Le grandi imprese di Furio Camillo

Le grandi imprese di Furio Camillo si inseriscono storicamente nei 16 anni che vanno dal 406 al 390 a.C., anni che per la storia di Roma si rivelarono a dir poco cruciali. Essi infatti segnarono un periodo che vide affermarsi in un primo tempo la grande potenza militare dell’Urbe, e l’immediato declino fin quasi alla sua scomparsa pochi anni più tardi. La caduta dell’eterna città rivale di Veio  e il sacco di Roma per mano dei Galli di Brenno, rappresentarono due episodi, uno positivo e l’altro molto negativo, che videro come protagonista un solo uomo: Marco Furio Camillo.

Marco Furio Camillo, fu uno statista, politico e militare romano, proveniente da una nobile famiglia patrizia, ottenne la dittatura per ben cinque volte e ben quattro trionfi, il che gli valsero il titolo onorifico di “Pater Partiae” e di “secondo fondatore di Roma”.

Le grandi imprese di Furio Camillo
Le grandi imprese di Furio Camillo

LE GRANDI IMPRESE DI FURIO CAMILLO, LA PRESA DI VEIO:

«Dal Senato fu inviato in qualità di dittatore contro i veienti che dopo vent’anni si erano ribellati, Furio Camillo. Egli li vinse prima in battaglia, quindi conquistò anche la loro città. Presa Veio, vinse anche i falisci, popolo non meno nobile. Ma contro Camillo sorse un’aspra invidia, con il pretesto di un’ingiusta divisione del bottino, e per tale motivo fu condannato ed espulso dalla città. Subito i galli senoni calarono su Roma e, sconfitto l’esercito romano a dieci miglia dall’Urbe, presso il fiume Allia, lo inseguirono e occuparono anche la città. Nulla poté essere difeso tranne il colle Campidoglio; e dopo averlo a lungo assediato, mentre ormai i Romani soffrivano la fame, in cambio di oro i Galli levarono l’assedio e si ritrassero. Ma Camillo, che viveva da esiliato in una città vicina, portò il suo aiuto e sconfisse duramente i Galli. Ma non solo: Camillo inseguendoli ne fece tale strage che recuperò sia l’oro ch’era stato loro consegnato, sia tutte le insegne militari da essi conquistate. Così riportando il trionfo per la terza volta entrò in Roma e venne chiamato “secondo Romolo” come fosse egli stesso fondatore della patria.»                (EutropioBreviarium ab Urbe condita lib. I,20).

Veio era una città etrusca situata a circa 20 km a nord di Roma, ed era nel corso del tempo divenuta sempre più ricca e potente, la rivalità con Roma sembra risalisse addirittura ai tempi di Romolo, ed era il nemico più diretto per il controllo del fiume Tevere. Nel 406 a.C., il senato stabilì che lo scomodo nemico andava eliminato una volta per tutte, e così i romani si accinsero ai preparativi della guerra con la tipica metodicità  che da sempre li contraddistingueva e li avrebbe contraddistinti per i secoli seguenti. Dopo ben nove anni di assedio e di violenti combattimenti la città era ancora lontana dall’essere conquistata, un po’  a causa del fatto che sorgeva in cima ad una rupe ed era di difficile accesso, un po’ a causa delle sue imponenti mura, difese non solo dagli abitanti della città, ma anche dai molti contingenti alleati, inviate a supporto dalle altre città etrusche.

Nelle precedenti lotte contro il popolo degli Equi, il senato ricordò le imprese in battaglia di quell’uomo che nonostante una grave ferita ad una gamba, non esitò nel lanciarsi dove i combattimenti erano più violenti, e proprio a quell’uomo si decise di affidare il comando dell’esercito, per dare una svolta decisiva alle sorti di quella interminabile guerra. Fu così che Marco Furio Camillo si diresse in pochissimo tempo sotto le mura della città asseidata, proponendo immediatamente un piano a dir poco audace. Camillo capì in poco tempo che Veio non sarebbe mai potuta cadere in un assalto e concepì un piano molto ardito, ovvero scavare una galleria sotterranea che partendo dai piedi della rupe, sarebbe dovuto sboccare proprio all’interno delle mura. Il generale romano catechizzò a dovere i suoi soldati, ordinando loro di eseguire i lavori con la massima prudenza per evitare che i veienti si accorgessero di quello che stava succedendo. Ad un momento concordato, Camillo ordinò ai suoi soldati di attaccare le mura, distraendo così i difensori che così accorsero, lasciando sguarnita il resto della città, dando la possibilità agli scavatori di terminare tranquillamente il proprio lavoro e di penetrare indisturbati in città. Quando gli Etruschi si accorsero del tranello era ormai troppo tardi, i primi edifici erano già avvolti dalle fiamme e i romani presero il sopravvento, Furio Camillo aveva vinto e Veio era finalmente caduta.

L’immenso bottino di Veio che Furio Camillo si trovò a spartire con tutti i romani, come sempre, accontentò molti, ma deluse altri, questi,  mossi dall’invidia, denunciarono il condottiero vincitore,  accusandolo di disonestà. Offeso da tali calunnie, Camillo lasciò la città per auto esiliarsi ad Ardea, città dei Volsci, poco distante dalla Capitale.

Le imprese di Furio Camillo
Le imprese di Furio Camillo

 LA DISCESA DEI GALLI:

Mentre accadevano questi fatti, poche centinaia di chilometri più a nord eventi nefasti si stavano lentamente sviluppando. Alcune tribù provenienti dalle zone centrali della Francia, varcarono le Alpi, e occuparono l’intera pianura padana. Legati da nessun tipo di parentela fra loro, gli antichi li chiamavano “Keltae” o “Celtae”, ma anche Galati o più comunemente Galli, essi in origine rappresentavano una branca delle popolazioni indo-europee, stanziate in Germania, in Francia, nelle regioni della Spagna centrale, ma anche in Galles e in alcune zone della Turchia. Gli storici dell’epoca li dipinsero come persone molto più alte e robuste del normale, amanti della guerra e abituati a combattere nudi, coperti solo dai disegni di cui amavano coprirsi per incutere maggior timore al nemico, e dai loro talismani. I motivi che spinsero i Galli ancora più a sud sono principalmente due: il vino, bevanda per loro imprescindibile, e nuovi pascoli e terre da conquistare. Così. dopo aver sgominato i Liguri e gli Etruschi, ancora indeboliti dalla guerra persa a Veio, i Galli si stabilirono nei territori dell’odierna Romagna, da cui iniziarono a volgere sguardi sempre più minacciosi verso il centro Italia. Nel 390 a.C., la minaccia prese corpo e 30.000 Galli si misero in marcia, erano passati appena sei anni dalla presa di Veio e Roma era di nuovo alle prese con una guerra, ma questa volta il nemico era pressochè sconosciuto e non si ebbe neppure il tempo di organizzare un esercito preparato, ne tanto meno di trovare un leader carismatico all’altezza di Camillo, che potesse prendere il comando delle operazioni.

A 20 km a nord di Roma, all’altezza del fiumiciattolo Allia, un esercito romano raccolto alla meno peggio si preparava a fronteggiare l’orda barbarica, ma dinnanzi alla vista di quei combattenti rozzi, feroci, dalla statura più alta, e alle grida selvagge da loro propagate, la paura prese il sopravvento e la fuga precipitosa  fu per molti l’unica strada possibile. L’arrivo in città dei barbari fu quanto meno inaspettato, chi poteva fuggiva, solo i senatori rimasero composti al proprio posto attendendo il loro destino, in questo contesto è famoso l’episodio del senatore Marco Papirio, a cui uno degli invasori tirò la barba, ed egli per tutta risposta lo percosse con il suo bastone, dando così il via al massacro di tutti gli anziani della città. Interi quartieri di Roma vennero in poco tempo saccheggiati e incendiati, compreso l’archivio che custodiva gli antichi documenti della città, causando un danno incalcolabile per la ricostruzione storica di Roma.

LE GRANDI IMPRESE DI FURIO CAMILLO, “VAE VICTIS!”:

Solo un manipolo di cittadini romani non si arrese attestandosi sul Campidoglio, e qui si colloca l’episodio delle oche sacre a Giunone. I Galli di notte presero ad arrampicarsi sulla rocca per scardinarne le difese, nonostante la loro silenziosità solo le oche avvertirono i loro movimenti, iniziando a starnazzare ruomorosamente, svegliando così le sentinelle romane che riuscirono  a sventare l’imboscata. Tuttavia fu solo questione di tempo, dopo sette mesi, anche il Campidoglio si arrese per mancanza di viveri, ai romani dunque non restava altro che piegarsi alle volontà di Brenno, Re dei Galli. La richiesta di Brenno si concretizzò in mille libbre d’oro, così vennero preparate le bilance nel fòro e si cominciò subito a pesare il prezioso metallo, ad un certo punto però i romani si accorsero che gli strumenti non erano stati dai Galli tarati regolarmente, così alle loro vibrate proteste, Brenno rispose con la celebre frase: “Vae Victis!” ovvero “Guai ai vinti!”. A questa affermazione, come nei più classici degli epiloghi leggendari, rispose alle sue spalle, Furio Camillo, al comando di un drappello di cavalieri: “Non auro, sed ferro recuperanda est patria!”, ovvero, “non con l’oro ma con il ferro si riscatta la patria!”. Il condottiero romano rovescia le bilance truccate e sferra un attacco che costringe i Galli alla fuga, l’amore per la sua patria fece passare in secondo piano le ingiurie subite in passato, e riunito un esercito con molti di quanti erano fuggiti dalla città, si preparò ad affrontare i barbari. I Galli dunque vennero respinti lontano da Roma, ma carichi di ogni ricchezza, anche se le versioni più patriottiche sottolinenano come Furio Camillo dopo aver battuto Brenno rientrò in possesso di tutto l’oro rubato  e delle insegne militari sottratte sull’Allia. Altre incursioni di Galli si susseguirono nei decenni seguenti, come nel 367, nel 358 e nel 350 a.C., ma in ogni occasione le orde babariche vennero respinte, prima che potessero avvicinarsi alla città, lasciando così i Galli di Brenno, gli unici nella storia a mettere piede all’interno dell’Urbe, fino alla caduta dell’Impero romano d’occidente avvenuta ben otto secoli dopo.

Credits to:

http://www.storico.org/impero_romano/epopea_furiocamillo.html

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