Il conflitto con Taranto

Il conflitto con Taranto si sviluppa nel corso del III secolo a.C., l’espansionismo romano girava pagina, in precedenza, Roma, aveva preso il controllo di tutta l’area laziale, respinto i Galli provenienti dal nord, stipulato trattati con gli Etruschi e sconfitto i Sanniti dopo decenni di cruenti battaglie, ma ora lo sguardo veniva rivolto a tutta l’Italia centrale e a parte di quella meridionale. La Magna Grecia si preparava così ad entrare negli obiettivi della città eterna.

Il conflitto con Taranto
Il conflitto con Taranto

IL CONFLITTO CON TARANTO, LA SPINTA ROMANA VERSO IL SUD:

La costruzione della “Regina Viarum” ovvero la via Appia, con la relativa deduzione di colonie di diritto latino lungo il percorso, rendono fin da subito chiare le intenzioni romane verso quei territori, l’interesse verso quelle regioni, non era infatti una prerogativa delle sole famiglie aristocratiche dell’epoca, ma era un chiaro obiettivo che riguardava trasversalmente tutto il mondo politico, ma non solo, anche il popolo stesso, guardava con favore ad una tale ipotesi. L’avanzata romana verso sud era dettata da motivi economici e culturali, a cui però si contrapponeva la cultutra greca, forte di un organizzazione politico e militare di alto livello e forgiata nei secoli passati. La prima mossa di Roma, fu quella a lei più congeniale, ovvero mettere discordia fra le diverse popolazioni locali, corrodendo lentamente quei legami che le univano, per fiaccarne la resistenza, e indebolirne la forza. A tal fine, come scritto sopra, vennero dedotte le colonie di Luceria e Venosa, e la via Appia venne prolungata fino al porto di Brindisi. I contatti fra queste due culture esistevano da tempo, particolarmente per motivi economici, tuttavia la crescente ricchezza portata da questi scambi fece nascere un certo interesse in tutto il mondo politico di Roma, tanto da influenzare le scelte del Senato, tanto da trasformare un normale scambio di merci, ad una grossa fetta dell’economia della città. Le vicende di quegli anni, con l’espansionismo romano in crescita, fecero si che divennero sempre più insistenti le richieste di parte della popolazione, che richiedeva nuove terre da coltivare, lo sfogo naturale di queste pressioni non poteva che guardare a sud.

IL CONFLITTO CON TARANTO, LA SFIDA PER L’EGEMONIA:

Per diversi secoli tutto il territorio dell’Italia meridionale, era stato sotto la diretta influenza delle colonie greche, ma dal IV sec. a.C., iniziò un progressivo declino, portato dalle continue invasioni di popolazioni italiche come i Bruzi e i Lucani. Mentre tutto ciò accadeva, Roma era ancora impegnata negli interminabili conflitti sanniti, il che non le fece mai prendere una posizione definita sulle popolazioni più a sud, semplicemente appoggiava o osteggiava il loro operato, a seconda della convenienza del momento, vi era l’intenzione di fare entrare nell’orbita romana anche quelle genti, ma il tutto sarebbe avvenuto nel tempo, senza nessuna fretta. Fra tutte le città della Magna Grecia, Taranto, era senza dubbio la città più ricca, colonia dorica, la cui madre patria era Sparta, si vide costretta ad assoldare mercenari, provenienti da altre città alleate, per fronteggiare quelle continue minacce portate dai Lucani. Nel corso di questi conflitti, Taranto, per tutelare i suoi interessi, fra i quali vi era l’intenzione di conquistare l’intera Apulia,  aveva stipulato dei trattati con Roma, nei quali si vietava alle navi dell’Urbe di oltrepassare il promontorio Lacinio, (oggi Capo Colonna, nei pressi di Crotone). A Roma però si capì subito che tali accordi vertevano a frenarne l’espansionismo, e per tutta risposta, nel 327 a.C., ci fu l’alleanza con Napoli, e nel 314 a.C., venne dedotta la colonia di Luceria. Nel frattempo però a Taranto si combatteva con alterne fortune, i Lucani erano tutt’altro che sprovveduti, finchè l’ultimo generale assoldato, Agatocle di Siracusa, riportò l’ordine nella regione. Qualcosa però si stava modificando negli equilibri politici e militari, i Greci infatti guardavano dubbiosi le città del sud Italia, sotto la loro influenza, domandandosi se non fosse il caso di tenere più in considerazione la nascente e lungimirante potenza romana, che aveva ancora così tanto da sviluppare, la morte del generale Agatocle, avvenuta nel 289 a.C., fece il resto e l’occasione per Roma, di elevarsi a scudo della città della Magna Grecia, si palesò di li a poco.  I Lucani, tutt’altro che fiaccati, si riorganizzarono ed assalirono la città di Thurii, alleata di Roma, gli abitanti, sfiduciati dagli scarsi risultati ottenuti contro di loro dai mercenari tarantini, chiesero aiuto a Roma, con due ambasciate, e solo dopo la seconda, il console Gaio Fabricio Luscino, pose una guarnigione a Thurii, per poi avanzare contro i Lucani, sconfiggendoli nettamente. La voce si sparse in poco tempo, molte altre città come, Reggio, Locri e Crotone, evitarono di rivolgersi a Taranto, per richiedere l’aiuto romano, e per tutto risposta, dall’Urbe arrivò a Reggio un contingente di 4.000 soldati. Naturalmente tutto questo a Taranto era visto di cattivissimo occhio, considerando gli eventi una reale minaccia alla sua supremazia, e temendo concretamente che il suo ruolo di preminenza nei confronti delle altre città italiche venisse messo in discussione. Per contro, nonostante le operazioni belliche romane si fossero svolte sulla terra ferma, e non per mare, gli accordi presi con la città di Thurii, che pur sempre si trovava a ridosso del golfo tarantino, rappresentò per la città greca un evidente tradimento degli accordi sottoscritti anni prima

Il conflitto con Taranto
Il conflitto con Taranto

IL CONFLITTO CON TARANTO, LA PROVOCAZIONE:

Nel 282 a.C., dieci imbarcazioni della flotta romana arrivarono nel golfo di Taranto per fermarsi di fronte al porto della città. La motivazione di questa mossa rimane misteriosa, probabilmente fu attuata per appoggiare le operazioni militari ancora in atto del console Fabricio Luscino, o forse per poter meglio raggiungere le nuove colonie sulla costa adriatica, fatto sta che mentre le navi romane facevano la loro comparsa, i tarantini erano impegnati nelle celebrazioni a Dioniso, in un teatro affacciato proprio sul mare, assistendo alla scena in diretta. Presi dalla frenesia, credendo di essere sotto attacco, i cittadini di Taranto si prepararono all’azione. Lo scontro che ne seguì vide affondate quattro navi romane e una catturata, mentre le altre cinque riuscirono a fuggire, fra i romani sconfitti, molti vennero imprigionati e altri giustiziati sommariamente. La violenza della risposta fa trasparire una volta di più il malumore che già serpeggiava in città, per l’ingerenza romana nei territori della Magna Grecia, considerando di fatto superato il trattato firmato in precedenza. I tarantini non si fermarono, e convinti dell’atteggiamento ormai ostile dei romani, marciarono su Thurii prendendola d’assalto, cacciando la guarnigione presente, ma Roma non rispose subito con l’uso delle armi. Il Senato infatti si spaccò al suo interno fra quanti avrebbero voluto liquidare la questione tarantina nel più breve tempo possibile, e fra chi invece non vedeva di buon occhio un eccessivo espansionismo al meridione, e spingeva per una soluzione diplomatica. Al termine di accese discussioni ebbe la meglio la frangia pacifista e si tentò una mediazione politica. Vennero quindi inviati degli ambasciatori per chiedere la liberazione di quanti erano stati fatti prigionieri, la consegna dei responsabili dell’attacco alle navi romane, e la restituzione di tutti i beni depredati ai cittadini di Thurii durante l’assalto. I tarantini ascoltarono i discorsi degli ambasciatori, schernendoli e ricoprendoli di insulti per il loro modo approssimativo di parlare il greco, addirittura un certo Filonide, in evidente stato di ebbrezza, urinò sulla toga di uno degli emissari, ledendo il diritto all’inviolabilità di ogni ambasciatore, i romani tentarono di suscitare lo sdegno dei tarantini di fronte a questo atto oltraggioso, ma senza successo. La risposta degli emissari di fronte a tanta irriverenza fu lapidaria e ce la tramanda Dionigi di Alicarnasso:

“Ridete finché potete, Tarantini, ridete! In futuro dovrete a lungo versare lacrime!”.

Il conflitto con Taranto, il Re Pirro
Il conflitto con Taranto, il Re Pirro

Gli ambasciatori rientrarono a Roma, e dopo aver raccontato lo svolgimento dei fatti, i consoli Lucio Emilio e Quinto Filippo, entrati da poco in carica, convocarono il Senato. La discussione riprese nuovamente su come affrontare la situazione, ma questa volta a prevalere fu la fazione più favorevole al conflitto, forte del fatto che anche buona parte della popolazione vedeva di buon occhio questa soluzione, ma la stessa discussione si stava tenendo anche a Taranto, in molti infatti erano spaventati dall’arrivo dell’esercito consolare, e spingevano per evitare la guerra, tuttavia si scelse la via militare, e ancora una volta si fece ricorso sull’arrivo di numerosi mercenari provenienti dalle altre città greche, ma la richiesta di aiuto, questa volta, arrivò anche in Epiro, corrispondente all’odierna Albania, governato dal potente Pirro. Pirro, grande generale e ansioso di intraprendere nuove azioni, accolse la richiesta con entusiasmo,  e convinto di potere ampliare i confini del suo regno, decise di lanciare la sua campagna militare in Italia, convinto anche dalle promesse tarantine, che gli avrebbero garantito un appoggio di ben 20.000 cavalieri e di ben 350.000 fanti, numeri che oggi appaiono inverosimili.

Il conflitto con Taranto stava per arrivare al suo epilogo, Pirro, dopo varie traversie, riuscì a sbarcare in Italia, con 20.000 uomini, 3.000 cavalieri e una ventina di elefanti da guerra che per la prima volta comparvero sul suolo italico. Abituato com’era alla guerra, Pirro accettò il ruolo di guidare le operazioni belliche, ma pretese che ogni tarantino si addestrasse alla guerra con solerzia,  e vietò ogni divertimento in città, affinchè ogni sforzo fosse rivolto solo a quel conflitto. Gli eserciti così iniziarono a muoversi, ma la prima mossa che fece Pirro non fu di natura bellica, ma diplomatica. Credendo di intimorire i romani per la sua presenza, il Re epirota inviò una lettera al console Levino, che nel frattempo si muoveva dalla Lucania, con l’appoggio delle città di Locri, Reggio e Thurii, secondo Dionigi di Alicarnasso, la lettera recitava più o meno queste parole:

“Immagino che tu abbia saputo da altri della mia venuta con l’esercito in soccorso dei Tarantini e degli altri Italioti che mi hanno chiamato.
Penso poi che tu non ignori da quali personaggi io discendo e quali imprese io ho compiuto e quale esercito io conduco, e il suo valore in guerra.
Ritengo dunque che, considerato tutto ciò, non aspetterai di apprendere coi fatti la nostra valenza bellica, ma che, rinunciando alle armi, ti volgerai alle trattative. Ti consiglio di rimettere a me il giudizio delle controversie esistenti tra il popolo romano e i Tarantini o i Lucani o i Sanniti, perché io arbitrerò le vostre differenze con assoluta giustizia e farò in modo che i miei amici siano disposti a pagare per tutte le offese che scoprirò vi abbiano arrecato”.

I romani però erano stanchi dei compromessi e non intendevano rinuciare al prestigio ottenuto nei confronti dei popoli italici, e non avrebbero accettato nessuna soluzione che li avrebbe estromessi dall’Italia meridionale. La risposta romana infatti fu altrettanto chiara:

“Disprezzare coloro dei quali non si è sperimentato né la potenza né il valore, come se fossero insignificanti e di nessuno conto, mi sembra prova di indole dissennata e incapace di distinguere ciò che è utile.
Noi non siamo soliti punire i nemici con le parole, ma con le opere, e non ti costituiamo giudice delle nostre accuse ai Tarantini o ai Sanniti o agli altri nemici, e non ti prendiamo come garante di nessuna ammenda, ma con le nostre armi decideremo la contesa e prenderemo le nostre vendette come noi vogliamo. Ora che sei informato di ciò preparati a essere nostro antagonista e non già giudice”.

Ormai era guerra aperta.

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