Adozione nell’antica Roma

Adozione nell'antica Roma
Adozione nell’antica Roma

Il metodo dell’adozione nell’antica Roma era una pratica attuata in particolar modo per il sesso maschile, in modo diametralmente opposto a come viene attuata oggi. L’adozione era legata strettissimamente alla sfera politica e sociale, e permetteva di assicurarsi una discendenza alla propria stirpe, anche per quelle persone che non avevano molte possibilità economiche per consentire la crescita e il mantenimento di un figlio.

A livello politico, l’adozione era un metodo per instaurare alleanze o collaborazioni, e fu molto diffusa in epoca imperiale, quando diversi imperatori, non scelsero i propri successori fra gli eredi naturali bensì adottando un personaggio che evidentemente ritenevano più degno di tale carica. Anche nella Roma repubblicana, retta dalle “gens” le adozioni erano motivate quasi esclusivamente da motivi politici, mettendo così in risalto la poca umanità che vigeva all’interno delle famiglie romane, dove i figli si muovevano all’interno delle trame tessute dai pater familias. L’adozione inoltre poteva essere determinata per spostare patrimoni, non era infatti insolito trovare un suocero che avesse adottato il ricco genero, sullo sfondo di un’alleanza tra due famiglie.

All’interno del diritto romano, il potere di dare un figlio in adozione, spettava esclusivamente al pater familias, di solito era sempre il maggiorenne, o comunque quello che godeva di migliore salute, un patrizio poteva adottare un plebeo e viceversa, ma in quel caso doveva essere approvata dal Pontefice Massimo, e con la transitio ad plebem, il patrizio diventava anch’egli plebeo.

Adozione nell'antica Roma
Adozione nell’antica Roma

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