La rivolta di Ampsicora

La rivolta di Ampsicora costituisce da sempre la principale sommossa organizzata dalle popolazioni sarde, ai danni di Roma. Una volta conquistata il sud della penisola italica, e della Sicilia, l’attenzione di Roma si spostò sulla Sardegna, in mano cartaginese. Conquistare l’isola si rivelò però un impresa tutt’altro che semplice, il popolo sardo infatti per ben otto volte affrontò gli eserciti mandati da Roma, la più rinomata fu appunto la rivolta di Ampsicora, un vero leader che riuscì ad unire tutte le popolazioni sarde sotto un’unico vessillo per combattere il nemico.

La rivolta di Ampsicora, resti della città di Cornus
La rivolta di Ampsicora, resti della città di Cornus

LA RIVOLTA DI AMPSICORA, LA LOTTA PER LA SARDEGNA:

La Sardegna, abitata fin da tempi remoti, molto prima ancora dell’evoluta civiltà nuragica, venne conquistata dalla soverchiante potenza di Cartagine, in quegli anni regina incontrastata di tutto il bacino del mediterraneo. Dell’isola però i punici, riuscirono a conquistare solo le zone costiere e parte della pianura del Campidano, luoghi dove ormai era diffusa la cultura sardo-fenicia, dovuta alla lunga e pacifica convivenza fra i due popoli in tutti i secoli precedenti. Nelle zone interne però la questione era ben diversa, gli abitanti erano infatti organizzati in gruppi tribali, fra i quali spiccavano gli Iliensi e i Balari che vivevano di agricoltura e pastorizia, mantenendo intatte la cultura e le tradizioni originarie dell’isola. In questo contesto assume ancora più risalto ciò che Ampsicora riuscì a fare, unire queste due realtà presenti sull’isola e ormai così distanti fra loro, in funzione anti-romana fu un impresa titanica che rappresenta bene il grande carisma di cui era dotato. Nel 215 a.C., si era nel pieno della seconda guerra punica, e la Sardegna costituiva un ruolo fondamentale, non solo per la sua posizione strategica, ma anche e soprattutto per le grandi pianure in grado di produrre grandi quantità di cereali da spedire a Roma, cosa che per altro già faceva Cartagine. 

LA RIVOLTA DI AMPSICORA, ascesa e rivolta:

In questo clima di sottomissione verso nuovi padroni, si elevò la figura di Ampsicora, un latifondista, abitante della città di Cornus, posta nei pressi della costa ovest dell’isola, primo fra i suoi concittadini per ricchezza e per autorità. Ampsicora ha un solo ed ambizioso obiettivo: cacciare i romani asserragliati nel centro di Calares (odierna Cagliari), ma è altresi consapevole che da solo ha le mani legate, per compiere il suo piano era necessario che tutte le genti di Sardegna si unissero per combattere contro i nuovi invasori. Fortuna volle che sull’isola ci fosse un certo Annone, un consigliere della città punica, che offrì l’aiuto di Cartagine, anch’essa ormai già in guerra da decenni con Roma. Annone partì subito per l’Africa in cerca di rinforzi, mentre Ampsicora si recò nelle zone centrali dell’isola per reclutare il suo esercito, in particolare fra la tribù degli Iliensi, gente rozza, ma molto forte e coraggiosa, e soprattutto disposta a tutto pur di difendere la loro terra. Nel frattempo a Calares, il pretore Quinto Muzio Scevola, accortosi di una possibile rivolta, mandò urgentemente messaggi al Senato, nei quali si faceva riferimento ai pochi uomini che aveva a disposizione, e dell’impossibilità quindi di mantenere l’ordine, ma scrive anche di una sua malattia che non gli permette di agire. Il Senato rispose in tempi brevissimi, e per dare man forte al pretore, mandò sull’isola il propretore, Tito Manlio Torquato, a capo di una legione di 22.000 uomini e 1.200 cavalieri. Nello stesso tempo anche da Cartagine partivano i rinforzi promessi da Annone, certamente più interessati a riconquistare la Sardegna piuttosto che per dare man forte ad Ampsicora, su 60 navi da guerra, capitanate da Asdrubale e dal fratello, Magone, si imbarcarono 12.000 fanti, 1.500 cavalieri e ben 20 elefanti da guerra. Il fato volle che una violenta tempesta, fece arrivare i punici alle Baleari, anzichè al porto designato di Tharros, ragion per cui ritardarono di molto il loro arrivo. Così mentre i cartaginesi erano in navigazione, e Ampsicora reclutava uomini nelle zone interne, nella città di Cornus restava Josto, il figlio del leader della rivolta sarda, che aveva il compito di attendere i rinforzi dall’Africa prima di ricongiungersi col padre. Tuttavia, a causa della sua giovane età e della sua eccessiva voglia di attaccare il nemico, cedette di fronte alle provocazioni dei più esperti uomini di Tito Manlio Torquato, il quale ottenne una prima vittoria sul campo, per poi tornare precipitosamente nei suoi accampamenti per paura che Asdrubale potesse sbarcargli alle spalle. A Calares vennero inglobati nell’esercito terrestre anche i marinai della flotta romana, era la prima volta che accadeva una cosa simile. In tutto questo Asdrubale riuscì a sbarcare a Tharros, unendosi con l’esercito di Ampsicora e formando un’unica armata che marciava compatta verso le legioni romane.

La rivolta di Ampsicora
La rivolta di Ampsicora

LA RIVOLTA DI AMPSICORA, battaglia a decimomannu:

Nei pressi di Decimomannu avvenne lo scontro campale, che dopo circa quattro ore si risolse in favore dei romani, vista la ferocia nemica, i cartaginesi si ritirarono per evitare perdite più gravi, lasciando l’incombenza ad Ampsicora e ai suoi uomini, i quali, nonostante la loro durezza, dovettero soccombere, ritirandosi anch’essi verso le montagne dalle quali erano scesi, portando con se anche il loro comandante. Nella notte, venuto a conoscenza del fatto che il figlio, Josto, era caduto in combattimento, Ampsicora si sentì perduto e si tolse la vita. Le fonti romane non forniscono dati sulle perdite degli uomini di Tito Manlio, viceversa ci offrono numeri dettagliati sui caduti nemici, i quali, secondo Tito Livio, sarebbero ammontati a circa 27.000 fra Sardi e Punici, con l’aggiunta di 3.700 fatti prigionieri, fra i quali gli stessi generali cartaginesi, Asdrubale e Magone. Come la tradizione romana vuole, i prigionieri più importanti sfilarono durante il trionfo per le vie di Roma, tutti gli altri vennero venduti come schiavi, ma la punizione romana nei confronti della Sardegna doveva ancora compiersi. A tutte le città sarde che avevano partecipato alla guerra, vennero imposti pesantissimi tributi in grano e denaro, andando così ad impoverire un’isola ormai fiaccata di fronte ai nuovi conquistatori, che al contrario erano agli inzi della loro immortale parabola.

Il fiero popolo sardo era comunque tutt’altro che rassegnato e nei decenni seguenti, Roma dovette impegnarsi altre volte per sventare diverse rivolte, come ad esempio nel 178 a.C., quando il pretore Ebuzio si trovò a combattere contro un esercito formato ancora una volta dagli Iliensi, senza tuttavia riuscire a sottometterli completamente, solo nel 111 a.C., il proconsole, Cecilio Metello dichiarò la fine dell’oppressione delle rivolte sull’isola, annettendola a tutti gli effetti ai domini della Repubblica. In ogni modo la conquista romana della Sardegna non fu molto diversa da quella punica dei decenni precedenti, rimanendo di fatto divisa in due parti: quella costiera,  completamente romanizzata, che i romani chiamavano, Romània, e quella più interna, che sempre i romani chiamavano Barbària, dove le già citate tribù degli Iliensi e dei Balari, mai completamente sottomesse, rifiutavano le nuove leggi e i nuovi costumi importati sull’isola, preferendo portare avanti le loro millenarie tradizioni.

Credits to:

https://bardiromaantica.it/rivolta-amsicora-roma-sardegna/

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