La Conquista della Gallia Cisalpina

La conquista della Gallia Cisalpina, rappresenta l’insieme delle campagne militari volte alla sottomissione dei popoli che a partire dal III sec. a.C.,  erano stanziati in quella che oggi è la parte più occidentale della pianura padana. La conquista della Gallia Cisalpina culminò con la formazione di questa nuova provincia romana, cosa che avvenne tra la fine del II sec. a.C., e l’inizio del I sec. a.C..

La conquista della Gallia Cisalpina
La conquista della Gallia Cisalpina

La Conquista della Gallia Cisalpina, contesto storico:

Nel 332 a.C., un accordo di pace stipulato fra i Romani e i Galli Senoni della Cisalpina, avrebbe dovuto garantire una certa stabilità per almeno una trentina di anni. La tregua tenne per i trent’anni stabiliti, ma nel 295 a.C., in occasione della terza guerra sannitica, i Senoni preferirono allearsi con Umbri, Etruschi e Sanniti, che combattevano contro Roma. Nei pressi di Arezzo, la coalizione anti-romana, ottenne un primo significativo successo sul campo di battaglia, un successo tuttavia effimero, i romani infatti nel corso della successiva e famosa battaglia di Sentino, ottennero  una schiacciante rivincita, cosa che permise loro di avere definitivamente ragione dei nemici, e di insediarsi stabilmente nell’Ager Gallicus, con la fondazione della colonia di Sena Gallica (odierna Senigallia).  Nel 283 a.C., si concludeva questa prima fase che vedeva i romani impossessarsi di tutti i territori a sud dell’Appennino, dopo aver sconfitto ancora una volta i Galli Senoni, affiancati da alleati etruschi, nella battaglia del lago Vadimone. Nel 249 a.C., i Galli Boi radunarono insieme a loro alleati transalpini, innescando una crisi che culminerà nel 225 a.C. nell’ultima grande invasione gallica della val Padana. In quell’anno una coalizione di Galli Boi, Insubri e Gesati, varcarono le alpi con almeno 50.000 uomini e 25.000 cavalieri. Anche in questa occasione i primi scontri furono favorevoli ai Galli che sconfissero le armate romane all’altezza di Fiesole, nonostante ciò le legioni non si persero d’animo ed ebbero la loro riscossa nella battaglia di Talamone, a nord di Orbetello in provincia di Grosseto.

La Conquista della Gallia Cisalpina, battaglia di Sentino:

I Romani e i loro alleati arrivarono nel territorio di Sentino, e si accamparono a circa quattro miglia dal nemico. In entrambi i campi si tennero consigli di guerra. Ai Sanniti ed ai Galli fu affidato il compito di dare battaglia ai romani sul campo di guerra, ad Umbri ed Etruschi, quello di attaccarne l’accampamento. Venuti a sapere di ciò grazie ad alcuni disertori, i consoli romani ottennero che gli Etruschi si allontanassero da Sentino, per proteggere Chiusi, violentemente attaccata da forze romane, rimaste a guardia delle vie di accesso a Roma. I Galli andarono ad occupare l’ala destra, i Sanniti la sinistra. Di fronte ai Sanniti, all’ala destra romana, Quinto Fabio schierò la prima e la terza legione, mentre contro i Galli alla sinistra Decio Mure schierò la quinta e la sesta. Diverso fu l’approccio allo scontro dei due comandanti romani: Fabio, convinto che tra i Galli e i Sanniti con il prolungarsi della battaglia l’ardore si sarebbe affievolito, adottò una tattica difensiva, mentre Decio, più irruente, impiegò subito nel primo scontro tutte le forze che aveva a disposizione. Il generale Publio Decio Mure, sin dalle prime fasi, impiegò la cavalleria, facendola partecipare allo scontro tra le fanterie, nella speranza di disorientare le fanterie nemiche. Ma ad essere sorpresa fu invece proprio la cavalleria romana: l’impiego, da parte dei nemici, di carri trainati da cavalli, la fece infatti disunire e infine disperdere.  La fanteria romana tuttavia riuscì a riorganizzarsi e a resistere agli attacchi dei nemici, anche grazie a dei rinforzi inviati dall’altro console. Quinto Fabio, che era riuscito a prolungare lo scontro, quando fu convinto che l’impeto dei nemici era venuto meno, ordinò alla cavalleria di prepararsi ad attaccare i fianchi dello schieramento nemico, e ai legionari di avanzare lentamente, ma costantemente. Quando si accorse delle difficoltà dei nemici, ordinò l’attacco contemporaneo dei cavalieri, e di tutte le riserve. Mentre i Galli riuscirono a resistere compatti, i Sanniti ruppero lo schieramento, e fuggirono precipitosamente all’interno dell’accampamento. Ormai divisi, i Sanniti furono sterminati nella difesa dell’accampamento, e i Galli sul campo di battaglia, dove furono presi alle spalle dagli attacchi della cavalleria. Tito Livio ci tramanda che le perdite nemiche furono di 25.000 uomini e di almeno 8.000 prigionieri, ma anche da parte romana le perdite non furono poche, almeno 7.000 soldati caddero sotto il comando del generale Publio Decio Mure, e almeno 1.700 sotto la guida di Quinto Fabio.

La conquista della Gallia Cisalpina, cavalieri celti
La conquista della Gallia Cisalpina, cavalieri celti

La Conquista della Gallia Cisalpina, battaglia di Talamone:

L’esercito celtico si diresse verso il promontorio dell’Argentario, presumibilmente in vista di uno sbarco di Cartaginesi in appoggio all’offensiva; ma i celti non arrivarono mai al luogo d’incontro, perché furono intercettati e attaccati dalle legioni romane presso Talamone. Attaccato da fronti opposti dalle forze romane ed alleate, l’esercito celtico fu distrutto in una battaglia campale, circa 40.000 Celti furono uccisi ed almeno 10.000 fatti prigionieri, tra i quali il loro re Concolitano. L’altro re, Aneoresto, riuscì a fuggire con pochi seguaci in un luogo dove si suicidò con i suoi compagni. Il console romano superstite, Lucio Emilio Papo, giacchè l’altro console Gaio Attilio Regolo morì nella battaglia,, raccolto il bottino, lo inviò a Roma, restituendo il bottino dei Galli ai legittimi proprietari. Con le sue legioni, attraversata la Liguria, invase successivamente il territorio dei Galli Boi, da dove, dopo aver permesso il loro saccheggio da parte dei suoi uomini, tornò dopo un paio di giorni a Roma. Inviò, quindi, quale trofeo sul Campidoglio, le collane d’oro dei Galli, mentre il resto del bottino e dei prigionieri fu usato per il suo ingresso in Roma  ad ornare il suo trionfo.

La Conquista della Gallia Cisalpina, guerre contro gli Insubri:

Con la battaglia di Talamone la coalizione gallica minacciò da molto vicino l’Urbe, e a tal proposito nel 223 a.C., venne organizzata una imponente spedizione militare capeggiata dai consoli in carica di quell’anno: Publio Furio Filo e Gaio Flaminio Nepote. I consoli partirono da Genua (odierna Genova), alla testa di circa 40.000 soldati varcando le Alpi Marittime per poi organizzare un’azione combinata con gli alleati Cenomani, una volta giunti nella valle del Po. L’attraversamento del fiume all’altezza forse di Cremona, venne ostacolato a più riprese dagli Insubri, il che costrinse Romani e Cenomani a cambiare piano. I consoli decisero così di raggruppare le proprie truppe ad Est sul fiume Oglio, probabilmente a Brixia (Brescia) da dove partì la vera e propria offensiva. L’invasione romana scosse gli Insubri che subito organizzarono un vasto esercito pronto a dare battaglia, cosa che avvenne sulle rive dell’Adda. Non fidandosi degli alleati Cenomani i romani ordinarono loro di rimanere al di la del fiume e di tagliare i ponti che collegavano le due sponde, i romani trovandosi così in inferiorità numerica illusero gli Insubri ad una facile vittoria. La ferrea disciplina militare romana ebbe narturalmente la meglio sull’impeto dei Galli che con il passare del tempo andava sempre più affievolendosi, trasformando così la battaglia in un massacro celtico e in una schiacciante vittoria romana. A causa di irregolarità nell’elezione dei due consoli le armate vennero però ritirate e lo stato di guerra non finì, tuttavia gli Insubri, incassata la sonora sconfitta vennero spinti a più miti consigli e chiesero la pace. Roma per tutta risposta, con i due nuovi consoli nel 222 a.C., riprese le ostilità. Marco Claudio Marcello e Gneo Cornelio Scipione Calvo ripercorsero con le legioni lo stesso percorso intrapreso l’anno precedente, attraversando il fiume Po sulla pianura dove poi sarebbe sorta la colonia di Piacenza. I romani assediarono l’oppidum di Acerrae (odierna Pizzighettone), vero caposaldo degli Insubri che per tutta risposta attaccarono il presidio romano di Clastidium (odierna Casteggio) tentando di tagliare loro ogni via di fuga. Il console Marcello lasciato l’assedio di Acerrae a marce forzate raggiunse Clastidium dove, con un esercito per lo più composto da cavalieri, accerchiò e sconfisse gli Insubri, dal canto suo, l’altro console Gneo Scipione, espugnò l’oppidum celtico, costringendo i galli ad una precipitosa fuga verso Mediolanum (Milano). Dopo il ricongiungimento degli eserciti dei due consoli, gli Insubri abbandonarono Mediolanum, lasciando campo libero al saccheggio dei legionari, consegnando la loro sovranità ai romani in cambio della loro sopravvivenza.

La Conquista della Gallia Cisalpina, conclusioni:

Con la sottomissione degli Insubri i romani consolidavano la loro presenza in quei territori con la fondazione della colonia di Cremona nel territorio dei Galli Insubri e di Piacenza nel territorio dei Boi. Con l’avvento di Annibale però i Galli ebbero nuovamente occasione per rivoltarsi alleandosi con il condottiero punico, risultando decisivi nelle disastrose sconfitte romane del Trasimeno (217 a.C.), e a Canne nel 216 a.C.. I Galli Boi risultarono vittoriosi anche nella terribile imboscata della Selva Litana. Dopo la riscossa romana culminata nel 202 a.C., con la vittoria sui cartaginesi a Zama, le cose presero una piega definitiva e i Galli vennero definitavamente sottomessi nella battaglia di Cremona nel 200 a.C. e a Modena nel 194 a.C.. Si compiva, con la sottomissione dei Boi, la conquista della Cisalpina: pochi decenni dopo, lo storico greco Polibio poteva già personalmente testimoniare la rarefazione dei Celti nella Pianura Padana espulsi dalla regione o confinati in alcune limitate aree subalpine. L’avanzata romana non conosceva soste neppure a nord est, quando nel 181 a.C., venne fondata la colonia di diritto latino di Aquileia primo avamposto  con la funzione prioritaria di sbarrare la strada alle popolazioni limitrofe di Carni e Istri, che minacciavano i confini orientali dei possedimenti romani in Italia.

 

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