarono una delegazione, formata da Spurio Tarpeio, Publio Sulpicio e Caio Giulio, a trattare sui motivi che avevano portato a tale gesto. Intanto anche l’altro esercito che si trovava in territorio sabino, saputo quanto successo, marciò anch’egli sull’Aventino, ricongiungendo i reparti  ed eleggendo Marco Appio e Sesto Manilio come loro capi supremi. Nel frattempo in Senato proseguivano le sedute che risultavano sempre inconcludenti a causa delle diverse correnti di pensiero, ma era chiaro a tutti che la minaccia dell’esercito si sarebbe attenuata solo con le dimissioni di tutti gli odiati decemviri. Alla resistenza di questi ultimi, tutti i soldati con buona parte della plebe si spostarono sul Monte Sacro, aumentando la tensione fra i senatori che infine costrinsero i decemviri alle dimissioni, promettendo a loro salva la vita, appresa la notizia, gli ambasciatori tornarono sul Monte Sacro spargendo la notizia con queste parole:

“Con buon augurio vostro e della repubblica tornate in patria, alle case, alle donne ed ai vostri figli; ma tornateci con la stessa disciplina con la quale finora vi siete comportati, non danneggiando cosa alcuna. Andate sull’Aventino, il luogo dove ebbe inizio la vostra libertà, e lì creerete i vostri tribuni alla presenza del Pontefice Massimo”.

Proprio questo accadde fra le grida di giubilo, e sull’Aventino, senza perdere troppo tempo vennero eletti i dieci tribuni, dopo di che, convocata la plebe nei Prati Flamini, venne ripiristinato il regime consolare, poi, infine vennero eletti i due nuovi consoli, nelle persone di Lucio Valerio e Marco Orazio.

APPIO CLAUDIO E VIRGINIA, conclusioni:

Assicuratisi con queste leggi i diritti della plebe, ci  si preoccupò  di giudicare gli uomini che tante offese avevano arrecate. Il tribuno Virginio citò in giudizio Appio Claudio accusandolo di aver violate le leggi nel processo della figlia. Appio si appellò agli altri tribuni, ma nessuno si mostrò solidale nei suoi confronti; allora si appellò a quello stesso popolo che proprio lui aveva oppresso, ricordando i meriti dei suoi avi e le Dodici Tavole alla cui compilazione lui aveva partecipato; ma Virginio si oppose che il decemviro rimanesse in libertà provvisoria e, in attesa del giudizio, lo fece chiudere carcere.

Credits to:

https://www.storiologia.it/apricrono/storia/aa453.htm

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