I Decreti di Teodosio

I decreti di Teodosio furono una serie di provvedimenti emessi dallo stesso imperatore fra il 391 e il 392 d.C., allo scopo di penalizzare il paganesimo e tutti coloro che ancora professavano l’antica religione, a beneficio del cristianesimo che già da decenni aveva preso il sopravvento. Tali decreti mettevano in pratica ciò che era stato redatto con l’editto di Tessalonica del 380 d.C., promulgato non solo dallo stesso Teodosio, ma anche dai suoi predecessori: Valentiniano II e Graziano, nel quale veniva elevato il cristianesimo a religione di stato.

I Decreti di Teodosio, l'imperatore Teodosio
I Decreti di Teodosio, l’imperatore Teodosio

I DECRETI DI TEODOSIO, IL PRIMO DECRETO: “NEMO SE HOSTIIS POLLUAT”:

Emesso a Milano il 24 febbraio del 391 d.C., questo primo decreto metteva al bando ogni genere di sacrificio pagano, anche in forma strettamente privata, inoltre proibiva l’entrata nei templi delle antiche divinità, l’avvicinamento ai santuari e ogni forma di adorazione verso una statua o un qualunque manufatto, la pena prevista per la mancata osservanza di queste regole, era il pagamento di 15 libbre d’oro. Il decreto così redatto venne inviato al prefetto di Roma, Ceionio Rufo Albino:

«L’Augusto Imperatore  ad Albino, prefetto del pretorio:

Nessuno violi la propria purezza con riti sacrificali, nessuno immoli vittime innocenti, nessuno si avvicini ai santuari, entri nei templi e volga lo sguardo alle statue scolpite da mano mortale perché non si renda meritevole di sanzioni divine ed umane. Questo decreto moderi anche i giudici, in modo che, se qualcuno dedito a un rito profano entra nel tempio di qualche località, mentre è in viaggio o nella sua stessa città, con l’intenzione di pregare, venga questi costretto a pagare immediatamente 15 libbre d’oro e tale pena non venga estinta se non si trova innanzi a un giudice e consegna tale somma subito con pubblica attestazione. Vigilino sull’esecuzione di tale norma, con egual esito, i sei governatori consolari, i quattro presidi e i loro subalterni.

Milano, in data VI calende di marzo sotto il consolato di Taziano e Simmaco.»

 

Il secondo dei decreti di Teodosio, venne emesso a Concordia Sagittaria, nei pressi dell’odierna Portogruaro, non distante da Venezia,  l’11 maggio del 391 d.C., e questa volta prendeva in considerazione i cosiddetti “Lapsi”, ovvero coloro i quali avevano già abbracciato il cristianesimo, ma per paura di ritorsioni erano tornati agli usi e costumi pagani. Tale decreto venne sottoscritto da Teodosio e inviato al prefetto di Italia, Africa e Illirico, Virio Flaviano:

«Gli augusti imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio a Flaviano, prefetto del pretorio.

Coloro che hanno tradito la santa fede e hanno profanato il santo battesimo, siano banditi dalla comune società: dalla testimonianza  siano esentati, e come già abbiamo sancito non abbiano parte nei testamenti, non ereditino nulla, da nessuno siano indicati come eredi. Coloro ai quali era stato comandato di andarsene lontano ed essere esiliati per lungo tempo, se non sono stati visti versare un compenso maggiore tra gli uomini, anche dell’intercessione degli uomini siano privati.

Se casomai nello stato precedente  ritornano, non sia cancellata la vergogna dei costumi con la penitenza, né sia riservata loro alcuna particolare protezione di difesa o di riparo, poiché certamente coloro i quali contaminarono la fede, con la quale Dio hanno riconosciuto, e orgogliosamente trasformarono i divini misteri in cose profane, non possono conservare le cose che sono immaginarie e a proprio comodo. Ai lapsi ed anche ai girovaghi, certamente perduti, in quanto profanatori del santo battesimo, non si viene in soccorso con alcun rimedio di penitenza, alla quale si ricorre ed è solita giovare negli altri peccati.

A Concordia, in data V idi di maggio sotto il consolato di Taziano e Simmaco».

Appena un mese più tardi, i decreti di Teodosio si arricchirono di un’altro editto, nel quale si vietava espressamente ogni forma di culto pagano nei templi, questo venne redatto dall’imperatore il 16 di giugno del 391 d.C., mentre quest’ultimo si trovava ad Aquileia:

«L’Augusto Imperatore  al prefetto Evagrio e a Romano conte d’Egitto.

A nessuno sia accordata facoltà di compiere riti sacrificali, nessuno si aggiri attorno ai templi, nessuno volga lo sguardo verso i santuari. Si identifichino, in particolar modo, quegli ingressi profani che rimangono chiusi in ostacolo alla nostra legge così che, se qualcosa incita chicchessia ad infrangere tali divieti riguardanti gli dèi e le cose sacre, riconosca il trasgressore di doversi spogliare di alcuna indulgenza. Anche il giudice, se durante l’esercizio della sua carica ha fatto ingresso come sacrilego trasgressore in quei luoghi corrotti confidando nei privilegi che derivano dalla sua posizione, sia costretto a versare nelle nostre casse una somma pari a 15 libbre d’oro a meno che non abbia ovviato alla sua colpa una volta riunitesi le truppe militari.

Aquileia, in data XVI calende di luglio, sotto il consolato di Taziano e Simmaco.»

Quest’ultimo decreto in particolare destò grande indignazione, anche perchè è vero che il cristianesimo venne dichiarato religione di stato, ma la maggior parte dei cittadini dell’impero erano ancora legatissimi ai vecchi culti e alle antiche tradizioni, scatenando quindi un’ondata di proteste che sfociò in molti casi in vere e proprie occupazioni armate degli antichi templi, costringendo l’esercito imperiale ad intervenire con decisione, devastando quei luoghi. L’esempio più limpido che ci fa capire la tensione che serpeggiava in tutto l’impero, viene dimostrato da ciò che successe in Egitto, ad Alessandria, quando il vescovo della città, Teofilo, chiese ed ottenne dall’imperatore Teodosio, di tramutare il grande tempio di Dioniso in una chiesa. La popolazione reagì violentemente, e per le strade si scatenò una vera e propria battaglia fra esponenti del nuovo e dell’antico culto. Al culmine della rivolta i pagani si asserragliarono all’interno del tempio scegliendo di combattere fino alla morte piuttosto che rinunciare alle loro antiche tradizioni. Anche altri monumenti in altre antiche città orientali come Efeso e Antiochia, non furono risparmiate dai disordini scoppiati per le stesse motivazioni.

I Decreti di Teodosio, l'editto di Tessalonica
I Decreti di Teodosio, l’editto di Tessalonica

DECRETO DELL’8 NOVEMBRE DEL 392 D.C., “GENTILICIA CONSTITERIT SUPERSTITIONE”:

Questo quarto decreto, emanato a Costantinopoli, proibì ogni rito pagano privato, come ad esempio quello dei Lari e dei Penati, che si teneva all’interno di ogni singola abitazione. Questo nuovo editto prevedeva il reato di lesa maestà per chi effettuava sacrifici, fino alla perdita di ogni diritto civile, e nei casi più gravi anche la pena capitale. Le abitazioni che fossero state teatro di tali azioni sarebbero state immediatamente confiscate, e molto alte erano le multe ai decurioni (che avevano il compito di far rispettare l’editto), nel caso non avessero adempiuto al loro dovere.

«Gli augusti imperatori Teodosio, Arcadio e Onorio a Rufino prefetto del pretorio.

Nessuno, di qualunque genere, ordine, classe o posizione sociale o ruolo onorifico, sia di nascita nobile sia di condizione umile, in alcun luogo per quanto lontano, in nessuna città scolpisca simulacri mancanti di sensazioni o offra  vittima innocente  o bruci segretamente un sacrificio ai lari, ai geni, ai penati, accenda fuochi, offra incensi, apponga corone. Poiché se si ascolterà che qualcuna avrà immolato una vittima sacrificale o avrà consultato viscere, sia accusato di reato di lesa maestà e accolga la sentenza competente, benché non abbia cercato nulla contro il principio della salvezza  o contro la  salvezza. È sufficiente infatti per l’accusa di crimine il volere contrastare la stessa legge, perseguire le azioni illecite, manifestare le cose occulte, tentare di fare le cose interdette, cercare una salvezza diversa, promettere una speranza diversa.

Se qualcuno poi ha venerato opere mortali e simulacri mondani con incenso e, ridicolo esempio, teme anche coloro che essi rappresentano, o ha incoronato alberi con fasce, o eretto altari con zolle scavate alle vane immagini, più umilmente è possibile un castigo di multa: ha tentato una ingiuria alla piena religione, è reo di violata religione. Sia multato nelle cose di casa o nel possesso, essendosi reso servo della superstizione pagana. Tutti i luoghi poi nei quali siano stati offerti sacrifici d’incenso, se il fatto viene comprovato, siano associati al nostro fisco. Se poi in templi e luoghi di culto pubblici o in edifici rurali qualcuno cerca di sacrificare ai geni, se il padrone di casa non ne è a conoscenza, 25 libbre di oro di multa si propone di infliggere, è bene poi essere indulgenti verso lui  e la pena trattenere.

Poiché poi vogliamo custodire l’integrità di giudici o difensori e ufficiali delle varie città, siano subito denunciati coloro scoperti, quelli accusati siano puniti. Se questi infatti sono creduti nascondenti favori o negligenze, saranno sotto giudizio. Coloro poi che assolvono (gli accusati di idolatria) con finzione, saranno multati di 30 libbre di oro, sottostando anche agli obblighi che derivano da un loro simile comportamento dannoso.

Costantinopoli, in data VI idi di novembre, sotto il consolato di Arcadio e Rufino.»

 

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