Il Saluto Romano

Il saluto romano compiuto alzando il braccio destro teso o leggermente piegato , tornato in voga con l’avvento del fascismo nel secolo scorso, ha un’origine assai controversa. La sua adozione da parte del fascismo avvenne per imitazione del saluto militare compiuto dai legionari fiumani del poeta Gabriele D’Annunzio.
D’Annunzio, uomo di notevole cultura ed amante della classicità, presentava tale gesto quale, appunto, la forma di saluto degli antichi Romani. Non è però chiarissimo da quali testi il poeta abruzzese avesse tratto tale idea. Nella realtà infatti ancora oggi molti storici, non concordano sull’esistenza in epoca romana di una tale forma di saluto, anche se tuttavia esistono fonti storiche e letterarie che ne documentano una qualche veridicità.
L’esistenza di un saluto militare formalizzato appare altamente probabile sulla base di alcuni passi, come ad esempio nel “De bello africo” di Cesare, in cui si accenna ad una “salutatio more militari”. Altri brani dal contenuto analogo si rintracciano anche nel “De bello civili”, nelle Vite dei Cesari” di Svetonio, poi in altri autori quali Flavio Giuseppe e Publilio Siro.

Secondo molti studiosi il saluto romano classico, ripreso dal Fascismo, esisteva sicuramente nel periodo delle Guerre Puniche, ed era praticato con il braccio destro teso all’altezza del volto. Secondo altri storici il saluto avveniva con una variante molto interessante, testimoniata da alcuni autori minori come Publilio Siro, ai tempi della Roma di Cesare. La leggenda la vuole introdotta da Caio Mario, e avveniva portandosi il pugno destro sul cuore, per poi allungare il braccio sempre all’altezza del volto.
Di una simile forma di saluto esistono molti esempi, tra i quali possiamo citare la celeberrima statua dell’Augusto di Prima Porta, oppure l’altrettanto celebre statua equestre di Marco Aurelio in Campidoglio. Alcuni storici ritengono che il monumento equestre di Marco Aurelio, posizionato in origine dove ora sorge la Basilica lateranense e quindi di fronte alla caserma degli “equites singulares”, stesse a significare come il sovrano rispondeva al saluto militare che il reparto gli stava tributando.
Un gesto praticamente identico compare in un rilievo funerario di Efeso, risalente al II secolo d.C., in cui il militare defunto, saluta il proprio superiore con il braccio destro proteso in avanti ed un poco piegato, con il palmo della mano rivolto verso il comandante, e tutte le dita unite tranne il pollice allargato. Inoltre, anche in alcune raffigurazioni su monete viene rappresentata la stessa scena. Ancora, Giuseppe Flavio nel suo “De bello iudaico” segnala come i legionari, acclamando il loro comandante, alzassero per tre volte il braccio destro.
Alcuni storici, riportano tuttavia, una differenza tra i gesti raffigurati nelle opere figurative rinvenute, in quanto, in diversi casi, il gesto ritratto non veda la mano interamente distesa, ma soltanto l’indice, sollevato verso l’alto, mentre le altre dita sono di solito leggermente piegate verso il basso. Questo, assieme ad altri fattori, ha indotto a ritenere che questo gesto sia quello dell’adlocutio, con cui un oratore si rivolge al suo pubblico iniziando il discorso, e non un vero e proprio saluto militare.
Altri studiosi hanno invece proposto altre forme alternative di saluto militare, come ad esempio l’alzare la mano verso l’alto sull’elmo, in maniera analoga al saluto militare contemporaneo. Tale saluto sembrerebbe documentato anche da alcuni rilievi.


Un discorso a parte lo merita il saluto con la stretta di mano. Tale forma ha un’origine antichissima. In Grecia ed a Roma era comune salutare stringendosi la mano, ma in un modo diverso da quello che facciamo oggi. A quell’epoca si afferrava l’avambraccio o il polso dell’altra persona stringendo fortemente. Questo si convertì in un’abitudine a Roma, nonostante derivasse da un rito molto antico. Quando nelle prime tappe della Grecia, marcata da vari dialetti, si incontravano due persone residenti di paesi o città diverse in mezzo ad un campo, o viaggiatori in sentieri solitari, la prima cosa che facevano era ritirare le proprie daghe e vedere come reagiva la controparte. Se l’altra persona mostrava segni di non voler combattere si procedeva a rimettere la daga nell’elsa ed afferrare fortemente il polso destro dell’altra persona -in segno che uno non ritirasse la propria daga e lo pugnalasse a tradimento-, allora in quel momento, potevano procedere a dialogare tranquillamente e sapere se l’altra persona avesse qualcosa da barattare o comprare.

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