Il processo a Gaio Licinio Verre

Nell’inverno del 70 a.C., il processo a Gaio Licinio Verre catalizzava l’interesse di tutta la città. Gli episodi di corruzione erano certamente numerosi, quasi all’ordine del giorno, ma in questo caso sul banco degli imputati sedeva un personaggio autorevole come Gaio Licinio Verre.

Il processo a Gaio Licinio Verre
Il processo a Gaio Licinio Verre
GAIO LICINIO VERRE:

Probabilmente di origine etrusca, Gaio Licinio Verre nacque attorno al 115 a.C., iniziò il suo cursus honorum nell’84 a,C., come questore del console Gneo Carbone in Gallia cisalpina. Nonostante la sua inettitudine, il console Carbone favorì il giovane questore con svariati benefici, che a sua volta ricambiò la sua generosità rubando del denaro, circa 600.000 sesterzi,  per poi darsi alla fuga. Passato fra i sostenitori di Silla, Gaio Licinio Verre, venne scelto da Dolabella come suo legato durante il suo governatorato in Cilicia, cosa comunque non sufficiente per evitarne il suo tradimento. Nel 74 a.C., nel ruolo di pretore urbano, Gaio Licinio Verre ebbe l’occasione di proseguire la sua indebita approprazione di beni. Dal 73 al 71 a.C., fu propretore in Sicilia dove si distinse per macchiarsi di innumerevoli ingiustizie con l’unico scopo di continuare ad accrescere il suo patrimonio, furono gli stessi siciliani a denunciarlo per i suoi misfatti a base di saccheggi, furti, usura e ruberie di vario tipo. Al termine del suo mandato gli abitanti della Sicilia, non persero tempo pensando di costituirsi come parte civile al fine di trascinare Verre in tribunale con l’infamante accusa di concussione (de pecuniis repetundis).

IL PROCESSO A GAIO LICINIO VERRE, UN’OCCASIONE DI CARRIERA:

Per portare Verre innanzi al giudizio del tribunale presieduto dal pretore, Manio Acilio Glabrione, mancava a questo punto qualcuno disposto a sostenere l’accusa, una cosa non così scontata dato che Verre era una persona molto in vista e in grado di “oliare” gli ingranaggi giusti per riuscire a portare le sorti in suo favore. Venne subito alla mente però un brillante ex questore che esercitò tempo indietro, proprio in Sicilia a Lilibeo, fu così che Marco Tullio Cicerone, rientrato anch’esso a Roma, decise di ascoltare e raccogliere le lamentele di tutti i legati delle città sicule. Era certamente un ruolo difficile quello ricoperto da Cicerone, un personaggio come lui, senza un ruolo di spicco, accusatore di un cittadino romano che viceversa, nonostante le sue controversie, occupava un posto di rilievo nella società. D’altro canto, accettare di difendere un gran numero di città avversate da un importante funzionario, rappresentava una ghiotta occasione per far emergere le proprie qualità e perchè no, accaparrarsi il favore della plebe e bruciare le tappe in vista di una brillante carriera politica. Un altro fattore che convinse Cicerone ad accettare l’accusa fu l’opportunità di misurarsi nel Foro con il grande oratore di quei tempi, Quinto Ortensio Ortalo, difensore di Gaio Licinio Verre.

IL PROCESSO A GAIO LICINIO VERRE: SOTTERFUGI DI VERRE E ORTENSIO:

In conseguenza di tutto ciò, Cicerone nel gennaio del 70 a.C., si presentò davanti al pretore Glabrione con una richiesta formale per la messa in stato d’accusa per concussione, di Gaio Licinio Verre. L’imputato non rimase a guardare e dopo aver nominato Ortensio come suo difensore, con grande scaltrezza sfruttò una prassi processuale secondo la quale, nel caso ci fossero stati più accusatori, si metteva il tribunale nelle condizioni di scegliere, tramite la “divinatio”, quale di questi avesse dovuto sostenere l’accusa. Si trattava quindi di reperire un’altra, o più,  persone che avessero portato le stesse accuse, e con un pò di fortuna, Cicerone sarebbe potuto finire subito fuori dai giochi. Venne coinvolto così Quinto Cecilio Nigro, un accusatore fittizio, naturalmente al soldo di Verre, Cicerone però ben più preparato e convincente non ebbe alcuna difficoltà a farsi attribuire dal tribunale il ruolo dell’accusa, segnando così un primo punto a suo favore. Iniziarono così le subdole manovre che Verre, Ortensio, e i loro complici ordirono, per prima cosa  tentarono di rimandare il più possibile il processo, in attesa della rielezione di un pretore meno integerrimo di Glabrione, e magari più corruttibile, favorendo nello stesso tempo l’acquisizione di altre importanti cariche a personaggi a loro vicini. Cicerone sapeva bene che Glabrione era l’unica garanzia per ottenere un processo equo, ragion per cui cercò di abbreviare il più possibile i tempi, chiedendo a Glabrione, il 20 di gennaio, 110 giorni per istruire il processo, giacchè in estate Glabrione sarebbe stato avvicendato. Ortensio appresa la notizia, attuò la sua contromossa e grazie ai contatti del suo assistito in oriente, richiamò un loro compagno che portò in giudizio un vecchio governatore della Macedonia con la stessa accusa di concussione. Ortensio chiese a Glabrione 108 giorni per istruire il processo, due giorni prima di quelli richiesti da Cicerone, motivo per il quale il processo sarebbe stato inevitabilmente rimandato. A questo punto era una corsa contro il tempo  e Cicerone non si perse d’animo, raccolse quante più prove possibile a Roma, poi a febbraio si recò in Sicilia setacciandola accuratamente alla ricerca di documenti e testimoni. In Sicilia Cicerone, fu costretto a superare anche l’ostracismo del nuovo governatore Metello, a cui Verre aveva promesso di finanziare la campagna elettorale della sua famiglia, garantendogli in cambio  la sua protezione durante le fasi del processo. Nonostante tutto Cicerone riuscì ad ottenere ciò che serviva, presentandosi a Roma entro il termine stabilito del 20 di aprile, data oltre la quale il processo sarebbe stato annullato per assenza dell’accusa. I mesi che seguirono furono a dir poco complicati, nel mese di luglio giunse la lista dei giurati e fra essi spiccava il nome di Marco Cecilio Metello, fratello del governatore della Sicilia a cui Verre aveva promesso finanziamenti, ma andò anche peggio perchè sempre a luglio vennero designati consoli lo stesso Ortensio e Quinto Cecilio Metello (un altro fratello del governatore siculo), Cicerone ottenne viceversa la carica di edile, ma in quel momento poco importava, se questi personaggi fossero riusciti a rinviare il processo solo di pochi mesi, in attesa di entrare in carica a gennaio, Verre sarebbe stato prosciolto da ogni accusa.

Il processo a Gaio Licinio Verre
Il processo a Gaio Licinio Verre
IL PROCESSO A GAIO LICINIO VERRE:

Il 5 agosto del 70 a.C., finalmente il processo ebbe inizio, e si aprì subito con un inaspettato colpo di scena. Cicerone infatti, anzichè cominciare con la consueta esposizione dei fatti, a cui sarebbe seguita la risposta della difesa, si lanciò in un discorso talmente puntuale e dettagliato che fulminò e colse di sorpresa tutti quanti, al termine del quale chiamò subito a deporre i testimoni. Per nove giorni la moltitudine di testimoni portati da Cicerone si alternarono nel Foro, e ogni giorno sempre più persone lo affollavano incuriositi su come si sarebbe conclusa una vicenda, che era ormai chiaro a tutti, non coinvolgeva più una singola persona, ma un ‘intera classe politica che aveva fatto del malaffare la sua principale fonte di guadagno. Inoltre Verre e Ortensio erano fra gli ultimi esponenti della fazione aristocratica vicina a Silla, già da qualche anno messa alle strette dal ceto equestre a cui Cicerone apparteneva, la sentenza che ne sarebbe scaturita avrebbe quindi potuto costituire qualcosa di storico ed epocale. La requisitoria  del celebre oratore romano spiazzò tutti, compreso lo stesso Ortensio a cui non rimase altro da fare se non abbandonare il dibattimento, seguito dal suo assistito che si diede malato, non prima però di aver chiesto tempo fino al 20 settembre per organizzare una replica. Tuttavia le prove erano così evidenti e schiaccianti che non ce ne fu alcun bisogno, Cicerone aveva ormai la strada spianata verso il successo, e non fu necessario nemmeno  pronunciare una seconda requisitoria (l’avrebbe comunque trascritta tramandandola fino ai nostri giorni). La vittoria non fu però così totale come tutti si sarebbero aspettati, Verre venne si, condannato all’esilio, ( a Marsiglia, dove nel frattempo si era già recato, portando con se una gran quantità di denaro e oggetti preziosi sottratti negli anni), ma fu condannato anche al risarcimento di appena tre milioni di sesterzi, davvero una cifra esigua se si considera quanto era riuscito ad ottenere con i suoi metodi malavitosi. Questo successo, seppure non completo, donò a Cicerone una grande notorietà che gli spalancò le porte per la sontuosa e brillante  carriera politica che noi tutti conosciamo.

Curiosamente nel 43 a.C., i due grandi nemici di questo processo, ebbero paradossalmente una sorte comune, a causa di Marco Antonio che con gli eventi di quegli anni ebbe modo di inimicarsi sia l’uno che l’altro. A Gaio Licinio Verre, ancora chiuso nel suo esilio dorato, Marco Antonio chiese la restituzione di svariati oggetti preziosi sottratti con l’inganno, e al suo rifiuto venne fatto assassinare. Pochi giorni prima sempre il futuro triumviro aveva fatto uccidere anche Cicerone, diventato ormai la lingua troppo tagliente di una repubblica ormai giunta alla fine del suo percorso storico. La testa e la mano destra di Cicerone finirono appiccate sui rostri così che fossero da monito a tutti gli oppositori dello stesso Antonio.

credits to:

https://conoscerelastoria.it/politica-e-corruzione-nellantica-roma-il-processo-a-verre/

http://www.ventonuovo.eu/senza-categoria/8561-cicerone-contro-verre-parte-2

 

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