Le strade romane

Di grande importanza per il controllo dei nuovi territori conquistati, la rete stradale romana testimonia come l’espansione di Roma andava di pari passo con la costruzione della viabilità. Si calcola che nel periodo di massimo splendore erano percorribili in Europa, Asia e Africa, circa centomila chilometri di strade costruite, controllate e curate dalle istituzioni di Roma. Quello che ancora oggi lascia esterrefatti è come la grande quantità di chilometri sviluppati corrispondessero anche ad una altissima qualità delle opere, giunte intatte fino al tramonto dell’Impero, e visibili in molti luoghi ancora oggi.

Le strade romane superavano sistematicamente ogni ostacolo naturale con straordinarie opere di ingegneria, basti ricordare gli imponenti ponti e viadotti che ancora oggi sono percorribili o visitabili, ad esempio il ponte di Augusto a Narni, nei pressi di Terni, oppure il Pont Saint Martin in Valle d’Aosta. Ancora oggi è in uso il viadotto della via Appia presso Ariccia del II secolo a. C., lungo 231 metri e si innalza sino a 13. In alternativa, per superare ostacoli rilevanti si tagliava la roccia, come usavano fare gli etruschi, dai quali i romani impararono le tecniche costruttive. Questi metodi erano usati soprattutto nelle zone alpine o appenniniche.
I nomi delle strade romane rivelano spesso la loro funzione originaria: la via Salaria ad esempio era destinata al trasporto del sale. Sull’Argentea, in Iberia, si trasportava il prezioso minerale. Altre strade erano invece identificate dall’area geografica in cui avevano la loro origine o il loro termine: così la via Ostiense, da Ostia; la via Ardeatina, da Ardea, la Tiburtina, da Tibur, la Nomentana, da Nomentum. Comunque, nella maggior parte dei casi, il loro nome ricorda colui che ne promosse la costruzione, come la via Appia, da Appio Claudio Cieco (312 a.C.), la via Flaminia, da Caio Flaminio (223-219 a.C.), la via Emilia, da Marco Emilio Lepido (175 a.C.). Questo sistema stradale interessava, come detto tutto l’Impero, dalla Britannia all’Africa, dalla Spagna al Medioriente. La costruzione di queste opere avveniva quasi sempre in condizioni disumane, il più delle volte erano i militari che si occupavano di sobbarcarsi le immani fatiche, ma potevano essere utilizzati anche schiavi o prigionieri di guerra per dare man forte.
Le prime vie, risalenti ai primi anni dopo la fondazione di Roma, come ad esempio la via Ardeatina, si sviluppavano nelle zone centrali del Lazio, ed erano molto tortuose, imperfette e irregolari, Il loro fondo, quasi sempre in terra battuta, spesso era stato scavato direttamente nella roccia, ed in qualche caso veniva rinforzato con ghiaia compressa. Un salto di qualità notevole si ebbe con l’introduzione di nuovi criteri e di nuove tecniche di ingegneria stradale nel 312 a.C., quando si realizzò la costruzione della Via Appia ad opera di Appio Claudio Cieco.

la costruzione di una strada romana
la costruzione di una strada romana

Il sistema costruttivo di una strada romana era piuttosto complesso. Per prima cosa, venivano definiti i margini e scavata profondamente la terra per liberare la zona che successivamente sarebbe stata occupata dalla carreggiata. All’interno dello scavo si sistemavano quindi quattro strati sovrapposti di materiali diversi (viam sternere). Per questa loro caratteristica a strati, le vie venivano tecnicamente chiamate via strata, da cui ha origine il termine italiano strada. Vediamo ora come erano composti questi strati:
Il primo era lo statumen, la massicciata di base, composta di blocchi molto grandi e alta non meno di 30 cm, dopo di che veniva sovrapposta la ruderatio, fatta da pietre tondeggianti legate con calce, il cui spessore non era mai inferiore a quello della massicciata, poi vi era il nucleus, ovvero uno strato di grossa ghiaia livellato con enormi cilindri, e per ultimo il tutto veniva completato con il pavimentum, ossia il rivestimento, generalmente in grossi massi di una pietra basaltica di eccezionale durezza e sostanzialmente indistruttibile: i famosi “basoli”. La parte centrale della carreggiata veniva strutturata a schiena d’asino, per favorire il deflusso delle acque piovane che poi venivano smaltite attraverso cunicoli o canaletti di scolo. La larghezza di una strada romana variava tra i 4 ed i 6 metri, e solo in casi eccezionali poteva variare tra i 10 ed i 14 metri, misura che permetteva l’incrocio senza problemi fra due carri. I marciapiedi di terra battuta oppure lastricati, erano invece larghi dai 3 ai 10 metri per parte. In prossimità della città le strade diventavano dei maestosi viali alberati, fiancheggiati da sepolcri, statue, ville e templi.

prima di ogni costruzione i romani utilizzavano la groma, per  effettuare i rilievi del territorio.
prima di ogni costruzione i romani utilizzavano la groma, per effettuare i rilievi del territorio.

Fino a tutto il periodo repubblicano le strade romane non brillavano per efficenza, esse erano divise in 3 categorie, “itinera” strade accessibili solo ai pedoni, “actus” che erano strade abbastanza strette dove poteva transitare solo un carro, e poi c’erano le “viae”, percorsi più ampi dove poteva transitare un carro per senso di marcia. Esempi di “viae” all’interno delle mure cittadine erano la Via Sacra e la via Nova, che correvano ai lati del Foro, i sentieri e le vie più piccole venivano chiamate “agriportus”.
La prima strada romana veramente efficiente e costruita in modo che resistesse nel tempo, fu, come abbiamo detto la Via Appia, la prima a cui venne applicato il metodo della copertura in basolato, metodo che da li in avanti venne poi utilizzato su tutte le altre vie, consentendo viaggi relativamente più agevoli, ma sicuramente più veloci, alcune fonti antiche ci tramandano che con questo nuovo lastricato era possibile percorrere anche 300 chilometri in una sola giornata! Per consentire di percorrere lunghi tragitti ai romani che volessero o che dovessero affrontare un viaggio, fu esposta nel Foro, una mappa scolpita nel marmo, che rappresentava il complesso sistema di vie, per arrivare in altre località, questa mappa includeva inoltre i punti di ristoro dove potersi rifocillare, le fontane, e le “mutatio” che erano luoghi dove il cavallo ormai stanco poteva essere sostituito da uno più fresco per poter continuare il viaggio, questo sistema veniva usato principalmente dal “tabellarius”, il postino dell’antichità. Questa mappa in marmo scolpita nel Foro veniva ricopiata su pergamena, così chi intendeva partire, passava dal Foro, e ne prendeva una in modo tale da consultarla durante il viaggio esattamente come si usa oggi una cartina stradale.

Non mancava poi la segnaletica stradale, l’indicazione più riconosciuta erano le miliaria, costituite da un tronco d’albero o da veri pilastri di marmo, questi erano sistemati ad ogni miglio, e su di essi erano indicati i chilometri percorsi dall’inizio di quella strada, e quanti ancora ne mancavano prima che essa terminasse. Il punto di riferimento per tutti era il “Miliarum Aurem”, una colonna in oro, posta nel Foro Romano, sopra la quale erano incise le distanze dai principali centri abitati dell’epoca.

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