Il conflitto fra Patrizi e Plebei

Esasperata da una lunga e penosa crisi economica, nel 494 a.C., la Plebe organizza una sorta di sciopero generale, ritirandosi sul colle di Roma che maggiormente era legato alle loro tradizioni: l’Aventino. Durante questo lasso di tempo, la plebe si diede propri organismi politici creando il “concilia plebis tributa”, un’assemblea che votava prima per curie e poi per tribù, che poteva emanare dei procedimenti, i plebiscita (decisioni della plebe).
Le decisioni erano valide solo per la plebe e non per lo Stato.
La plebe scelse poi i propri rappresentanti nelle figure dei tribuni che inizialmente erano in numero di due, fino a diventarne dieci nel corso degli anni. Ad essi vennero attribuiti diversi poteri, come ad esempio lo IUS AUXILI, ovvero il diritto di venire in soccorso di un cittadino contro l’azione di un magistrato; oppure lo IUS INTERCESSIONIS, che consisteva nell’avere facoltà di porre il veto ad un qualsiasi provvedimento di un magistrato che andasse a discapito della plebe; oppure ancora lo IUS AGENDI CUM PLEBE, cioè la facoltà convocare l’assemblea per sottoporre le proprie proposte.


Con questa prima secessione della plebe, lo stato romano di fatto accetta questa sua organizzazione e divisione interna, facendo si che la protesta, nata più che altro per motivazioni economiche, portasse a notevoli risultati di natura politica. A seguito di ciò i plebei iniziarono a premere perchè venisse realizzato un codice scritto di leggi, e dopo qualche decennio di agitazioni interne, si giunse ad un compromesso nell’anno 451 a.C.. Venne così organizzata una commissione di dieci uomini, appartenenti al patriziato, che prese il nome di Decemvirato. Ad essi era affidato il compito di redigere una sorta di primo codice legislativo che sfociò dopo un anno di duro lavoro ad un codice di dieci tavole esposto nel Foro romano.
Queste prime dieci tavole, tuttavia, non risolvevano alcune questioni in sospeso, così nel 450 a.C., venne eletto un secondo Decemvirato, incaricato di correggere il codice redatto appena una anno prima. Vide così la luce un secondo codice, questa volta di dodici tavole, il primo vero ed ufficiale codice legislativo della Roma antica.
La commissione legislativa formata dai dieci Decemviri e guidata dal patrizio Appio Claudio, si rifiutò infine di congedarsi per poter continuare ad esercitare il potere praticamente assoluto che detenevano in quel momento, favorendo quindi una seconda secessione plebea e addirittura di qualche patrizio più moderato tra cui Marco Orazio e Lucio Valerio, che una volta riportata faticosamente la situazione alla normalità, vennero eletti consoli, aggiungendo rilevanti tutele nei confronti della plebe.

I plebei si ritirano sull'Aventino.
I plebei si ritirano sull’Aventino.

Nel 445 a.C., le Lex Canuleia, abrogava una legge contenuta nelle dodici tavole, che proibiva il matrimonio misto fra patrizi e plebei, aprendo così a questi ultimi, la possibilità di ambire alle cariche più importanti dello stato. I patrizi più oltranzisti, vista minacciata la loro leadership politica, studiarono un espediente che potesse mantenere per loro una certa protezione. Inserirono così, con ruoli di comando, i tribuni militari con poteri consolari. A questo punto lo Stato romano era nella posizione di poter decidere se dovessero governare i 2 consoli, che erano solo patrizi, oppure questi tribuni militari con poteri consolari che potevano anche essere plebei.
Il conflitto fra patrizi e plebei era ancora lontano dalla sua soluzione. Il patrizio Manlio Capitolino, propose la cancellazione di tutti gli indebitamenti contratti dai plebei nei confronti dei patrizi, ma in una Roma memore della recente monarchia, un gesto simile venne visto come l’ atto tirannico di un singolo, che avrebbe anche potuto avere altre mire politiche, e per questo punito. A questo punto i due tribuni della plebe Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano, elaborarono un piano di lavoro per risolvere le spinose questioni riguardanti la distribuzione delle terre da parte dello stato e l’accesso dei plebei al consolato. Per il continuo boicottaggio da parte patrizia verso questi due punti, la situazione si fece nuovamente molto tesa e quasi insostenibile.
Quando le cose si facevano difficili e certe posizioni diventavano inconciliabili, a Roma, veniva eletto un dittatore. Essi assumeva tutti i poteri dello stato, sistemando con la sua autorità le questioni irrisolte. In quel periodo venne eletto Marco Furio Camillo, l’eroe della guerra contro Veio. Egli promulgò le leggi Licinie-Sestie, che regolamentavano l’assegnazione delle terre da parte dello stato fino a un massimo di 125 ettari per individuo, e stabiliva l‘abolizione del tribunato militare con poteri consolari e la completa reintegrazione alla testa dello Stato dei consoli, uno dei quali sarebbe dovuto essere sempre plebeo.
Per aver perso un ruolo, fino a quel momento di esclusiva patrizia come il consolato, i patrizi crearono due nuove istituzioni, che potevano essere occupate solo da loro:
– Il pretore che si sarebbe occupato di amministrare la giustizia fra i cittadini romani, e in caso di necessità, essere messo alla testa di un esercito,
– edili curuli che avevano il compito di organizzare i Ludi Maximi.

Con questi compromessi un nuovo equilibrio andava creandosi, nel 342 a.C., Tito Livio ci racconta già di come entrambi i consoli potevano essere appartenenti alla plebe. Nei decenni seguenti i plebei ricoprirono tutte la più alte cariche della magistratura, entrando progressivamente anche in Senato.
Nel 326 a.C. la Legge Petelia abolisce la servitù per debiti; ma la vera risoluzione a tutti i problemi economici venne dalle conquiste dell’esercito romano che metteva così a disposizione molti più terreni e molte più ricchezze.

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