La vita notturna

La vita notturna nella Roma di duemila anni fa era a dir poco complicata, per non dire praticamente impossibile. La Capitale, nel corso dei secoli conobbe una crescita repentina, sia territoriale che demografica, raggiungendo il millione di abitanti in epoca imperiale. La maggior parte di essi viveva in disagevoli vicoli, racchiusi da inospitali insulae e baracche, costantemente danneggiate dai frequenti incendi e da crolli, dovuti alla totale mancanza di manutenzione. In alternativa chi non aveva neppure questo tipo di “agio”, si arrangiava in giacigli di fortuna, che potevano essere dei soppalchi adibiti durante il giorno ad altre attività. oppure in qualche retrobottega, erano infatti la minoranza coloro i quali si potevano peremttere di vivere in lussuose abitazioni, dotate di giardini e ogni genere di comfort. Quelle strade, maleodoranti, strettissime, e molte volte in pendenza, durante il giorno erano popolatissime e piene di traffico, ma nelle ore notturne, le stesse piombavano nella più totale oscurità, non essendo presente un servizio di illuminazione pubblica.

La vita notturna
La vita notturna

Nonostante tutto, la vita notturna continuava ad essere intensa e rumorosa, tanto che quasi tutti gli abitanti faticavano a chiudere occhio. Vi erano però anche coloro che per lavoro non potevano riposare di notte, erano gli addetti alla sicurezza dei cittadini, che avevano tra l’altro il compito di sventare eventuali aggressioni o rapine, ma anche quello di contenere gli eventuali incendi che si sviluppavano quasi ogni giorno. Nel periodo repubblicano, i cosiddetti, “triumviri notturni”, insieme agli edili e ai tribuni della plebe, avevano il compito di estinguere i frequenti incendi , anche se il lavoro sporco sul campo, veniva eseguito da gruppi di scvhiavi sotto il loro controllo. Con il passare del tempo però, questo tipo di organizzazione si rivelò del tutto insufficiente, così, nel 6 d.C., per risolvere questo annoso problema, Ottaviano Augusto organizzò la formazione del corpo dei Vigiles, ovvero pattuglie para militari, specializzate nella prevenzione e nello spegnimento dei famigerati incendi, a questo scopo venivano utilizzati, picconi, funi, secchi, e coperte imbevute di acqua e aceto. In caso di emergenza, il loro arrivo era anticipato da un “bucinator” che con il suo strumento,  dava l’allarme a tutto il quartiere. Questo corpo di Vigiles, era formato da sette coorti da 1000 uomini ciascuna, il comando generale era affidato ad un membro dell’ordine equestre, all’interno di una scala gerarchica molto simile a quella delle legioni. I Vigiles però non erano uomini liberi, anche perchè il loro ruolo non aveva molta considerazione fra il popolo, e siccome non era sicuro, armare degli schiavi,  incaricati di girare la città, vennero per questo ingaggiati dei liberti, cioè schiavi che avevano ottenuto la libertà.

La vita notturna nella Roma antica, continuava però ad essere veramente troppo pericolosa,  nonostante la presenza di questa nuova milizia urbana, probabilmente però troppo impegnata nel tentare di prevenire o circoscrivere gli incendi, che finiva per tralasciare i compiti di polizia a cui era comunque tenuta. Il diritto romano stabilì così multe e pene molto più severe per i reati commessi nelle ore notturne.

Il traffico cittadino:

Come più volte sottolineato, la vita notturna era tutt’altro che tranquilla e silenziosa, e questo era dovuto in parte alla  legge “Iulia Municipalis”,  datata 45 a.C., e che portava la firma di Giulio Cesare, la quale, al fine di smaltire il più possibile il traffico  cittadino, stabiliva che la circolazione dei carri che trasportavano le merci,  non poteva avvenire in città, dalle prime ore dell’alba, fino al tramonto. Solo alcune tipologie di trasporto era consentito, in particolare per accompagnare le Vestali o i sacerdoti nei templi per i sacrifici rituali, era poi permesso l’accesso a quei mezzi che partecipavano  alle sfilate per alcune festività, oppure ancora per il materiale edilizio, per la costruzione o per lo smaltimento di luoghi sacri. Possiamo solo quindi immaginare l’enorme quantità di mezzi che nelle ore notturne entravano e uscivano rumorosamente, con le loro grandi ruote di ferro che sferzavano senza sosta il basolato o il terriccio delle vie di Roma. Naturalmente in aggiunta a tutto ciò si aggiungeva il rumore del carico e scarico delle merci e delle grida dei conducenti che chiamavano qualcuno che li potesse aiutare. Nel I secolo d.C., il celebre poeta Marziale ci parla del ricercatissimo silenzio di cui godeva l’amico Giulio che disponeva di una villa posta sul Gianicolo:

“Da lassù, non si sentono i rumori dei mezzi, le ruote non sono moleste al placido sonno, che nè la voce dei barcaioli, nè le grida dei facchini possono interrompere”.

A sentire Marziale, infatti, chi viveva nella cuore della città, non riusciva mai a prendere sonno, anche perchè finite le attività notturne, alle prime luci dell’alba, già si udivano le voci dei maestri che insegnavano ai propri alunni per la strada, e i primi suoni delle attività artigiane, tanto da fargli esclamare:

“Qui, tutto il vicinato vorrebbe, non tutta la notte, dormire, infatti, stare svegli è piacevole, ma farlo per l’intera notte è assai faticoso”.

Oppure ancora:

“….a premio dei  miei libretti…cosa dunque ardentemente desidero mi chiedi?…..Dormire!”.

Non solo Marziale si lamentava del mancato sonno, anche Giovenale infatti scriveva che:

“Moltissimi malati qui a Roma muoiono d’insonnia. Quale appartamento preso in affitto promette di addormentarsi?  A Roma addromentarsi costa un occhio della testa, e da li inizia la malattia…..”

Un’altro tipo di attività, consentita solo nelle ore notturne, e permessa dalla legge “Iulia Municipalis” era il trasporto della spazzatura, smistata da appositi carri trainati da asini e buoi. Non era raro che di tanto in tanto su questi mezzi, venissero caricati anche i cadaveri di qualche senza tetto, o di qualche schiavo, e la destinazione di queste salme, erano i cimiteri comuni, il più vasto dei quali si trovava sul colle Esquilino. I funerali dei più benestanti si tenevano durante le ore diurne, mentre quelli dei più poveri, o in generale, della gente comune, si tenevano appunto di notte. Secondo Servio, un grammatico, vissuto nel IV secolo d.C., il termine “funus”, cioè funerale, deriverebbe dal nome della fiaccola che guidava i cortei funebri nelle ore notturne.

 

 

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