Il Tevere

Panoramica del Fiume Tevere
Panoramica del Fiume Tevere

Il Tevere (chiamato anticamente prima Albula, poi Thybris ed infine Tiberis) è il principale fiume dell’Italia centrale; con i suoi 405 km di corso è il terzo fiume italiano per lunghezza dopo il Po e l’Adige.
L’antico nome del fiume Tevere era Albula, per la tradizione in riferimento al colore chiaro delle sue acque. Un altro antico nome del Tevere è stato Rumon, di origine etrusca, da molti collegato al nome di Roma.
Il nome attuale deriverebbe secondo la tradizione dal re latino Tiberino Silvio, che vi si sarebbe annegato. In realtà, secondo Virgilio, già gli Etruschi lo chiamavano Thybris.

La sorgente del fiume Tevere si trova sulle pendici del Monte Fumaiolo a quota 1.268 metri , sul lato che volge verso la Toscana, vicino alla località Balze, frazione del comune di Verghereto (in Provincia di Forlì-Cesena).
Fu Mussolini che nel 1923 fece spostare i confini regionali, includendo il Monte Fumaiolo e la cosiddetta Romagna Toscana nella regione a est dell’Appennino: questo per assecondare il suo desiderio che le sorgenti del Tevere si trovassero nel forlivese, cioè nella sua provincia di origine.
Accanto alla sorgente, nel 1934, è stata posta una colonna di marmo, sovrastata da una scultura con sembianze di aquila, rivolta verso Roma, con incisa la frase: “Qui nasce il fiume sacro ai destini di Roma”.

Colonna_tevere
Il Tevere, fin dalla sua nascita, è stato l’anima di Roma, e il fatto che la città gli debba la propria stessa esistenza è descritto già dalla prima scena della leggenda di fondazione, con Romolo e Remo nella cesta, arenati sotto il ficus ruminalis, scoperti e tratti in salvo dal pastore Faustolo.
Il punto in cui la pianura alluvionale era più attraversabile era nei prerssi dell’Isola Tiberina, accanto alla quale si localizzò in origine il punto di scambio tra le popolazioni etrusche che dominavano la riva destra (detta poi Ripa Veientana) e i villaggi del Latium vetus sulla riva sinistra (chiamata Ripa Greca).
L’Isola rappresentava, inoltre, il punto fin dove le navi potevano risalire direttamente dal mare. Il fiume stesso era considerato una divinità, che trovava la sua personificazione nel Pater Tiberinus: la sua festa annuale (le Tiberinalia) veniva celebrata l’8 dicembre, anniversario della fondazione del tempio del dio sull’Isola Tiberina ed era un rito di purificazione e propiziatorio.
Con il passare degli anni e il conseguente interramento del fiume, non fu più possibile alle navi dell’antichità di arrivare dal mare fino all’emporio romano, che all’epoca era situato all’altezza dell’odierno rione di Testaccio, ragion per cui, merci e passeggeri giungevano a Roma col metodo dell’alaggio, cioè su chiatte o barconi che venivano rimorchiati dalla riva: la forza motrice per risalire il Tevere, che nei periodi di secca non offriva più di due metri di profondità, era generalmente costituita da buoi ma anche, occasionalmente, da uomini. Questo sistema era ancora in uso a metà dell’Ottocento, quando i buoi vennero sostituiti da rimorchiatori a vapore, che potevano trascinare fino a quattro chiatte.

Il punto dove sgorgano le acque del Tevere, situato sulle pendici del monte Fumaiolo.
Il punto dove sgorgano le acque del Tevere, situato sulle pendici del monte Fumaiolo.

Il porto dell’Emporium venne abbandonato già in epoca medioevale, e il nuovo attracco venne consolidato sulla riva destra, detta “Ripa Romea”: per i pellegrini era in effetti molto più comodo sbarcare sulla riva dove era posto il Vaticano. Questo approdo era detto, Ripa. Modificando il percorso delle mura nei pressi di porta Portese, il porto venne ricostruito nel 1642 un po’ più a monte, in corrispondenza dell’ospizio di San Michele, e divenne il porto di Ripa Grande, dedicato a merci e uomini in arrivo da Ostia.
Sulla riva sinistra, a monte di Castel Sant’Angelo, venne invece costruito nel 1704 il porto di Ripetta, dedicato soprattutto al traffico con l’entroterra umbro. Più a valle sulla riva destra, poco più avanti di porta Santo Spirito c’era un altro porto. Questo era detto “porto dei travertini” in quanto utilizzato per l’arrivo dei marmi destinati alla costruzione della basilica di San Pietro. Fu poi fatto ricostruire all’inizio dell’Ottocento da Papa Leone XII, come porto di servizio della città. Il porto fu dotato in quell’occasione anche di una fontana che utilizzava il condotto dell’acqua lancisiana che era stato riattivato sotto Pio VII.

Un’altra presenza sul fiume, della quale ora non c’è più traccia, erano i molini ad acqua a Roma detti comunemente “mole”. La storia delle “mole a Tevere” iniziò quando Vitige, re dei Goti, durante l’assedio del 537, tagliò l’acquedotto Traiano che forniva energia ai mulini installati sul Gianicolo. Questo costrinse il generale bizantino Belisario a cercare una nuova soluzione per l’approvvigionamento di farina dei romani assediati. La soluzione trovata fu quella di installare coppie di barche incatenate: ogni coppia era dotata, al centro, di una ruota che azionava le macine di pietra alloggiate sulle barche stesse. La prima coppia era incatenata alle rive del fiume presso il Ponte di Agrippa (l’attuale Ponte Sisto), le altre erano collegate alla prima. A monte di questo sistema di molini galleggianti furono installate palafitte di riparo, allo scopo di deviare i tronchi con i quali i Goti cercavano di travolgerlo.

Il corso del fiume Tevere.
Il corso del fiume Tevere.

Tito Livio attesta che le piene del Tevere, spesso disastrose (come quelle del 215 a.C.), erano ritenute dal popolo romano annunciatrici di eventi importanti o punizione degli dei irati, di sicuro comportavano oltre che distruzioni, epidemie dovute al ristagno delle acque. Cesare fu forse il primo che immaginò di raddrizzare i meandri urbani del fiume facendolo deviare attorno al Gianicolo evitando Trastevere e la pianura dei Fori, e canalizzandolo attraverso le Paludi Pontine in direzione del Circeo. Ottaviano Augusto, più realista, dopo aver nominato una commissione di ben 700 esperti si limitò a disporre la pulizia dell’alveo del fiume e ad istituire una magistratura apposita, i “Curatores alvei et riparum Tiberis”, carica ricoperta da Agrippa e che tenne per se fino alla sua morte. A Traiano si deve il completamento del canale di Fiumicino (la cosiddetta Fossa Traiana) iniziato da Claudio, funzionale alla navigabilità del Tevere, ma anche a migliorare il deflusso delle acque verso il mare.
L’ultimo imperatore che dispose una pulizia radicale dell’alveo e un’arginatura del fiume fu Aureliano.

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