Battaglia di Capo Ecnomo

Combattuta nel 256 a.C. nel contesto della prima guerra punica, la battaglia di Capo Ecnomo si può ben annoverare tra gli scontri navali più cruenti e combattuti della storia antica, lo storico greco Polibio, grande esperto di tattiche militari, la racconta con dovizia di particolari, considerandola infatti  “la più grande battaglia navale” dell’antichità.

Battaglia di Capo Ecnomo
Battaglia di Capo Ecnomo

La Battaglia di Capo Ecnomo, contesto storico:

La prima guerra punica divampava da ormai otto lunghi anni e Romani e Cartaginesi avevano già avuto modo di confrontarsi più volte sia per terra, come ad Agrigento e in altre battaglie minori, sia per mare con alcuni scontri ben più decisivi come a Milazzo nel 260 a.C., in Sardegna e al largo di Tindari ancora in Sicilia. Proprio quest’ultima battaglia navale al largo delle coste siciliane, avvenuta nel 267 a.C., fece sostanzialmente capire alle due fazioni contendenti che era necessario uno sforzo ulteriore per poter prevalere, essendo il conflitto in quel momento in condizioni di sostanziale parità. Roma e Cartagine per prima cosa potenziarono ulteriormente le rispettive flotte, i punici però si trovarono nelle condizioni di dover rinforzare anche le forze terrestri che in Sicilia stavano subendo la forza delle legioni romane, perdendo numerosi insediamenti. Nei piani di Roma vi era l’idea di portare la guerra nei dintorni di Cartagine stessa, distogliendone così l’attenzione dalla Sicilia, per poter portare l’isola più facilmente sotto l’egida romana.

Nell’estate del 256 a.C., Polibio ci racconta che i romani: “…salparono con trecentosessanta navi lunghe coperte e approdarono a Messana (Messina). Salpati da lì, navigavano avendo la Sicilia a destra e, doppiato il Pachino (odierno Capo Passero), si spinsero fino all’Ecnomo, per il fatto che anche l’esercito di terra si trovava in quegli stessi luoghi. I Cartaginesi, salpati con trecentocinquanta navi coperte, si accostarono a Lilibeo (attuale Marsala), e da lì approdarono a Heraclea Minoa” (antico insediamento nei pressi di Agrigento).  Polibio, esperto di arte militare, calcola che ogni nave romana portasse trecento rematori e centoventi soldati di marina. Ne deriverebbe quindi una forza navale di circa 140.000 uomini. Con un calcolo analogo i Cartaginesi venivano accreditati di 150.000 uomini. Le cifre di Polibio, che possono essere più o meno discutibili, porterebbero comunque a mostrare uno scontro di dimensioni epiche. Si stavano affrontando oltre settecento navi e quasi trecentomila uomini.

La Battaglia di Capo Ecnomo, lo scontro:

La formazione di battaglia romana prevedeva le due navi a sei ordini di remi, con un console a bordo di ciascuna. I consoli erano Lucio Manlio Vulsone e Marco Atilio Regolo in sostituzione di Quinto Cedicio, deceduto in carica poco prima.  Affiancate sulla punta del cuneo erano poste altre due linee di navi in successione e una terza linea a chiudere la base del triangolo. Questa terza squadra doveva trainare e proteggere le navi da trasporto con i cavalli e l’equipaggiamento per l’invasione del territorio cartaginese. Una quarta linea di navi, più estesa della base del triangolo chiudeva la formazione con compiti di retroguardia. Dal canto cartaginese invece la formazione  venne disposta mettendo tre quarti delle navi su una sola linea spingendo l’ala destra in mare aperto, il restante quarto, piegato ad angolo, formava l’ala sinistra dello schieramento che così veniva ancorato alla terraferma e protetto da attacchi navali da quel lato. Questa ala era comandata da Amilcare, già sconfitto a Tindari l’anno precedente, mentre Il comando delle navi più potenti e veloci, poste all’estrema ala sinistra che doveva accerchiare la formazione romana, era affidato ad Annone che aveva visto le sue forze battute nella battaglia terrestre di Agrigento.

Subito dopo l’inizio del combattimento e seguendo gli ordini ricevuti, le navi del centro della formazione cartaginese volsero alla fuga per attrarre quelle romane e scompaginare la formazione. Le navi di punta romane si lanciarono all’inseguimento mentre le navi trasporto e la linea di retroguardia avanzavano lentamente mantenendo la formazione. Su questa formazione, più lenta, si scatenarono le navi cartaginesi dell’ala sinistra quando videro che la punta romana si era allontanata abbastanza. Per la maggiore velocità i cartaginesi riuscivano ad accostarsi e a retrocedere con più sicurezza. Le navi romane utilizzavano ancora il corvo ed erano quindi in grado di immobilizzare quelle nemiche permettendo proprio alle truppe di terra, trasportate, di combattere quasi come erano abituate a fare. Nello stesso tempo l’ala destra punica, che si era spinta in mare aperto, iniziò la manovra per attaccare le navi dell’ultima linea romana mettendole in difficoltà e tentando di completare l’accerchiamento. La formazione dell’ala sinistra infine, cambiando disposizione, attaccò le navi che trainavano i trasporti. Queste dovettero lasciare i cavi di traino e iniziare un duro combattimento a loro volta. L’esito della battaglia si risolse quando le navi comandate da  Amilcare, ricacciate indietro con la forza, si dettero veramente alla fuga e permisero al console Lucio Manlio Vulsone di ritornare verso la formazione romana portando al traino le navi catturate. Nello stesso tempo l’altro console Marco Atilio Regolo e i suoi si precipitarono al soccorso dei colleghi dell’ultima linea. Questi combattenti che già stavano soccombendo all’attacco di Annone ripresero coraggio; i Cartaginesi si trovarono affrontati davanti e dalle retrovie e per non venire circondati dovettero abbandonare lo scontro e allontanarsi in mare aperto. Le due squadre dei consoli, infine si lanciarono al soccorso di quelli che erano in pericolo e che riuscivano a resistere solo per il timore che i punici avevano dei “corvi” e del confronto ravvicinato. I Cartaginesi circondati lasciarono cinquanta navi in mano ai romani e solo poche unità riuscirono a sfuggire lungo la costa.

Dopo la battaglia di Capo Ecnomo, sempre secondo Polibio, i romani persero solo 24 navi e nessun vascello fatto prigioniero a differenza dei cartaginesi che videro cadute in mano romana ben 64 navi da guerra. Ritornati a terra, i Romani celebrarono la vittoria con premiazioni agli equipaggi, ripararono le navi catturate aggregandole alla loro flotta e, completato un nuovo rifornimento di vettovaglie, salparono alla volta dell’Africa, toccando terra presso la città chiamata Aspide (attuale Kelibia, in Tunisia), ribattezzata poi dai romani Clupea.

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