La Drammatica fine di Cicerone

La drammatica fine di Cicerone si consumò nel 43 a.C., nei pressi di Gaeta, due soldati fedeli a Marco Antonio, fermarono la lettiga sulla quale viaggiava probabilmente il più grande oratore che la storia di Roma abbia conosciuto. A 64 anni si spegneva così la vita dell’ultimo difensore dell’antica Repubblica romana.

La Drammatica fine di Cicerone, busto di Marco Tullio Cicerone
La Drammatica fine di Cicerone, busto di Marco Tullio Cicerone

LA DRAMMATICA FINE DI CICERONE, CONTESTO STORICO:

Arrivato ormai ai 60 anni di età, un traguardo ragguardevole per l’epoca, Marco Tullio Cicerone era definitivamente convinto di aver terminato la sua brillante carriera politica, erano infatti ormai lontani i tempi nei quali il grande oratore si scagliava contro i senatori più corrotti, oppure quando smascherò il tentativo di colpo di stato di Catilina. Tempo dopo assistette impotente alla vertiginosa ascesa di Pompeo e Cesare, verso i quali fu più volte critico, anche se quest’ultimo lo preoccupava molto di più per le sue enormi ambizioni, tanto da temere un ritorno alla monarchia. Nel 48 a.C., una volta che il futuro dittatore uscì vittorioso dalla sanguinosa guerra civile, Cicerone fece ritorno a Roma senza tuttavia riprendere pienamente la sua attività politica, illudendosi comunque per qualche tempo che Cesare potesse restaurare l’antica Repubblica, speranza però dissolta in poco tempo dopo che l’ex proconsole delle Gallie, attirò su di se un potere praticamente illimitato. Negli anni seguenti il grande oratore di Arpino cadde in uno stato di profondo scoramento a causa delle sue sfortunate vicende famigliari che culminarono con la morte di parto di sua figlia Tullia, cosa che lo portò ad immergersi nelle sue frenetiche attività di scrittore che lo portarono a completare le sue opere di retorica più importanti, ma mentre si concentrava sui suoi scritti, passando per le sue ville di Arpino, Tuscolo e Pozzuoli, un gruppo di congiurati si preparava ad assassinare Giulio Cesare. Nonostante i cospiratori avessero rapporti più o meno stretti col dittatore, e sui quali lo stesso Cicerone ne aveva influenzato il pensiero, questi ritennero di non informare di ciò che si stava preparando, l’oratore romano, già di suo poco tollerante al sangue e alla violenza. Cicerone era presente alle idi di marzo quando durante la seduta del Senato, Giulio Cesare venne pungnalato a morte, la sua reazione fu senz’altro di sdegno e orrore, ma sotto sotto anche di gioia contenuta, tanto che nelle sue celebri “Filippiche” pronunciate contro Marco Antonio, scrisse di aver provato un certo orgoglio mentre Bruto pugnalava il dittatore romano gridando il suo nome, in omaggio alla libertà ritrovata.

LA DRAMMATICA FINE DI CICERONE, lo scontro con marco antonio:

La soddisfazione di Cicerone fu però di breve durata, dopo la morte di Cesare fu infatti Marco Antonio a prendere in mano la situazione, aizzando l’intero popolo romano contro  i cesaricidi. Bruto e Cassio sentendosi in pericolo abbandonarono subito la città, seguiti a breve distanza dallo stesso Cicerone che si lamentava della mancanza di un serio progetto da parte di quanti si proponevano di restaurare la Repubblica, e per la loro totale incapacità di affrontare il carisma di Marco Antonio. Lasciata da parte la sua proverbiale moderazione, Cicerone, ormai disposto a tutto pur di non arrendersi, si dimostrò implacabile contro il suo avversario, intenzionato a guidare lo stesso Senato contro il suo nemico, proponendo soluzioni ben più drastiche e violente di quanto facessero i promotori della congiura. Quando si paventò all’orizzonte uno scontro armato nella Gallia Cisalpina fra Decimo Bruto, uno dei cospiratori e lo stesso Marco Antonio, sembrava di essere alle porte  di una nuova e sanguinosa guerra civile, Cicerone ormai sconsolato per la piega che gli eventi stavano prendendo decise di fuggire in Grecia, tuttavia al momento della partenza, una tempesta impedì alla sua nave di prendere il largo, così l’arpinate decise di tornare a Roma, dato che le cose sembravano potersi rasserenare, in quanto Antonio pareva rinunciare allo scontro con Bruto. A quel punto l’oratore romano pensò che il giovane Ottaviano, adottato da Cesare come suo erede, potesse costituire per lui un’arma decisiva da scagliare contro Marco Antonio, anche lo stesso figlio adottivo del grande condottiero romano, pensò con lungimiranza che accattivarsi Cicerone potesse costituire per lui un validissimo appoggio per la sua entrata in politica a Roma, città nella quale entrò dopo aver incontrato l’arpinate nella sua villa di Pozzuoli, durante il suo rientro da Apollonia. Cicerone ne fu chiaramente lusingato, pensando così di poter agevolmente influenzare quel giovane in modo  da frenare le grandi ambizioni del suo acerrimo rivale. Giunto a Roma, Cicerone, incoraggiato anche dallo stesso Ottaviano, istigò i nuovi consoli, Aulo Irzio e Vibio Pansa a dichiarare guerra all’ex luogotenente di Cesare, una posizione osteggiata dal Senato, che viceversa avrebbe preferito una risposta diplomatica piuttosto che l’utilizzo delle armi. Tuttavia le forti prese di posizione dell’oratore, fecero passare la sua linea, e alla notizia della guerra contro Antonio, che nel frattempo assediava Decimo Bruto a Modena, si scatenò un incontenibile entusiasmo per le vie di Roma, tanto che lo stesso Cicerone venne addirittura portato in trionfo e acclamato a gran voce davanti ai rostri. Anche in questo caso la gioia fu di breve durata, Antonio uscì battuto dallo scontro armato, riuscendo però a mantenere un buon numero di soldati, stringendo poi un’alleanza con Lepido, governatore della Gallia Narbonense, a quel punto Ottaviano, anzichè inseguire il nemico, preferì rivendicare per se la carica di console, incontrando però il categorico rifiuto del Senato. Ottaviano quindi marciò su Roma, varcando il Rubicone, esattamente come aveva fatto pochi anni prima il suo padre adottivo, e a quel punto il Senato, per evitare che la situazione degenerasse nuovamente, si piegò alle sue richieste. Era ormai chiaro anche per Cicerone, che quel giovane che lui credeva facilmente influenzabile, era invece incredibilmente scaltro e si serviva dei suoi legionari per calpestare la legalità a suo piacimento, cosa che lo portò spesso a dichiarare: “Quel giovane dev’essere lodato, onorato ed eliminato” 

La Drammatica fine di Cicerone
La Drammatica fine di Cicerone

LA DRAMMATICA FINE DI CICERONE, LA FUGA NEI SUOI POSSEDIMENTI:

Ormai ben consapevole che le sue trame e le sue speranze erano praticamente tramontate, Cicerone dovette assistere anche al riavvicinamento fra Ottaviano e Antonio, a cui si aggiunse anche Lepido, dando così vita al secondo triumvirato, ragion per cui scelse di ritirarsi nei suoi possedimenti in Campania. L’accordo fra i tre rappresentava per Cicerone, non solo una sconfitta politica, ma anche una chiara minaccia diretta alla sua persona, ed infatti poco tempo dopo i triumviri emanarono le tanto temute liste di proscrizione, ovvero un elenco di senatori e cavalieri a loro palesemente ostili e che andavano eliminati. La sete di potere dei tre non conobbe pietà neppure per i legami di famiglia, Lepido condannò il fratello Paolo, mentre Antonio, lo zio Lucio Cesare, nel caso di Cicerone, fu Ottaviano che dovette cedere di fronte alle insistenze di Marco Antonio. La condanna dell’oratore romano fu quella che probabilmente causò le discussioni più aspre e Plutarco ce le racconta così:

«La proscrizione di Cicerone fu quella che suscitò maggiori discussioni, in quanto Antonio non era disponibile a nessun accordo se Cicerone non fosse stato il primo a morire […] Si dice che Ottaviano difese Cicerone i primi due giorni, e poi al terzo lo abbandonò».

LA MORTE:

Sulla strada per Tuscolo, Cicerone si trovava in compagnia del fratello, Quinto e del figlio di quest’ultimo, quando seppero che tutti e due erano stati inseriti nelle famigerate liste. In preda all’angoscia decisero subito di partire per la Grecia, ma dopo pochi chilometri, il fratello Quinto decise di tornare indietro per portare con loro alcune provviste, la scelta gli risultò fatale, tradito dai suoi servitori fu ucciso insieme al figlio. Cicerone, ormai sempre più tormentato dall’ansia e dai dubbi, non sapeva più che fare, pensò di imbarcarsi via mare, e addirittura di far ritorno a Roma, alla fine si diresse a Formia per riposare prima di riprendere il viaggio verso la Grecia. Quando infine seppe che i soldati di Antonio erano ormai sulle sue tracce, si fece trasportare il più velocemente possibile verso il porto di Gaeta, così che al loro arrivo, i soldati trovarono la villa vuota, a parte però un liberto che rivelò la strada intrapresa dal grande oratore romano. Era il 7 dicembre del 43 a.C., quando il centurione Erennio e il prefetto Popilio, già a suo tempo difeso dallo stesso Cicerone, perchè accusato di parricidio, raggiunsero la lettiga sulla quale viaggiava l’oratore. Accortosi di ciò Cicerone ordinò ai suoi servitori di posare a terra la lettiga, e una volta fissato in volto i suoi carnefici, con gli occhi pieni di angoscia, sporse in fuori il capo, facendo si che in molti si girassero dall’altra parte mentre il centurione Erennio gli tagliava la gola. Per ordine dello stesso Marco Antonio, al grande oratore romano vennero tagliate testa e mani, ovvero la mente e gli strumenti che gli servirono per scrivere le sue Filippiche, dopo di che vennero esposti come macabri trofei, su quei rostri che solo pochi mesi prima l’avevano visto acclamato dalle folle, moriva così a quasi 64 anni di età, uno dei personaggi più influenti e controversi degli ultimi anni della Repubblica romana.

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https://www.storicang.it/a/tragica-fine-di-cicerone_14675

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