Coinvolta nelle guerre giugurtine verso la fine del II secolo a.C., Roma si trovò di fronte al problema della scarsità di nuovi soldati da reclutare, problema che si era via via ampliato sempre più. Da questa premessa il console di quell’anno, Gaio Mario, decise di aprire l’arruolamento nell’esercito a chiunque, a prescindere che fosse o meno possidente. In merito a questo Sallustio nel suo ” Bellum Iugurthinum”, ci dice che:
Come era strutturato quindi il nuovo esercito dopo la riforma mariana? Innanzitutto, le precedenti divisioni tra hastati, principes e triarii, già molto meno visibile rispetto al passato, scomparve del tutto, dando vita ad un unico e massiccio corpo di fanteria pesante i cui componenti erano reclutati tra quelli che avevano la cittadinanza romana, cittadinanza che già a quell’epoca era estesa ben al di fuori dell’Italia antica e della Gallia cisalpina. All’interno poi delle singole centurie i legionari formavano gruppi di 8-10 soldati, chiamati contubernium, a capo dei quali veniva posto un decanus. Questa nuova unità ebbe una grande importanza a livello strutturale nella legione, sia nella gestione interna della centuria, sia per la vita quotidiana che gli 8-10 soldati compivano insieme, montando la tenda al termine di una lunga marcia in territorio nemico, dividendo i pasti e condividendo i rischi, e molte delle comuni fatiche che la vita militare imponeva. Venivano inoltre aboliti gli “Equites” e la fanteria leggera formata dai “Velites” sostituiti con speciali corpi di truppe ausiliarie o alleate, che potevano essere formati anche da mercenari stranieri.
La riforma mariana dell’esercito romano proseguiva anche sotto il profilo tattico, Gaio Mario infatti, memore delle sconfitte subite dalle tribù germaniche dei Cimbri e dei Teutoni, adottò uno schieramento più compatto, ma allo stesso tempo più flessibile, in modo tale da poter agire più autonomamente potendo così aggirare i fianchi del nemico e metterlo in gravi difficoltà. Nascevano così all’interno della legione le coorti. Ogni coorte era formata da tre manipoli oppure da sei centurie, composte a loro volta da un centurione, un optio, un signifer, un cornicen e 60 legionari, per un totale di 64 armati a centuria, ovvero 384 a coorte. La legione contava così 3.840 fanti. A capo di ogni legione fu, in seguito, posto un “legatus pro praetore”, che faceva le veci del console quando questi era assente.
L’età minima per i volontari era ora stabilita a 17 anni, quella massima a 46. Il servizio durava invece fino ad un massimo di 16 anni. Si trattava della prima forma di un esercito di professionisti.
Nel 104 a C. Gaio Mario introdusse inoltre la possibilità per ogni legione di distinguersi dalle altre, assumendo un simbolo proprio, molto spesso si trattava di un animale, che poteva essere il toro, il leone oppure un cinghiale, tutto questo stimolava nel legionario un maggiore attaccamento all’unità di appartenenza e spirito di gruppo, in modo da combattere sia per lo “stipendium” sia per la patria. Le legioni ora potevano differenziarsi, le une dalle altre, grazie a specifiche insegne e numerazioni divenendo così unità permanenti, che con gli anni acquisivano una loro storia, fatta di ricompense e riconoscimenti per le vittorie dalle stesse conseguite nel corso delle guerre.