Battaglia del monte Gindaro

La battaglia del monte Gindaro è un avvenimento passato abbastanza inosservato nell’arco della millenaria storia di Roma, ma che proprio per i romani ha significato una svolta di non poco conto, considerando che avvenne esattamente quindici anni dopo la disfatta di Carre, dove il triumviro Marco Licinio Crasso vi trovò la morte. La battaglia del monte Gindaro si svolse il 9 giugno del 38 a.C. (la disfatta di Carre avvenne paradossalmente, sempre il 9 di giugno ma del 53 a.C.), e venne considerata dai romani una vera e propria rivincita sui Parti. La vittoriosa  battaglia venne condotta a termine dall’abile generale e luogotenente di Marco Antonio, Publio Ventidio Basso, nel contesto dell’invasione partica della Siria a seguito dell’indebolimento del fronte orientale, causato dalla guerra civile fra il secondo triumvirato e gli assassini di Giulio Cesare. A seguito di questa schiacciante vittoria i romani riacquisirono le posizioni perdute, costringendo i Parti a ripiegare oltre il fiume Eufrate, stabilendo il controllo di quei territori che sarebbero poi serviti un paio di anni più tardi come punto di partenza per Marco Antonio per le sue poco fortunate campagne di Partia.

Battaglia del monte Gindaro
Battaglia del monte Gindaro

Battaglia del Monte Gindaro, l’invasione dei Parti:

A seguito dell’assassinio di Giulio Cesare, i due principali cospiratori ed esecutori del delitto: Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, assunsero per un certo periodo il controllo delle province orientali, almeno fino a quando Marco Antonio e Ottaviano (quest’ultimo però con un ruolo marginale), li sconfissero nella grande battaglia di Filippi nel 42 a.C.. A seguito di questa sconfitta Bruto e Cassio si tolsero la vita, lasciando campo libero ai triumviri vincitori di riorganizzare il loro potere con zone di influenza specifiche.  Marco Antonio si assicurò l’oriente, e proprio ad oriente si diresse dopo la battaglia, iniziando la sua turbolenta storia d’amore con la regina d’Egitto, Cleopatra. Mentre Antonio si fermava per diverso tempo ad Alessandria d’Egitto, invitava i suoi due luogotenenti, Tito Munazio Planco e Lucio Decidio Saxa a prendere il controllo rispettivamente delle province di Asia e Siria. Per i Parti si apriva quindi una parentesi di incertezza, incalzata e sollecitata anche dai locali principati siriani,  della quale non esitarono ad approfittare, forti anche dell’aiuto del disertore romano Quinto Labieno, passato alla corte di Re Orode dopo la morte di Bruto e Cassio, sotto i quali serviva. Nel 40 a.C., l’invasione partica divenne realtà, Quinto Labieno alla testa delle truppe orientali, affrontò Decidio Saxa presso Apamea, la resistenza romana con le poche truppe a disposizione fu debole e come se non bastasse molti defezionarono in favore dei Parti vedendo Quinto Labieno al comando delle truppe. I Parti riuscirono così a conquistare i due grandi centri di Apamea e Antiochia, Decidio Saxa riuscì a fuggire in Cilicia, ma fu raggiunto e ucciso. Il generale dei Parti, Pacoro, invase poi anche la Siria fino ad arrivare in Palestina, mentre il governatore romano, Munazio Planco trovava scampo rifugiandosi in un’isola del Mar Egeo.

Battaglia del Monte Gindaro, controffensiva di Publio Ventidio Basso:

Marco Antonio allarmato e giustamente preoccupato dalle notizie che gli giungevano dalle province orientali decise, a seguito dei rinnovati accordi con Ottaviano a Brindisi, di riprendere l’inizitiva, raggruppando una buona parte di legionari veterani dall’Italia e dalla Macedonia, per poi spedirli nei teatri di guerra guidati dal suo miglior generale, Publio Ventidio Basso, in attesa di prendere più avanti il controllo personale delle operazioni. Il generale romano si dimostrò da subito molto abile, riportando alcune preziose vittorie, come ad esempio sullo stesso Labieno nel 39 a.C., quando lo costrinse alla ritirata, o come dopo la battaglia del Monte Tauro, quando riuscì a sgominare i temibili cavalieri catafratti, impedendogli di ricongiungersi con il grosso del loro esercito e costringendoli ad una improbabile carica in salita. Non solo, subito dopo inseguì il fuggiasco Labieno fino in Cilicia, catturandolo e uccidendolo. Successivamente Ventidio Basso proseguì le sue operazioni militari riuscendo a battere i Parti nella battaglia del Monte Amanus, dove l’avanscoperta romana era stata precedentemente presa in un’imboscata. A seguito di tali eventi i Parti ripiegarono e i romani ripresero il controllo di tutta la Siria e la Palestina.

Nel 38 a.C., Pacoro a seguito della morte del padre Orode II, divenne Re dei Parti, e subito organizzò un grosso esercito formato da arcieri a cavallo e da cavalieri catafratti nel tentativo di sgominare i romani e riappropriarsi dei territori perduti l’anno precedente. Ventidio Basso, che giustamente temeva la controffensiva persiana, escogitò un tranello per guadagnare quel tempo necessario che gli serviva per radunare tutte le sue forze, richamandole dai quartieri invernali sparsi nella regione. Fu così che ad un locale principe siriano, segretamente alleato di Re Pacoro, vennero fornite informazioni errate che arrivate al Re dei Parti, lo costrinsero a compiere un percorso più lungo, dando a Ventidio Basso il tempo che gli serviva.

Battaglia del monte Gindaro, i cavalieri catafratti
Battaglia del monte Gindaro, i cavalieri catafratti

Battaglia del Monte Gindaro, lo scontro:

Publio Ventidio Basso, da generale accorto e prudente qual’era, decise di non attaccare per primo, ma anzi, permise all’esercito nemico di varcare l’Eufrate senza problemi, selezionando quindi con cura la posizione sulla quale attestarsi, ponendo poi gli accampamenti sulle pendici del Monte Gindaro. L’apparente prudenza romana indusse Pacoro a credere che il nemico fosse timoroso nell’affrontare una battaglia campale, e quindi marciò con tutto il suo esercito verso il monte Gindaro convinto delle sue forze nonostante la sfavorevole situazione data dalla pendenza del monte a lui contraria. Il mattino seguente un fiducioso Ventidio Basso ispirò le legioni al combattimento che uscirono dal campo occupando saldamente il versante del monte Gindaro. I legionari romani poterono così attendere da una posizione dominante gli attacchi della cavalleria di Pacoro, che subito si rivelarono un disastro completo. L’eccessivo entusiasmo degli arcieri a cavallo durante la loro carica in salita si infranse contro l’esercito romano che nel frattempo si lanciò in discesa, abbreviando le iniziali schermaglie, i cavalieri sprovvisti di corazze finirono nella morsa dei legionari che ne fecero strage, i superstiti si ritirarono dalla collina disordinatamente causando scompiglio anche fra i catafratti che seguivano. In questo frangente Ventidio Basso mostrò ancora una volta grande lucidità: fermò l’avanzata dei legionari che rischiavano di trovarsi a contatto con i catafratti ancora in attesa di entrare nel combattimento, e fece avanzare i cosiddetti “funditores”, i temibili frombolieri reclutati a Creta e in altre isole della Grecia. Questi frombolieri, particolarmente temibili e addestrati nel lancio di pietre anche molto pesanti, vantavano di un raggio d’azione superiore a quello degli arcieri nemici, e per lungo tempo bersagliarono gli orientali senza subire particolari danni. La loro azione fu micidiale e il nucleo centrale dell’esercito nemico venne praticamente decimato fra il compiacimento dei legionari che dalle alture assistevano al “bombardamento”.

L’assalto finale:

Una volta considerata sufficiente l’azione dei Funditores, e vedendo il nemico particolarmente indebolito, Ventidio Basso diede l’ordine finale di attacco alle legioni che si lanciarono alla carica in formazione serrata. In questa fase l’attacco romano si concentrò particolarmente sul nucleo di resistenza che si stringeva attorno al Re Pacoro, che nel frattempo era rimasto ferito dal lancio dei frombolieri e per questo costretto a combattere a piedi. Nonostante l’aspra resistenza opposta dalle guardie del Re i legionari ebbero la meglio e Re Pacoro cadde durante gli scontri, subito dopo si accese un’altra violenta lotta per assicurarsi le spoglie del sovrano defunto. Dopo un’altra serie di violenti scontri corpo a corpo le guardie del Re furono tutte trucidate, dopo di che un centurione si impossessò delle spoglie di Pacoro tagliandogli la testa, per poi mostrarla esultante ai compagni che immediatamente esplosero in alte grida di giubilo. Questi eventi causarono il crollo della resistenza orientale, molti superstiti si arresero, mentre altri catafratti riuscirono in maniera disordinata a sfuggire al massacro per cercare riparo presso Re Antioco I di Commagene. Per ottenere una vittoria totale, Ventidio Basso non poteva tollerare che ciò potesse accadere, e proprio prevedendo una tale evenienza, liberò alcuni squadroni di cavalleria che aveva tenuto nascosto ai piedi del monte, con il compito di inseguire e sgominare chi tentava la fuga, cosa che puntualmente avvenne prima che questi varcassero il ponte sul fiume Eufrate. Secondo la tradizione antica la battaglia del Monte Gindaro sarebbe stata combattuta il 9 giugno del 38 a.C., lo stesso giorno in cui, nel 53 a.C., aveva avuto luogo la catastrofe di Marco Licinio Crasso nella disfatta di Carre, Ventidio Basso, con la sua vittoria e l’uccisione del re nemico, raggiunse la vendetta completa sui Parti guadagnandosi così grande fama tra i cittadini di Roma.

Battaglia del monte Gindaro
Battaglia del monte Gindaro

Battaglia del Monte Gindaro, conseguenze:

Dopo questa schiacciante vittoria, Ventidio Basso, per impressionare i vari principati e potentati locali che di cattivo occhio vedevano l’influenza romana, mostrò in tutti i luoghi da lui attraversati la testa di Re Pacoro, affinchè tutti potessero vedere la fine che si rischiava contrapponendosi al potere di Roma. Le popolazioni, atterrite,  si sottomisero rapidamente, dopo di che il generale si diresse verso Antioco I di Commagene, forse con l’intenzione di punirlo per aver accolto quei pochi fuggiaschi che erano giunti a lui dopo la sconfitta del monte Gindaro. Ventidio assediò così l’importante città di Samosata sul fiume Eufrate, ma mentre quest’assedio si prolungava più del previsto, arrivò nella regione Marco Antonio che subito prese il controllo delle operazioni. Da molte fonti antiche si evince che Marco Antonio fosse particolarmente invidioso dei grandi successi ottenuti da Ventidio Basso, ragion per cui lo rispedì a Roma, dopo di che conquistò Samosata e iniziò i preparativi per la sua campagna contro i Parti. In realtà Ventidio Basso ricevette un’entusiastica accoglienza a Roma per i suoi successi in Oriente culminati nella vittoria del Monte Gindaro e nella città vennero indette solenni cerimonie di ringraziamento agli dei, non solo, nel novembre del 38 a.C. Publio Ventidio Basso, celebrò, unico dei Romani, il trionfo sui Parti in riconoscimento della sua vendetta per la disfatta di Crasso a Carre.

Si ringrazia per le foto:

https://it.quora.com/In-che-modo-ununit%C3%A0-di-fanteria-poteva-contrastare-in-maniera-efficace-ununit%C3%A0-di-catafratti-Esiste-qualche-battaglia-in-cui-si-%C3%A8-verificata-questa-situazione

https://www.iltermopolio.com/archeo-e-arte/corpi-speciali-dellantichita-1

 

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