Il Ratto delle Sabine

Il Ratto delle Sabine rappresenta uno degli episodi più antichi e ammantati di leggenda della Roma antica. Secondo la tradizione Romolo, poco dopo aver fondato la città, si guardò intorno chiedendo l’aiuto dei popoli più prossimi per stringere alleanze e ottenere donne con cui procreare e popolare Roma. Al perentorio rifiuto delle genti vicine, Romolo decise di agire con l’astuzia, tendendo un tranello, sotto forma di un grande spettacolo, che serviva per attirare e distrarre le popolazioni confinanti, dando la possibilità ai romani di rapire le donne di cui avevano necessità.
Tito Livio sull’accaduto ci racconta che: “…Romolo su consiglio dei Senatori, inviò ambasciatori alle genti vicine per stipulare trattati di alleanza con questi popoli e favorire l’unione di nuovi matrimoni. All’ambasceria non fu dato ascolto da parte di nessun popolo: da una parte provavano disprezzo, dall’altra temevano per loro stessi e per i loro successori, ché in mezzo a loro potesse crescere un simile potere. ». Secondo Plutarco invece fu questo un primo tentativo per favorire la fusione fra il popolo romano e quello dei sabini.

Il ratto delle Sabine nel dipinto di Pietro da Cortona.
Il ratto delle Sabine nel dipinto di Pietro da Cortona.

Secondo la leggenda la gioventù romana non vedeva di buon occhio la soluzione ingannevole proposta dal primo Re di Roma, preferendo invece l’uso delle armi, e rapire le donne con la forza, ma Romolo dal canto suo continuò per la sua strada, allestendo sontuosi giochi chiamati “Consualia” dedicati al Dio Conso. In primo luogo Romolo ordinò ai suoi sottoposti di mandare inviti ai popoli vicini, primi fra tutti i Sabini, che ai tempi erano stanziati sulle pendici del colle Quirinale, ma poi vennero mandati inviti anche ai Crustumini, ai Ceninensi e agli Antemnati.
Naturalmente moltissima gente accorse non solo per assistere agli spettacoli, ma anche per la curiosità di vedere la nuova città da poco fondata, l’idea era quella di rapire quante più donne possibile durante il clamore destato dai “Consualia”.

Durante gli spettacoli Romolo prese posto fra gli spettatori e ad un segnale convenuto, i romani estrassero le spade e rapirono le figlie dei popoli accorsi. I Sabini in particolare, colti di sorpresa, fuggendo promettevano vendetta. Le cifre di questo rapimento sono molto contrastanti, si passa infatti dalle trenta fanciulle rapite alle non meno di ottocento documentate da Plutarco, che inoltre puntualizza come questo “ratto” non fu tanto un gesto dettato dalla superbia, ma piuttosto come una necessità che dava la possibilità ai popoli in questione di fondersi tra loro. Il “Ratto delle Sabine” avvenne il 21 agosto.
Romolo offrì alle fanciulle libera scelta e promise loro pieni diritti civili e di proprietà. Egli stesso trovò moglie tra queste fanciulle, il cui nome era Ersilia. I popoli che avevano subito l’affronto chiesero la liberazione della fanciulle, ma il nuovo re di Roma, non solo si rifiutò di rilasciarle, al contrario chiese loro di accettare i legami di parentela con i Romani. Questo significava solo una cosa: la guerra. Per prima cosa vennero sconfitti i Ceninensi, poi gli Antemnati e i Crustumini, ma contro i Sabini, i Romani ebbero molto filo da torcere, i Sabini infatti prima presero il Campidoglio, con il famoso e leggendario tradimento di Tarpeia, poi impegnarono i romani in un durissimo scontro nella Battaglia del lago Curzio.
Proprio in occasione di questa battaglia le donne sabine, che erano state rapite in precedenza dai Romani, si lanciarono sotto una pioggia di proiettili tra le opposte fazioni per dividere i contendenti e placarne la collera. Tito Livio ancora ci soccorre e ci racconta che le donne sabine: “Da una parte supplicavano i mariti (i Romani) e dall’altra i padri (i Sabini). Li pregavano di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i figli che avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri. Se il rapporto di parentela che vi unisce e questi matrimoni non sono di vostro gradimento, rivolgete contro di noi l’ira; noi siamo la causa della guerra, noi siamo responsabili delle ferite e dei morti sia dei mariti sia dei genitori. Meglio morire piuttosto che vivere senza uno di voi due, o vedove o orfane. ».

Il ratto delle Sabine, di Nicolas Poussin.
Il ratto delle Sabine, di Nicolas Poussin.

Alla visione di questo coraggioso gesto le due fazioni in lotta smisero di combattere e decisero così di collaborare fra loro, stipulando un trattato di pace, sulla via che per questo fatto da allora sarebbe stata chiamata Via Sacra, varando così l’unione tra i due popoli con comunanza di potere e cittadinanza, associando inoltre i due regni (quello di Romolo e del sabino Tito Tazio), lasciando che la città dove ora era trasferito tutto il potere decisionale continuasse a chiamarsi Roma, oramai raddoppiata nella sua popolazione. Tito Livio racconta che, per venire incontro ai Sabini, i Romani presero il nome di Quiriti, dalla città di Cures, dove era nato Tito Tazio, mentre il vicino lago nei pressi dell’attuale foro romano, fu chiamato in ricordo di quella battaglia e del comandante sabino scampato alla morte (Mezio Curzio), Lacus Curtius.

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