La corsa dei carri

Una corsa dei carri nella Roma  antica.
Una corsa dei carri nella Roma antica.
I Romani mutuarono l’usanza di organizzare corse dei carri dagli Etruschi, che a loro volta le organizzavano prendendo ispirazione dai Greci. Le abitudini romane furono comunque molto influenzate dai Greci in modo diretto, soprattutto dopo che, nel 146 a.C., venne conquistata l’intera penisola ellenica.
Questa antichissima usanza trova riferimenti in ambito romano fin dai tempi di Romolo. Il primo Re di Roma secondo la leggenda, istituì una corsa di carri per distrarre i Sabini, mentre i romani, approfittando dei giochi, rapirono le loro donne passando alla storia come l’episodio del “Ratto delle Sabine”.

Nella Roma antica, il luogo per antonomasia dove avvenivano queste competizioni era il Circo Massimo, situato nella valle tra il Palatino e l’Aventino, era in grado di ospitare fino a 250.000 spettatori. La prima struttura venne probabilmente costruita in epoca etrusca, per poi essere interamente ricostruito nel 50 a.C. per volere di Giulio Cesare, il circo raggiungeva così dimensioni considerevoli: una lunghezza di circa 600 metri per un’ampiezza di circa 225 metri.
Per organizzare le partenze dei carri i Romani si ispiravano ai greci e come loro, si servivano di una serie di barriere posizionate a scalare, chiamate “carceres”, con alcune differenze però, i romani infatti posizionavano una linea mediana di separazione nella pista, la famosa spina centrale.
Le “carceres” erano sistemate in uno dei vertici del percorso e i carri si posizionavano dietro a queste barriere fissate con un sistema a scatto. Quando tutti i carri erano pronti, l’imperatore, o l’organizzatore delle corse se queste non si svolgevano a Roma, lasciava cadere un panno, conosciuto con il nome di mappa dando così il via alla corsa. Le barriere allora si aprivano contemporaneamente consentendo una partenza alla pari per tutti i contendenti.
Una volta partita la corsa, i carri avevano ogni libertà di movimento o di traiettoria per la pista nel tentativo di provocare un incidente ai propri avversari spingendoli contro la barriera che separava la pista. Sulle spine centrali si trovavano le cosiddette “uova”, grossi segnali simili ai “delfini” che venivano usati nelle corse greche, che venivano fatti cadere in una canaletta di acqua che scorreva al centro della spina per segnalare il numero di giri che mancavano alla conclusione. La spina, nel tempo, finì per diventare una costruzione molto elaborata decorata con statue, obelischi ed altre opere d’arte a tal punto che gli spettatori spesso non riuscivano a seguire i carri quando si trovavano dal lato opposto, circostanza molto spesso gradita al pubblico che vedeva aumentare l’adrenalina per vedere chi sarebbe stato il primo auriga a spuntare dalla curva. Ai due capi della spina si trovavano le due curve del percorso , chiamate “metae” e in quel punto, come nelle corse greche, avvenivano le più spettacolari collisioni ed i più grossi incidenti. Le collisioni tra i carri ne provocavano la distruzione con gravi infortuni a cavalli ed aurighi.
In ogni giornata potevano tenersi dozzine di corse, e le manifestazioni si dilungavano talvolta per centinaia di giorni consecutivamente. Una singola gara però si svolgeva sulla distanza di soli 7 giri (e in epoca più tarda di 5, per poter svolgere un maggior numero di corse nello stesso giorno).
I carri in gara potevano essere trainati da quattro cavalli (quadrigae) o da due cavalli (bigae), ma le corse tra quelli a quattro cavalli erano decisamente più importanti. in alcuni rari casi, quando un auriga voleva dimostrare la propria abilità, poteva usare fino a dieci cavalli, ma questo costituiva un esercizio che univa una grande difficoltà ad una scarsa utilità effettiva. Gli aurighi romani, diversamente da quelli greci, indossavano un caschetto ed altre protezioni per il corpo e si legavano le redini attorno alla vita, al contrario dei greci che le reggevano in mano. A causa di questo particolare, i romani non potevano lasciare le redini in caso di incidente, così molto spesso finivano per essere trascinati dai cavalli attorno alla pista finché non rimanevano uccisi o riuscivano a liberarsi: per questo motivo portavano con sé un coltello per cercare di liberarsi da simili situazioni. La più famosa e migliore ricostruzione di una corsa di carri romana, nonostante non sia storicamente accurata sotto vari aspetti, si può ammirare nel film del 1959 Ben-Hur, con Charlton Heston.

le competizioni all'interno del Circo Massimo.
le competizioni all’interno del Circo Massimo.

Nella maggior parte dei casi gli aurighi erano schiavi che se avessero dimostrato particolari abilità vincendo molte corse, avrebbero potuto guadagnare forti somme di denaro, tanto da potersi comprare la libertà. Un auriga vittorioso poteva diventare famoso in tutto l’Impero, uno dei più noti risulta essere un tale Scorpo, che in carriera vinse oltre duemila corse, prima di morire in un incidente di gara all’età di 27 anni. Naturalmente l’aspettativa di vita di un auriga o di un cavallo regolarmente impegnato era molto bassa.

Famosa era di Nerone la sua smisurata passione per le corse dei carri, si può dire che a tratti non si occupasse di altro. Partecipò addirittura come auriga alla corsa dei Giochi Olimpici che si disputavano anche in epoca romana, vincendola. Proprio sotto il suo regno cominciarono a svilupparsi le fazioni più importanti. Le quattro principali erano quelle dei Rossi, degli Azzurri, dei Verdi e dei Bianchi. Queste fazioni esistevano già da prima dell’epoca di Nerone, e probabilmente si trattava di gruppi di amici e patrocinatori dei diversi allevamenti di cavalli da corsa. Nerone le sovvenzionò in modo tale che finirono per crescere a tal punto che si sottrassero al suo controllo. Ogni squadra poteva schierare fino a tre carri per ogni gara. I componenti della stessa squadra potevano aiutarsi tra loro contro le squadre avversarie, come ad esempio spingendoli a sfracellarsi contro la spina centrale, una tattica di gara perfettamente legale ed anzi spesso incoraggiata. Gli aurighi potevano passare da una squadra all’altra, proprio come al giorno d’oggi avviene per gli atleti professionisti.
Lo storico Tertulliano scrive all’inizio del III secolo e ci spiega che a quell’epoca i Rossi erano devoti a Marte, i Bianchi a Zefiro, i Verdi alla Madre Terra o alla primavera e gli Azzurri al cielo e al mare o all’autunno. L’Imperatore Domiziano creò due nuove fazioni, i Porpora e gli Oro, che però ebbero vita breve scomparendo poco dopo di lui.

Mosaico con auriga vittorioso.
Mosaico con auriga vittorioso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.