La donna romana ai tempi dell’Impero.

A differenza dei tempi repubblicani, la donna romana ai tempi dell’Impero è una figura molto diversa, specialmente per ciò che riguarda la sua condizione sociale.

La donna romana ai tempi dell'Impero
La donna romana ai tempi dell’Impero

La donna romana ai tempi dell’Impero:

La donna romana ai tempi dell’Impero, in particolar modo per quel che riguarda i primi due secoli, gode di una maggior dignità e autonomia, riconosciuta e difesa strenuamente da filosofi prettamente femministi come Gaio Musonio Rufo ai tempi della dinastia dei Flavi. Molte donne romane di quell’epoca infatti meritarono pienamente il titolo di “Augusta”, ricevuto per la prima volta da Livia dopo la morte del marito Ottaviano Augusto. Grande personaggio femminile della Roma Imperiale fu senza dubbio Plotina, moglie di Traiano, che  accompagnò il marito  in Oriente per la guerra contro i Parti, e che dopo la morte di quest’ultimo aveva così ben disposto le sue segrete ultime volontà testamentarie che il successore, Adriano, ottenne la porpora senza contrasti di alcun tipo. Non da meno fu anche Sabina, la consorte di Adriano, che nonostante alcune maldicenze sul suo conto, la si ritrova celebrata in diverse iscrizioni da personaggi da lei beneficiati, e addirittura raffigurata in alcune statue innalzate per la sua divinizzazione nonostante fosse ancora in vita. Ci viene tramandato che lo stesso Adriano fosse in aperto contrasto con la moglie, ma bastò una mancanza di rispetto verso di lei da parte del segretario Svetonio ( poi autore del celeberrimo “Vite dei Cesari”), che l’Imperatore intervenne allontanando lo scrittore  facendogli perdere il proprio incarico.

La donna romana ai tempi dell'Impero
La donna romana ai tempi dell’Impero

Durante i primi due secoli dell’Impero si perpetuò, anche per la figura della donna, quell’attegiamento eroico, che voleva che le grandi signore dell’aristocrazia romana seguissero i loro mariti sia nella buona che nella cattiva sorte. Per esempio durante il regno di Tiberio, Tacito ci racconta che: «Emilio Scauro con gesto conforme all’antica dignità degli Emili, prevenne la condanna, col sostegno della moglie Sestia, che gli fu insieme ispiratrice e compagna nella morte.» e altrettanto accadde quando «Pomponio Labeone,  già  governatore della Mesia, si tagliò le vene e morì dissanguato. La moglie Passea ne seguì l’esempio.». Famoso fu anche il caso di Paolina, la moglie di Seneca, dopo la condanna a morte emessa da Nerone nei confronti del marito, decise di anticiparlo tagliandosi le vene e se non riuscì nel suo intento fu proprio per l’intervento dello stesso Imperatore che la costrinse alla vita e a sopportare il dolore per la perdita del consorte.

La donna romana ai tempi dell’Impero: diminuzione delle nascite e femminismo:

A causa del voluto controllo delle nascite, dovuto anche ad un sostanziale cambiamento dei costumi romani, si assiste in quel periodo ad un considerevole decremento della natalità. Gli stessi Imperatori ne danno l’esempio: Nerva rimase celibe, Traiano e Adriano pur essendo sposati non ebbero figli legittimi, anche Plinio il giovane nonostante i suoi tre matrimoni non ebbe figli. Venne ritenuta una cosa eccezionale, degna di un epigramma, che in quegli anni, Claudia Rufina, abbia avuto tre figli, e che ai giochi secolari del 47 e dell’88 d.C., venisse commemorata una matrona romana che  ne aveva partorito ben 5.

Se però le donne romane, in quei tempi trascurano il loro compito di mettere al mondo dei figli, allo stesso tempo si appropriano di diverse occupazioni che ai tempi della Repubblica erano solo destinate agli uomini. Molte donne infatti si avvicinarono alla politica o all’attività forense, altre si avvicinarono ad alcuni generali dispensando consigli su come gestire le guerre, altre ancora si interessarono alla letterattura, mettendo in più occasioni in imbarazzo grammatici e retori con alcuni giudizi affrettati e superficiali. Questi slanci divisero non poco i giudizi verso le donne, e se da una parte Plinio sembrò apprezzare la loro cultura, lo scrittore Giovenale proprio non riusciva a sopportarle, preferendo invece la donna che  «che non usa un lambiccato stile…e non conosca le istorie tutte: poche cose sole sappia dai libri, e che neppur capisca.». Le critiche dello scrittore satirico colpivano anche le donne che volevano gareggiare con gli uomini nelle attività sportive o che si divertivano a cacciare i cinghiali, o che, ancora peggio, si appassionavano alla scherma come un “rude gladiatore”. Giovenale nei suoi scritti sottolinea  come ormai la donna romana assuma gli atteggiamenti deteriori degli uomini da cui sinora si era tenuta lontana: così s’ingozza nei banchetti come gli uomini e come questi si abbandona al libertinaggio essendosi ormai abituata a vivere non più come compagna ma come coinquilina del marito.

La donna romana ai tempi dell'Impero, mosaico di Piazza Armerina raffigurante atlete impegnate in varie attività sportive e altre che ricevono le insegne della vittoria
La donna romana ai tempi dell’Impero, mosaico di Piazza Armerina raffigurante atlete impegnate in varie attività sportive e altre che ricevono le insegne della vittoria

La donna romana ai tempi dell’Impero, gli adulterii:

Era inevitabile che la donna, a questo punto già molto più emancipata, assumesse anche la libertà sessuale degli uomini. Anche se non si parla ancora diffusamente degli adulteri come di un problema vero e proprio, dovevano comunque essere molto praticati, sempre Giovenale scrive che deve essere normale avvertire un amico che ha invitato a cena di mettere da parte le amarezze quotidiane soprattutto quelle che gli derivano dal fatto che la moglie esce di casa alle prime luci del giorno e vi torna a notte fonda «…con le chiome scompigliate e col volto e con le orecchie tutte accese». In verità  Ottaviano Augusto, un secolo prima, si era già occupato della questione nella sua opera di moralizzazione della società, in quell’epoca infatti una donna adultera poteva anche essere condannata a morte dal marito stesso, mentre viceversa, il marito adultero non andava incontro a nessuna pena. Nel 18 a.C., la “Lex Iulia de adulteris coercendis”, cambiava le carte in tavola, stabilendo che gli àdulteri da quel momento in poi sarebbero potuti essere esiliati e privati di metà dei loro beni. Questa nuova legge sottraeva finalmente la donna ad ogni eventuale crudeltà perpetrata dal marito, e anzi riconosceva colpevole di adulterio anche il coniuge maschio. Tutto ciò ci fa capire che in realtà l’àdulterio era un problema sociale molto sentito e diffuso tanto da renderlo un reato vero e proprio. Tuttavia alla fine del I secolo d.C., di quella legge se ne persero le tracce, tant’è che l’Imperatore Domiziano fu costretto ad emanarne una nuova che ratificasse quella più antica. Ma dopo altre due generazioni il problema si ripresentò e ancora una volta fu necessario l’intervento imperiale di Settimio Severo per controllare un problema che in effetti si era molto attenuato, ma non per l’intervento delle leggi quanto piuttosto per la facilità con cui si poteva divorziare.

 

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