Assedio di Aquileia

L’assedio di Aquileia, avvenuto nel 238 d.C., costituisce l’atto finale del regno dell’imperatore Massimino detto “il Trace”, il quale, giunto in Italia dalla Pannonia con il suo vasto esercito, venne fermato dalla popolazione locale concentrata in quella che all’epoca era la quarta città imperiale per numero di abitanti. La fame a cui fu ridotta l’armata di Massimino il Trace fomentò una sedizione che portò all’uccisione dell’Imperatore stesso.

Assedio di Aquileia,  busto di Massimino il Trace
Assedio di Aquileia, busto di Massimino il Trace

Assedio di Aquileia, contesto storico:

Dopo la morte degli Imperatori Gordiano I e Gordiano II, e il fallimento della rivolta d’Africa che si opponeva al potere di Massimino il Trace, il Senato romano, che pure aveva in astio Massimino, decise di continuare la propria opposizione con ogni mezzo, eleggendo, nel maggio del 238 d.C., due co-imperatori: l’ex praefectus urbi, Pupieno e il senatore Balbino. La decisione tuttavia non fu unanime, tant’è che una fazione preferì sostenere il nipote di Gordiano I, Gordiano III. Tutto ciò diede il via ad una serie di disordini per le strade di Roma che il più delle volte si risolsero con scontri armati anche piuttosto cruenti. Per riportare l’ordine Pupieno e Balbino accettarono di proclamare “Cesare”, Gordiano III. Massimino il Trace si trovò di fronte quindi tre avversari politici da combattere, ma se i tre potevano contare su di un esercito di coscritti e giovani inesperti, l’Imperatore portava con se un vasto contingente formato da legionari veterani, forgiati da anni di battaglie condotte in Pannonia. Massimino capì che l’unico modo per porre fine alla questione era marciare su Roma per eliminare ogni avversario che si contrapponesse al suo potere, purtroppo per lui però, non aveva calcolato le difficoltà che il suo esercito avrebbe incontrato nell’attraversamento delle Alpi in un periodo ancora dal clima rigido, e dagli ostacoli creati dalla guerriglia messa in atto dai difensori dell’Italia settentrionale.  Lo storico greco Erodiano, ci racconta che l ‘armata che attraversò le Alpi e scese nella piana di Aquileia con un ordine di marcia a forma di grande rettangolo, al fine di occupare la maggior parte della pianura sottostante, posizionò il bagaglio pesante, gli approvvigionamenti ed i carri al centro della formazione, mentre su ogni fianco dello schieramento marciava la cavalleria, affiancata a sua volta da truppe di Mauri armati di giavellotto e da arcieri orientali. L’imperatore condusse, inoltre, con sé anche un consistente numero di guerrieri germani, i quali furono posti all’avanguardia, per sopportare gli assalti iniziali del nemico. Questi uomini estremamente selvaggi e audaci, risultavano molto abili nelle fasi iniziali della battaglia e, comunque, sacrificabili. Giunto ad Emona (odierna Lubiana), Massimino il Trace si aspettò di incontrare l’esercito di Roma pronto allo scontro, ma con sua grande sorpresa venne a sapere che la maggior parte degli abitanti della zona erano asserragliati ad Aquileia, portando con loro  tutto ciò che poteva fornire vettovagliamento per il nemico, in modo che Massimino ed il suo esercito si trovassero ridotti alla fame. Ciò generò i primi malumori tra i legionari dell’Imperatore che anzichè preoccuparsi della situazione, se ne rallegrò, pensando che la sua marcia avesse provocato talmente tanto  timore tra la popolazione da averla indotta alla fuga.

Assedio di Aquileia, le fasi dell’assedio:

Quando l’esercito dell’Imperatore giunse in vista di Aquileia, posta all’incrocio di importanti vie di comunicazione e deposito dei viveri e dell’equipaggiamento necessari ai soldati, la città chiuse le porte a Massimino il Trace. Aquileia era guidata da Rutilio Prudente Crispino e da Tullio Menofio,  due senatori incaricati dal Senato stesso, i quali disposero molti uomini armati lungo l’intero percorso delle mura, che nel frattempo erano state rinforzate e dotate di nuove torri. Ancora  Erodiano racconta che il primo attacco alle mura della città fu respinto:

” le legioni pannoniche, che erano state inviate come avanguardia ed avevano lanciato il primo imponente attacco lungo le mura della città, nonostante i frequenti assalti, avevano fallito completamente. Infine, una pioggia di pietre, lance e frecce, avevano costretto le legioni pannoniche a desistere ed a ritirarsi. I generali pannonici erano infuriati con le loro truppe, ritenendo avessero combattuto troppo debolmente. Massimino, allora, si affrettò a raggiungere la città con il resto del suo esercito, in attesa di occuparla, senza alcuna difficoltà”.

Fu proprio allora che l’Imperatore prese la decisione, per lui fatale, di assediare personalmente Aquileia, anzichè procedere oltre con le proprie armate e dirigersi verso Roma. Tutto ciò diede così modo ai due Imperatori nominati dal Senato di organizzare la controffensiva, a Pupieno, che nel frattempo si era diretto a Ravenna per organizzare più da vicino le difese, venne affidata la conduzione della guerra, mentre a Balbino venne affidata la difesa di Roma. Sebbene il rapporto di forze fosse ancora totalmente dalla parte di Massimino, Aquileia non accennava a nessun cedimento, grazie soprattutto ai due senatori che guidavano la città, che all’avvicinarsi di ambasciatori inviati da Massimino arringarono ripetutamente la popolazione a non farsi abbindolare dalle false promesse dell’Imperatore assediante e di ergersi loro stessi a difensori dell’Italia intera. Al ritorno degli ambasciatori,Massimino, furibondo per l’insuccesso diplomatico riprese ad assediare la città  con più veemenza, ma anche con rinnovate difficoltà. L’Imperatore si diresse personalmente verso Aquileia, ma arrivato all’altezza del fiume Isonzo, si accorse che ogni ponte era stato abbattuto dagli abitanti, costringendo i propri soldati ad improbabili soluzioni che portarono all’annegamento di molti uomini. Attraversato in qualche modo il fiume Massimino assediò Aquileia con ogni possibile macchina e con tutti gli uomini a disposizione. Gli abitanti di Aquileia dal canto loro  cominciarono a scagliare sugli assedianti pietre incendiarie ricoperte di pece e olio d’oliva, versando sopra i loro aggressori un liquido bollente composto da bitume e zolfo, utilizzando una serie di lunghi manici. Questo liquido infuocato veniva portato in alto sulle mura, e poi riversato dall’alto sui soldati che assediavano la città, quasi fosse una pioggia di fuoco. Da ciò risultò naturalmente che molti dei soldati di Massimino perirono, per le gravi ustioni, sfigurati dalle fiamme, spesso estratti a forza dalle loro corazze di metallo rovente. Alla fine, la penuria di viveri dell’armata romana, la continua esposizione ai fenomeni atmosferici, la rigida disciplina imposta dall’imperatore, i continui successi dei difensori di Aquileia, la politica della terra bruciata adottata dal Senato di Roma tutt’attorno alla città, oltre alla rabbia dell’Imperatore, incapace di assaltare in modo risolutivo le mura della città, causarono l’ostilità delle truppe stesse, e la conseguente rivolta. Era il 10 maggio del 238 d.C., quando i soldati della Legio II Parthica, stanchi di tutto questo, strapparono le immagini dell’Imperatore dalle insegne militari, recandosi poi nel suo accampamento per assassinarlo, insieme al figlio Massimo e ai suoi più stretti collaboratori, poi infilate le teste in cima ad alcune picche ne fecero bella mostra ai difensori della città assediata, lasciando quel che rimaneva dei loro corpi in pasto ai cani e agli uccelli. I soldati romani, privi ora del loro comandante ed Imperatore, furono accolti in città dagli Aquileiensi, anche se occorre dire che non tutti approvarono l’assassinio di Massimino,  prima di tutto a condizione che facessero atto di adorazione davanti alle immagini dei due imperatori Pupieno e Balbino e al “Cesare” Gordiano III. Poi distribuirono ai soldati affamati ed assetati, una grande quantità di cibo e bevande, dopo averne ricevuto il giusto e dovuto pagamento; il giorno seguente fu convocata un’assemblea generale, dove tutti i soldati prestarono solenne giuramento di fedeltà ai nuovi tre sovrani, tutto ciò mentre a Roma venivano abbattuti tutti i busti e le statue raffiguranti l’Imperatore assassinato, e mentre il senato applicava su di lui la “damnatio memoriae”.

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