I Decemviri

I Decemviri (tradizionalmente “Decemviri Legibus Scribundis Consularis Imperio”), costituirono il comitato eletto dal popolo romano per redigere nuove leggi che regolassero l’ordinamento romano, al fine di porre termine l’annosa contrapposizione che vedeva opposta la plebe al patriziato romano, e di conseguenza i consoli ai tribuni, creando, di fatto, una sorta di paralisi politica che iniziava a nuocere non poco allo sviluppo della città. Questa fase di incertezza rinvigorì anche le popolazioni vicine più belligeranti come Equi Volsci e Sabini che ogni anno minacciavano sempre più da vicino l’Urbe. Questa nuova esperienza politica, che sostituiva il consolato, fu di breve durata benchè il primo anno venne considerato molto positivo per l’ottima predisposizione dei Decemviri. Nel secondo anno però, quando il loro mandato venne esteso, quasi tutti di questi ultimi vennero sostituiti, e la sete di potere prese il sopravvento, trasformando il decemvirato in una sorta di tirannia, che, a causa di svariati torti e crimini perpetrati ai danni della popolazione stessa, trovò la sua fine.

I Decemviri
I Decemviri

I Decemviri, 452 a.C.:

Nel 452 a.C., patrizi e plebei, dopo anni di contrapposizioni, giunsero ad un accordo sulla nomina di dieci personaggi che vennero così eletti per redigere nuove leggi che definissero i prìncipi dell’ordinamento romano. Durante il loro mandato ogni altra magistratura veniva sospesa, e ogni decisione dei Decemviri non sarebbe stata soggetta a nessun appello.

451 a.C.:

Nel 451 a.C., venne così composto il primo gruppo di Decemviri, e costituito interamente dal patriziato. I Decemviri erano guidati da Appio Claudio e Tito Genucio Augurino, che quell’anno risultarono come ultimi consoli in carica, a cui vennero affiancati Aulo Manlio Vulsone, Servio Sulpicio Camerino e Spurio Postumio Albo, per essere coloro che, tre anni prima, si erano recati come ambasciatori fino ad Atene per raccogliere informazioni sulle leggi e le istituzioni greche. Completarono il decemvirato altri esponenti della politica romana come: Tito Veturio Crasso, Gaio Giulio Iullo, Publio Sestio Capitone, Publio Curiazio e Tito Romilio. Ogni Decemviro quindi amministrava il governo, a turno per un giorno, e ognuno di essi, solo per quel giorno era preceduto dai littori che portavano i fasci. Come detto in precedenza, nonostante le decisioni dei Decemviri non potevano essere in alcun modo appellate, la loro condotta fu esemplare e il codice di leggi, (leggi delle XII tavole),  integrato agli emendamenti dei cittadini stessi, venne presentato e approvato dai comizi centuriati. Ritenuto al termine di quell’anno che il lavoro necessitava di ulteriore tempo per essere perfezionato, patrizi e plebei si accordarono per eleggere altri Decemviri per l’anno successivo.

450 a.C.:

Dei Decemviri dell’anno precedente, il solo Appio Claudio venne rieletto, gli altri furono: Marco Cornelio Maluginense, Marco Sergio, Lucio Minucio, Quinto Fabio Vibulano, Quinto Petelio, Tito Antonio, Cesone Duillio, Spurio Oppio e Manio Rabuleio,  e subito questo secondo collegio aggiunse due nuove leggi a quelle già redatte, costituendo così il nucleo della costituzione romana per molti secoli. Tuttavia il comportamento di questo secondo Decemvirato si fece da subito più discutibile e violento, basti pensare che ogni decemviro era assistito da dodici littori, che portavano i fasci con le asce anche all’interno della città (solo i consoli ed i dittatori erano assistiti da dodici littori e soltanto il dittatore poteva mostrare i fasci con le asce all’interno del pomerium), e contrariamente a quanto accaduto con il primo decemvirato, nessuno dei dieci consiglieri poteva opporsi alle decisioni dei colleghi. All’epoca alcuni senatori lamentavano il fatto che il Foro romano era ormai occupato più dai numerosi littori dei Decemviri che dal popolo stesso, altri come Orazio Barbato, non fu meno veemente, e nel corso di un dibattito in Senato, arrivò persino ad apostrofare i Decemviri come “Dieci Tarquini”. Al termine del loro mandato i Decemviri rifiutarono di lasciare l’incarico per dare modo ai successori di subentrare, mantenendo così il potere che gli derivava dalla loro magistratura, ma anche a causa dell’incerto Senato che se da una parte detestava i Decemviri, dall’altra non vedeva di buon occhio neppure la plebe, che per anni, per mezzo dei tribuni, aveva osteggiato la politica e lo sviluppo della città. La discordia regnava sovrana, e le voci di tale discordia uscirono dalle mura della città per espandersi nelle campagne e nei territori circostanti, e di questa debolezza le belligeranti popolazioni vicine tentarono di approfittare. I Sabini devastarono le campagne romane fin quasi nei pressi delle mura senza incontrare nessuna resistenza, e la stessa cosa fecero gli Equi nei pressi di Tusculum, sui colli Albani, alleata di Roma.

Un esercito venne raccolto dai Decemviri solo grazie all’inerzia del Senato che permise la leva, venne poi diviso in due parti e spedito in marcia verso le due popolazioni nemiche. Il malumore della plebe, ma non solo, era oramai dilagante, ma due episodi in particolare decretarono la fine del decemvirato.

I Decemviri, le morti di Lucio Siccio Dentato e di Virginia:

Lucio Siccio Dentato, già tribuno della plebe nel 454 a.C., faceva parte di quell’esercito diretto contro i Sabini, per i suoi trascorsi politici, all’interno dell’esercito stesso, era uno dei più attivi ad aizzare gli animi nei confronti dei nuovi tiranni. Alcuni dei Decemviri a guida di quel contingente, saputo di quanto Lucio Siccio fosse in grado di sobillare gli animi, venne mandato, con alcuni uomini, in perlustrazione. Quel piccolo contingente, organizzato dai Decemviri stessi, aveva il compito di isolare Lucio Siccio, che in battaglia era conosciuto fra i più valorosi, e assassinarlo. La trappola riuscì e il valoroso Lucio Siccio cadde, non senza però uccidere e ferire molti dei suoi sicari. I sopravvisuti fecero ritorno al campo sostenendo di essere caduti in un’imboscata, e se all’inizio molti non ebbero ad avere dubbi di tale versione, in seguito quando però ne vennero recuperati i corpi, dalla mancanza di tracce nemiche, si capì che si era trattato di un tranello. I soldati presero così ad agitarsi minacciando una rivolta se il corpo di Lucio Siccio non fosse subito portato a Roma con tutti gli onori. I Decemviri presero tempo e riuscirono a sopire gli animi dell’esercito organizzando un funerale di stato con tutti gli onori del caso. La faccenda si chiuse sul momento ma il malcontento aumentava.

La morte di Virginia:

L’unico Decemviro rieletto dall’anno precedente, Appio Claudio, si invaghì perdutamente di una giovane vergine, chiamata Virginia, già promessa in sposa dal padre Virginio, al tribuno della plebe Lucio Icilio. Appio Claudio tentò dapprima di abbindolare la giovane ragazza con molti doni, lusinghe e denaro, senza però alcun risultato. Approfittando quindi dell’assenza del padre, Lucio Virginio, che militava nell’esercito accampato nei pressi del Monte Algido per contrastare gli Equi, Appio Claudio, convinse un suo cliente, Marco Claudio, a sostenere che la giovane Virginia fosse sua schiava. Trovandosi così nel Foro, Marco Claudio tentò di prendere con la forza la giovane Virginia, che però con l’aiuto della folla venne tratta in salvo. Marco Claudio non si diede per vinto e portò la causa in tribunale, che guarda caso, era presieduto proprio da Appio Claudio. I difensori della ragazza testimoniarono la paternità romana di Virginia e chiesero che ogni decisione fosse presa dopo l’arrivo in città del padre. Lo stesso fidanzato di Virginia, Icilio e lo zio Numitorio partirono subito verso il Monte Algido per avvisare il padre di ciò che stava accadendo. Per sventare la difesa, Appio Claudio mandò a dire ai Decemviri di rifiutare la licenza di Virginio e di non farlo partire a qualsiasi costo, Icilio e Numitorio furono però più veloci dei messaggeri di Appio, e già la notte stessa Lucio Virginio fece ritorno in città. Il giorno successivo quindi iniziò il processo con le dichiarazioni del padre, ma Appio Claudio lo interruppe confermando il giudizio iniziale, accordando la ragazza come schiava del suo cliente Marco Claudio. In questa dichiarazione il Decemviro Appio rese talmente evidente il suo scopo che il padre Lucio Virginio minacciò un’azione di forza. Con la folla in tumulto Appio Claudio usò i littori per dispedere coloro che si trovavano nel Foro, e nel mentre concesse a Lucio Virginio un ultimo momento con la figlia, che egli portò nel tempio di Venere, ma appena entrati  con queste parole la trafisse con un pugnale: “Così, figlia mia, io rivendico la tua libertà nell’unico modo a mia disposizione!”. Furibondo, Appio Claudio, ordinò l’arresto di Virginio, ma quest’ultimo, anche con l’aiuto della folla riuscì a fuggire e fare ritorno al campo, dove ancora macchiato del sangue della figlia, raccontò tutto l’accaduto, riuscendo così a convincere l’esercito a ritirarsi dal campo di battaglia, vero prologo della cacciata dei Decemviri.

I Decemviri, la morte di Virginia
I Decemviri, la morte di Virginia

I Decemviri, epilogo:

Il malumore e l’indignazione per tali atti costituirono la classica goccia che fa trabboccare il vaso, i due eserciti schierati contro Equi e Sabini si ritirarono dai rispettivi campi di battaglia per fare ritorno a Roma, prima però si accamparono sull’Aventino e in un secondo tempo sul Monte Sacro, minacciando di abbandonare definitivamente la città.  Bastò solo la minaccia di una nuova secessione per far recuperare ai Senatori le proprie prerogative, intavolando negoziati coi secessionisti, giacchè i Decemviri sapendo di essere fortemente impopolari fra la plebe, temevano per la propria vita. Al termine di tali trattative i Decemviri furono infine costretti a lasciare il loro incarico, vennero subito indette le elezioni per eleggere i tribuni della plebe, e dopo un breve interregno anche quelle per l’elezione dei nuovi Consoli.

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