Guerre Celtibere

Le guerre Celtibere furono una serie di conflitti combattuti in più riprese fra il 181 a.C. e il 133 a.C. che videro contrapposte le armate di Roma alle popolazioni Celtibere, nell’ambito del consolidamento del dominio romano della Spagna centro-settentrionale. Le guerre Celtibere si conclusero nel 133 a.C., con la capitolazione dell’antica città di Numanzia, capitale della resistenza celtibera.

Guerre Celtibere
Guerre Celtibere

Guerre Celtibere, antefatti:

Al termine della seconda guerra punica, il dominio romano si estendeva praticamente sulla quasi totalità dei territori spagnoli affacciati sul mar Mediterraneo, ma è nel 197 a.C., che Roma decise di dividere questa regione in “Hispania Ulterior” e “Hispania Citerior”. Qualche anno più tardi Marco Porcio Catone, il famoso “censore”, approdò nella penisola iberica alla testa di un forte contingente armato, e grazie alle armi e alle sue celeberrime abilità diplomatiche, riuscì ad estendere i domini fino alla valle del fiume Ebro e ai Pirenei centro-orientali. In conseguenza di ciò la “Hispania Citerior”, si trovò così a ridosso delle regioni popolate dalle popolazioni celtibere, costituite da varie etnie ma di lingua celtica e fortemente influenzate dalla civiltà degli Iberi, dai quali appresero i sistemi di scrittura. Il contatto fra romani e celtiberi, fu inizialmente improntato alla pace e alla diplomazia, con accordi bilaterali e varie alleanze con alcune città stato di quei luoghi. Tuttavia i romani ben presto compresero quanto strategicamente fossero importanti quelle regioni, ricche di risorse minerarie e vero crocevia per il controllo del Mediterraneo e dell’Africa, ragion per cui iniziarono a valutare l’esigenza di mantenere in quei territori un forte contingente armato, non che di costituire un  vero e proprio apparato burocratico, per governare quelle regioni in modo più metodico e capillare. Per mantenere tutto questo si cominciò quindi a richiedere alle popolazioni celtibere tributi sempre più onerosi, compreso l’obbligo di reclutare nuove milizie e di pagare il mantenimento delle stesse. Lo scontento nel 187 a.C., ben presto iniziò a serpeggiare, in particolare nell’insediamento di Calagurris (odierna Calahorra), e nelle zone limitrofe, scoppiarono i primi tumulti. Lucio Manlio Acidino, giunto sul posto a capo del proprio esercito si rese subito conto che la rivolta era tutto sommato abbastanza circoscritta, e così preferì tentare di risolvere la questione con la diplomazia. A conseguenza di queste trattative l’insediamento di Calagurris perse la propria autonomia venendo annesso alla provincia romana dell’ Hispania Citerior, facendo capire ai celtiberi quanto il dominio romano si fosse fatto, per loro, sempre più ingombrante.

Guerre Celtibere, i conflitti:

La prima vera grande rivolta armata si ebbe nel 181 a.C., ad impugnare le armi furono la popolazione celtibera dei Lusoni, appoggiati da alcune altre tribù stanziate in quella che oggi è l’Aragona centro-occidentale. Il console romano, Flavio Flacco, intervenne prontamente espugnando in poco tempo alcuni insediamenti, compresa la città di Contrebia Belaisca, particolarmente munita di strutture difensive. Questi rapidi successi riportarono momentaneamente all’obbedienza le tribù indigene, ma nel 179 a.C., il console Tiberio Sempronio Gracco, risalendo la penisola iberica da sud, liberava la città di Caravis dall’assedio dei Lusoni, con i quali si trovò nuovamente a scontrarsi nelle vicinanze del massiccio del Moncayo, riportando una nettissima vittoria. La pace che ne seguì fu perseguita dalla stessa coalizione celtibera che però, allo stato delle cose, dovette sobbarcarsi i pesanti oneri della stessa, imposti dai romani, usciti vincitori.

Nel 154 a.C., nell’importante città di Segeda (poco distante dall’odierna Saragozza), iniziarono le costruzioni di una nuova cinta muraria, molto più poderosa della precedente, e di nuovi sistemi di difesa. Roma ritenne violati i precedenti accordi di pace siglati 25 anni prima, intimando alla popolazione di cessare immediatamente ogni attività. Gli appelli romani caddero nel vuoto e le nuove fortificazioni vennero completate l’anno successivo. Nella primavera del 153 a.C., il console romano Quinto Fulvio Nobiliore si presentò con le sue legioni nella regione, dove prontamente sconfisse la coalizione di celtiberi che gli si erano opposti, costringendoli di conseguenza ad abbandonare la città per rifugiarsi nella più sicura Numantia, capitale della tribù degli Arevaci. Le operazioni militari in quella zona vennero però interrotte, sia per la volontà dei celtiberi di avviare trattative di pace, sia perchè scoppiarono tumulti anti-romani in Lusitania che rischiavano di espandersi con il pericolo di creare un unico ed ampio fronte con le popolazioni celtibere delle regioni centrali. Nel 152 a.C., Marco Claudio Marcello, eletto console, sostituì Quinto Flavio Nobiliore nella conduzione della guerra, imprimendo una svolta decisiva al conflitto. Il fronte principale divenne la Lusitania, ragion per cui il nuovo console stanziò il suo quartier generale a Cordoba, intimando alle tribù celtibere nemiche, ma anche a quelle alleate di inviare ambasciatori a Roma per discuterne col Senato, il quale, al termine deliberò sulla prosecuzione del conflitto. Con i successi dipolmatici del console, che portarono alcune città ribelli nuovamente sotto l’egida romana, la guerra tornò a segnare il passo. La rivolta lusitana infatti continuava a richiedere notevoli sforzi, umani ed economici, in più poco più a nord, la tribù dei Vaccei, finora in disparte, inziò ad inquietarsi per un eventuale allargamento del conflitto. La realtiva stabilità raggiunta, non impedì comunque ai consoli in carica per il 151 a.C., Lucio Licinio Lucullo e Publio Cornelio Scipione Emiliano,  di scatenare un guerra preventiva proprio nella regione dei Vaccei, conquistando alcuni importanti insediamenti e saccheggiando le campagne circostanti.

Guerre Celtibere
Guerre Celtibere, guerrieri celtiberi.

Nel 143 a.C., spinti dai successi del condottiero lusitano, Viriato, le tribù celtibere si sollevarono nuovamente, denunciando gli accordi di pace stipulati nel 179 a.C. e nel 151 a.C.. Il console Quinto Cecilio Metello Macedonico, venne quindi inviato in Spagna per sedare questa ennesima rivolta, riportando subito alcuni rapidi successi. Negli anni successivi i vari consoli si susseguirono su quel fronte, ma ne Quinto Pompeo ne Popilio Lenate, ne Gaio Ostilio Mancino riuscirono ad assestare colpi decisivi che segnassero la fine della guerra. Ogni tentativo si infrangeva sulla strenua resistenza della fortificatissima città di Numantia, capitale degli Arevaci. Arevaci con cui finì per trattare il giovane questore di Gaio Ostilio Mancino, Tiberio Sempronio Gracco, poi divenuto celebre per la sua riforma agraria. I trattati conclusi non vennero però riconosciuti dal Senato in quanto considerati disonorevoli per Roma. Nei due anni successivi il fronte celtibero rimase sostanzialmente tranquillo, anche perchè i romani  erano ancora molto impegnati nella pacificazione della Lusitania, e dalle interminabili lotte contro la tribù dei Vaccei, ma quando nel 136 a.C., si risolse il primo di questi due problemi, e e nel 135 a.C., venne eliminata la più cospicua sacca di resistenza vaccea, Roma aveva praticamente circondato la Celtiberia e si preparava a sferrare il colpo decisivo.

Guerre Celtibere, rovine dell'antica Numantia
Guerre Celtibere, rovine dell’antica Numantia

Guerre Celtibere, assedio di Numantia e conclusione della guerra:

Nel 134 a.C. venne richiamato in Spagna per la seconda volta il rieletto console, Publio Cornelio Scipione Emiliano. Insieme a lui sbarcarono sulla penisola anche un giovane Gaio Mario, che si rese celebre alcuni decenni più tardi per la sua riforma dell’esercito, e il principe numida Giugurta che pochi anni dopo divenne il protagonista di una ribellione contro l’autorità romana, alla guida di dodici elefanti da guerra. Scipione Emiliano capì immediatamente che il fulcro della questione era l’insediamento di Numantia, centro difensivo degli Arevaci e più in generale un vero punto di riferimento per tutte le tribù celtibere, che andava necessariamente espugnato a qualunque costo. Per prima cosa il nipote del più celebre Scipione, vincitore a Zama contro Annibale, prese a rincuorare e a riorganizzare il proprio esercito, scoraggiato da anni di insuccessi alle porte di quella città, convincendo i propri soldati che la cittadella, se non con le armi, poteva essere presa per fame. Senza perdere ulteriore tempo Scipione Emiliano fece circondare la città da una doppia barricata, isolandola completamente da un qualunque approvvigionamento esterno. Si impegnò poi a dissuadere le città vicine dal portare, o tentare di portare, aiuto a Numantia, presentandosi in armi alle porte di ciascun insediamento, sottomettendoli e obbligandoli alla consegna di ostaggi. Dopo quasi un anno di assedio gli abitanti di Numantia, stremati dalla fame tentarono di intavolare trattative di pace con Scipione, ma saputo che egli non avrebbe accettato altro se non una totale resa incondizionata, i pochi ancora in grado di combattere tentarono un ultimo assalto alle fortificazioni romane cercando di aprirvi un varco. Il fallimento di questo estremo tentativo spinse i superstiti, almeno secondo la leggenda, a bruciare la città e a morire con essa tra le fiamme. Di certo c’è che non tutti persero la vita, molti numantini infatti vennero catturati e presi in ostaggio per partecipare al corteo trionfale di Scipione Emiliano per le vie di Roma. Numantia, esattamente come Cartagine pochi anni prima venne completamente rasa al suolo, ma in particolare l’epilogo di questo assedio non solo segnava il termine delle guerre celtibere ma rappresentava anche l’affermarsi dell’egemonia romana sulla Spagna centro settentrionale e la definitiva pacificazione di quasi tutta la penisola iberica.

 

 

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