Teutoburgo

Detta anche “Clades Variana”, la battaglia della foresta di Teutoburgo rappresenta una delle più gravi disfatte subite da Roma in tutta la sua storia, in questa occasione furono spazzate via in pochissimo tempo la diciassettesima, la diciottesima e la diciannovesima legione, più tutti gli schiavi e i civili addetti alle salmerie che erano al seguito. La battaglia ebbe luogo nei pressi dell’odierna Kalkriese nella bassa Sassonia attorno all’8-9 settembre dell’anno 9  d.C.

Teutoburgo, contesto storico:

Dopo le campagne condotte dal futuro imperatore Tiberio negli anni 4 e 5 d.C., che sedarono gli ultimi focolai di rivolta, la Germania appariva ormai, dopo un ventennio di lotte, una vera e propria nuova provincia romana,  a Roma si pensò quindi  che fosse arrivato il momento di introdurre nella regione il diritto e le istituzioni romane. L’imperatore Augusto più che ad un vero e proprio generale, decise di affidare il compito ad un burocrate di professione, che fino a quel momento governava la Siria con discreto successo, il prescelto era Publio Quintilio Varo. L’Imperatore ritenne che Varo, non particolarmente noto per le sue attitudini in battaglia, potesse essere l’uomo giusto per modificare le secolari abitudini germaniche, così lontane da quelle romane.

Purtroppo Varo non si rese conto da subito dell’importanza del ruolo a lui assegnato, e una volta giunto in Germania si relazionò con le tribù di quei luoghi in modo altezzoso, considerandoli dei sudditi piuttosto che nuovi romani da formare, e mentre il nuovo governatore ignorava le direttive imposte da Augusto, il malcontento mai sopito dei germani prese nuovo vigore.

Teutoburgo
Teutoburgo

Teutoburgo, l’imboscata di Arminio:

Arminio, principe e condottiero della tribù dei Cherusci, serviva già da qualche anno nei reparti di cavalleria romana, combattendo molto probabilmente al servizio degli stessi durante le campagne condotte da Tiberio qualche anno prima, fino ad ottenerne la cittadinanza nel 7 d.C.. Dopo aver guidato gli ausiliari Cherusci durante la rivolta dalmato pannonica del 6 d.C., Arminio fece ritorno nelle sue terre d’origine, e segretamente prese a complottare con altre tribù per rovesciare il governo di Roma. Arminio tuttavia mantenne il suo incarico di ufficiale della Legione, e da cittadino romano anche la piena fiducia di Varo, che stoltamente si affidò completamente ai suggerimenti del barbaro riguardo alla campagna militare che stava seguendo, ignorando inoltre le accuse di tradimento formulate nei suoi confronti dai romani e promuovendolo addirittura a suo consigliere militare.

I Germani attendevano solo il momento più opportuno per realizzare il loro piano, e il momento parve materializzarsi nel 9 d.C., quando Varo al comando di tre legioni si spinse  in direzione nord ovest, affidandosi alle indicazioni degli indigeni poiché non conosceva la regione. Erano i primi giorni di settembre e il governatore insieme ai propri reparti armati, si stavano dirigendo verso i campi invernali che si trovavano ad Haltern, Castra Vetera e Colonia, poichè la stagione di guerra, che per i romani andava da marzo ad ottobre, era virtualmente conclusa.

Proprio in questo contesto il piano organizzato da Arminio prese il via, Varo infatti, anzi che proseguire sul tracciato conosciuto, decise di dirigersi verso ovest, in direzioni di luoghi mai visti prima, affidandosi quindi completamente alle indicazioni di Arminio e degli abitanti dei luoghi attraversati. Publio Quintilio Varo, nonostante la deviazione fuori programma continuava a sentirsi al riparo da ogni minaccia, considerando Arminio un fedelissimo alleato di Roma, ignorando totalmente che quest’ultimo aveva già organizzato la rivolta  nei minimi particolari.

Addentratosi già molto nelle foreste Varo venne informato di una rivolta nel territorio dei Bructeri, e senza dar credito a quanti sostenevano che si trattasse di una trappola, deviò ulteriormente il percorso dirigendosi verso la rivolta simulata dai germani per attirare il nemico. Qui il terreno si fece ancora più impervio e a tratti praticamente impraticabile, tanto è che a causa della difficoltà del percorso fu impossibile mantenere una certa compattezza,  e le tre legioni assunsero le sembianze di una  carovana lunga più di tre chilometri.

Mentre i romani arrancavano tra mille difficoltà sfiniti da una marcia a dir poco difficoltosa, i germani guidati da Arminio attaccarono, costringendo i romani ad intrufolarsi in uno stretto passaggio acquitrinoso senza uscita, in quanto i germani avevano provveduto a chiuderlo con un terrapieno, tutto procedeva esattamente secondo i piani di Arminio. Privati della libertà di movimento e anche di buona parte del morale le tre legioni romane erano così un facilissimo bersaglio per le tribù germaniche che viceversa potevano imperversare ovunque grazie alla grande conoscenza che avevano di quei luoghi. Al termine del primo giorno le perdite fra i romani erano già numerose,  Varo riuscì tuttavia ad organizzare i sopravvissuti su di un altura boscosa tentando una strenua difesa.

Teutoburgo
Teutoburgo

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Teutoburgo, il secondo giorno:

Tentando di riorganizzarsi per quanto possibile durante la notte, i romani decisero di bruciare tutto ciò che creava loro impaccio e disponendosi nel modo più ordinato possibile decisero di tentare l’avanzata per uscire in luoghi più favorevoli. Il secondo giorno trascorse così in uno stillicidio di attacchi a sorpresa da parte di Arminio, i romani ancora speranzosi di potersela cavare tentavano la marcia in direzione di Castra Vetera dove i rinforzi potevano sovvertire la situazione, ma Arminio che ben conosceva quei territori e le intenzioni dei romani non diede tregua per tutta la giornata, e a causa degli strettissimi spazi di manovra non fu concesso ai legionari di potersi adeguatamente difendere e rispondere agli attacchi fulminei dei nemici, il secondo giorno si concluse con migliaia di caduti tra le file romane.

Teutoburgo, il terzo giorno e morte di Varo:

La terza giornata fu l’ultima e la più terribile per Varo e i suoi uomini, l’armata romana era ormai decimata dalla furiosa lotta dei giorni precedenti, quando, oltre ai dardi dei germani, si abbattè sui romani anche la furia del clima con una violentissima tempesta che impedì ai sopravvissuti persino di  poter costruire un nuovo accampamento entro cui difendersi. La pioggia era talmente copiosa che i legionari avevano difficoltà ad usare le armi, in quanto scivolose. I Germani pativano di meno questa condizione, poiché il loro armamento era più leggero, ed avevano la possibilità di attaccare e di ritirarsi velocemente nella vicina foresta con la massima libertà. L’eco della battaglia aveva, inoltre, dato morale alle vicine tribù barbare che, fiduciose per l’esito finale della battaglia, avevano inviato nuovi rinforzi, infoltendo il già cospicuo numero di armati germani. I soldati romani, sempre più decimati e ormai ridotti allo stremo, erano ovunque circondati e colpiti da ogni parte, rendendo vana una qualsiasi forma di difesa e di resistenza. Fu a questo punto che Varo e i più alti ufficiali romani, piuttosto che cadere per mano nemica, decisero di togliersi la vita, lasciando così allo sbando più totale quello che rimaneva delle tre legioni. Molti soldati appresa la notizia della morte dei propri superiori deposero le armi, altri scelsero il suicidio, e altri ancora cercarono una improbabile fuga.

Per dare un’idea della violenza di quei tragici momenti riportiamo quanto scritto dallo storico Publio Anneo Floro: “non ci fu nulla di più cruento di quel massacro fra le paludi e nelle foreste […] ad alcuni soldati romani strapparono gli occhi, ad altri tagliarono le mani, di uno fu cucita la bocca dopo avergli tagliato la lingua”.

Di quel massacro pochi furono i superstiti in grado di raccontare gli eventi, è accertato che alcuni di essi (i più fortunati), furono scambiati con alcuni prigionieri germanici, dandogli la possibilità di condurre Germanico, sei anni più tardi, nei luoghi della disfatta, per concedere una degna sepoltura alle migliaia di poveri resti rimasti nel cuore della foresta.

Teutoburgo, conseguenze:

La disfatta romana fu devastante, tre intere legioni furono annientate insieme ad altri 5.000 soldati ausiliari. La notizia dei tragici eventi giunse a Roma pochi giorni dopo le fortunate vittorie in Pannonia, e Augusto, ormai avanti negli anni e provato a tutto, rimase talmente colpito che da quel momento non volle più nessuno di origine germanica accanto a se.

Svetonio ci racconta: ” Quando giunse la notizia […] dicono che Augusto si mostrasse così avvilito da lasciarsi crescere la barba ed i capelli, sbattendo, di tanto in tanto, la testa contro le porte e gridando: “Varo rendimi le mie legioni!”. Dicono anche che considerò l’anniversario di quella disfatta come un giorno di lutto e tristezza”.

Ora era necessaria però una reazione militare immediata e decisa da parte dell’Impero romano. Non si doveva permettere al nemico germanico di prendere coraggio e di invadere i territori della Gallia e magari dell’Italia stessa, mettendo a rischio non solo una provincia ma la stessa salvezza di Roma.

In una situazione tanto drammatica, Augusto fu costretto anche ad arruolare liberti: Velleio Patercolo storico ed ex militare ci racconta nella Storia di Roma gli eventi che seguirono: ” Tiberio  viene inviato in Germania, e qui rafforza le Gallie prepara e riorganizza gli eserciti, fortifica i presidi e avendo coscienza dei propri mezzi, non timoroso di un nemico che minacciava l’Italia con un’invasione simile a quella dei Cimbri e dei Teutoni, attraversava il Reno con l’esercito e passava al contrattacco, mentre al padre Augusto ed alla patria sarebbe bastato di tenersi sulla difensiva. Tiberio avanza così in territorio germano, si apre nuove strade, devasta campi, brucia case, manda in fuga quanti lo affrontano e con grandissima gloria torna ai quartieri d’inverno senza perdere nessuno di quanti aveva condotto al di là del Reno […] ».

Per quanto riguarda Arminio, si sa che dopo la vittoria sui romani sfidò a battaglia il Re germano Maroboduo, alleato di Roma, sconfiggendolo, L’anno successivo (19 d.C.) Arminio venne assassinato dai suoi stessi concittadini che temevano sempre più il suo potere in ascesa.

 

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