Filippo l’Arabo

Marco Giulio Filippo Augusto, meglio conosciuto come Filippo l’Arabo, nacque a Trachontis in Siria nel 204 d.C., e morì a Verona nel 249 d.C., egli fu Imperatore di Roma dal 244 d.C., fino alla sua morte avvenuta cinque anni più tardi.

Filippo l'Arabo
Filippo l’Arabo

Le notizie giunte fino a noi dei suoi cinque anni di regno sono poche e frammentarie, noto per le sue origini arabe ebbe l’onore di festeggiare il primo millennio dalla fondazione di Roma. Dopo una breve campagna militare sul fronte danubiano, per fronteggiare i disordini creati dalle popolazioni barbariche, Filippo l’Arabo fece ritorno nell’Urbe per consolidare i rapporti con il Senato e per celebrare con grande sfarzo, il 21 aprile del 248 d.C., la festa per i primi mille anni dalla fondazione della città. Sfortunatamente per lui la situazione alle frontiere si fece sempre più drammatica, i Goti varcarono il Danubio invadendo la Mesia, e nei mesi successivi vari usurpatori vennero acclamati dalle truppe, facendo terminare nel sangue il regno di Filippo l’Arabo, che come detto morì l’anno successivo. A Filippo successe il senatore Decio comandante delle truppe sul fronte danubiano.

Filippo l’Arabo, origini familiari e ascesa al trono:

Come scritto in precedenza delle sue origini familiari e della sua vita, poche notizie sono giunte fino ai giorni nostri, Filippo l’Arabo nacque in Siria nel 204 d.C. a Trachontis (odierna Shabab a circa 90 km a sud di Damasco), , che in seguito alla sua ascesa al trono imperiale egli stesso rinominò Philippopolis. Il padre era un certo Giulio Marino, un cittadino romano della zona, che alcune fonti ci dicono essere un personaggio di discreta rilevanza, totalmente sconosciute sono invece le origini materne. Da alcune fonti apprendiamo che Filippo l’Arabo potrebbe essere stato il fratello di Gaio Giulio Prisco, prefetto del pretorio sotto l’Imperatore Gordiano III. Attorno al 230 d.C., Filippo sposò Marcia Otacilia Severa, dalla quale, nel 238 d.C., ebbe un figlio che chiamò Marco Giulio Severo Filippo.

Ascesa al trono:

Nel 243 d.C., durante le campagne sasanidi di Gordiano III, il prefetto del pretorio Gaio Furio Aquila Timesiteo, morì in circostanze misteriose, così su suggerimento di Gaio Giulio Prisco, il giovane Imperatore Gordiano III, nominò Filippo come successore. In questo modo i due fratelli diventavano formalmente i due reggenti dell’Impero vista la giovane età di Gordiano che lo rendeva facilmente controllabile, inoltre, sempre a causa della naturale poca esperienza dell’Imperatore, la fedeltà dell’esercito nei suoi confronti lentamente scemava. Così a seguito della sconfitta nella battaglia di Mesiche, nei pressi di Ctesifonte, Gordiano ordinò all’esercito di ripiegare, e fu proprio in quel frangente che probabilmente Filippo l’Arabo fu preso dall’ambizione del potere imperiale, fomentando lo scontento nei soldati ormai inclini alla rivolta nei confronti del giovane Gordiano. Si racconta infatti che Filippo, appena si rese conto che gli approvvigionamenti per l’esercito erano sufficienti, ordinò alle navi che li trasportavano  lungo il fiume Eufrate di avanzare verso l’interno in modo che l’esercito,  alle prese coi morsi della fame, si ribellasse. Il piano di Filippo ebbe il successo da lui sperato, lo storico bizantino Zosimo, ci racconta che durante il ripiegamento dell’esercito tra Carre e Nisibis, alcuni soldati, infuriati per la mancanza di viveri, circondarono e uccisero Gordiano III, incolpandolo come unico responsabile dei loro problemi. Subito dopo l’assassinio, Filippo venne acclamato Imperatore dalle truppe e il suo primo gesto fu quello di divinizzare il giovane Gordiano appena scomparso.

Filippo l’Arabo, il regno:

La sconfitta nella battaglia di Mesiche e la conseguente morte di Gordiano III, portarono a Roma il ritiro definitivo delle sue armate da quelle regioni, riuscendo forse a mantenere la sola Mesopotamia e un controllo solo nominale dell’Armenia, sempre Zosimo ci parla di una pace disonorevole firmata proprio da Filippo, confermata in parte dagli scritti lasciati dal Re sasanide Sapore, che seppur in maniera assai propagandistica, sottolinea i 500.000 denari pagati da Filippo per riscattare i prigionieri, trasformandolo di fatto in un loro tributario. Nonostante tutto ciò Filippo si sentì autorizzato a fregiarsi del titolo di “Persicus Maximus”. Fatto sta che dopo tali eventi l’oriente romano venne affidato alla reggenza del fratello Gaio Giulio Prisco, mentre la linea difensiva del limes orientale veniva riorganizzata attorno alle roccaforti di Nisibis, Circersium e Resaina. Filippo l’Arabo fece  ritorno a Roma per consolidare i rapporti con il Senato, distinguendosi così dagli usurpatori che lo precedettero, diffondendo poi la notizia della morte di Gordiano per il sopraggiungere di una malattia. Filippo l’Arabo manifestò da subito l’intenzione di governare con moderazione, cercando di consolidarsi ancor di più il trono posizionando in alcuni ruoli chiave i suoi familiari. Come detto infatti al fratello Gaio Giulio Prisco affidò la responsabilità della parte orientale dell’Impero, al cognato Severiano affidò il comando delle legioni di stanza in Macedonia e Mesia, mentre la moglie Otacilia venne nominata “augusta”, al giovane figlio Giulio Severo conferì prima il titolo di “Cesare” e poi quello di “Augusto”.

Dopo aver costruito un grande bacino idrico al di là del Tevere per ovviare alla scarsità di acqua su quel lato del fiume, Filippo l’Arabo fu costretto a partire nel 245 d.C., verso la frontiera danubiana, dove la tribù dei Carpi, provenienti dalla Dacia, creava forti disordini, che ne il cognato Severiano, ne il governatore provinciale riuscivano in alcun modo ad arginare. L’Imperatore intervenne in prima persona quando la guerra si protraeva da quasi un anno, riportando una grande vittoria sulla tribù germanica dei Quadi nel 246 d.C., grazie alla quale gli venne attribuito il titolo di “Germanicus Maximus”, nel 247 d.C., l’offensiva romana proseguì lungo il corso del basso Danubio contro la tribù dacica dei Carpi, anche in questo caso grandi onori vennero tributati all’Imperatore Filippo che potè fregiarsi anche del titolo di “Carpicus Maximus”. Nel 248 d.C. una nuova minaccia si stagliava all’orizzonte, i Goti, infuriati per il mancato tributo promesso loro dall’ormai defunto Gordiano III, varcarono in massa il fiume Danubio, portando grandi devastazioni nella Mesia inferiore. La minaccia venne arginata dal generale delle truppe danubiane, Decio Traiano, presso Marcianopoli, da lungo tempo assediata. La resa dei Goti fu possibile grazie alla somma di denaro racimolata dalla popolazione stessa e dalle loro troppo rudimentali tecniche di assedio. Nell’aprile di quell’anno Filippo l’Arabo ebbe l’onore di presiedere alle celebrazioni dei mille anni dalla fondazione di Roma, che secondo numerose fonti, furono a dir poco sontuose: giochi spettacolari e rappresentazioni teatrali si alternarono per tutta la città, lo storico evento fu celebrato anche dalla letteratura dell’epoca, come ad esempio la “Storia di un millennio” scritta dallo scrittore e politico romano, Gaio Asinio Quadrato.

Questo momento di giubilo ebbe però una breve durata, nel medesimo periodo infatti scoppiarono nuove rivolte ad oriente, dove un certo Marco Iotapano sollevò i territori sotto il controllo di Gaio Giulio Prisco a causa della forte tassazione, in Mesia e Pannonia, il generale Tiberio Pacaziano, a capo del distretto militare di Sirmio, fu acclamato Imperatore dalle truppe, come se non bastasse fu la volta di due nuovi usurpatori: Sibannaco in Gallia, fermato dal futuro Imperatore, Decio, e Sponsiano in Dacia, fomentatore di un’altra rivolta terminata nel nulla.

Decio, il successore di Filippo l'Arabo
Decio, il successore di Filippo l’Arabo

Filippo l’Arabo, la caduta:

Filippo, turbato per le continue sommosse, chiese aiuto al Senato accettando anche una sua eventuale deposizione in caso di un mancato appoggio al suo operato. A tali proposte solo Gaio Quinto Messio Decio, uomo di nobile famiglia e molto stimato per le sue grandi virtù, rispose che l’Imperatore nulla doveva temere, e benchè quello che Decio predisse si avverò e le rivolte venissero mano a mano fermate più o meno facilmente, le preoccupazioni di Filippo non vennero meno, conoscendo bene l’odio dei soldati nelle regioni dove erano scoppiate le rivolte. L’Imperatore decise di fidarsi di Decio ponendolo a capo delle guarnigioni di Mesia e Pannonia, intimandolo di sconfiggere e punire tutti coloro che avevano osato di schierarsi con il generale Pacaziano. All’arrivo di Decio, per paura di essere puniti, nella primavera del 249 d.C., tutti i soldati lo accolsero proclamandolo Imperatore , avendo egli una maggior esperienza sia politica che militare. Decio messo decisamente alle strette fu costretto ad acconsentire alle insistenze dei militari e Filippo venuto a consocenza di ciò, non perse tempo e marciò velocemente contro il nuovo usurpatore. I soldati di Decio in palese inferiorità numerica, confidando però nelle maggiori capacità militari del proprio generale, ebbero infine la meglio sugli uomini di Filippo nei pressi di Verona all’inizio dell’estate del 249 d.C., vincendo una grande battaglia nella quale lo stesso Filippo l’Arabo perse la vita, non si sa se per mano nemica o per mano dei suoi stessi soldati desiderosi di mettersi in buona luce agli occhi del nuovo Imperatore. Quando queste notizie arrivarono a Roma, il giovane erede di Filippo, Severo venne ucciso dalla guardia pretoriana e il potere imperiale passo nelle mani di Decio. Una piccola curiosità, da fonti ecclesiastiche si apprende che Filippo l’Arabo fosse di religione cristiana, un particolare tutt’altro che scontato, anche se la sua conversione è ancora oggetto di dibattito e messa in dubbio, tant’è che durante il suo regno in tutto l’Impero romano continuava ad essere professata la normale religione di stato. Queste affermazioni troverebbero conferma se si pensa alla grande tolleranza dimostrata da Filippo nei confronti delle comunità cristiane, specie se confrontate con le grandi persecuzioni ordinate dal suo successore, Decio.

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