La schiavitù nell’antica Roma

il fenomeno della schiavitù nell’antica Roma si può riscontrare in ognuna delle fasi storiche che compongono la millenaria vicenda della capitale italiana, e crebbe sempre più per importanza economica e sociale mano a mano che la Repubblica prima, e l’Impero poi, ampliarono i propri confini rendendo molto spesso in schiavitù i popoli sottomessi. La schiavitù nell’antica Roma conobbe il suo declino solo nel tardo Impero, con il termine delle guerre di conquista, la concessione della cittadinanza romana a numerosi popoli barbari e l’ascesa al potere da parte di Imperatori non italici. La condizione di schiavo era quanto di più infamante potesse esistere all’epoca e molti soldati romani piuttosto che essere fatti prigionieri per poi diventare schiavi di popolazioni barbare preferivano togliersi la vita.

La schiavitù nell'antica Roma
La schiavitù nell’antica Roma

La schiavitù nell’antica Roma, la vita degli schiavi:

Considerati ne più ne meno come degli oggetti, gli schiavi, dopo essere stati venduti al mercato, erano a completa disposizione del padrone che li aveva acquistati che non di rado li marchiava a fuoco per dimostrarne la proprietà. Essi non avevano dignità giuridica, non potevano possedere beni e neppure avere una famiglia, e se anche fossero nati dei figli (naturalmente solo con il consenso del padrone) sarebbero anch’essi stati di proprietà del Dominus. Gli schiavi eseguivano qualsiasi tipo di attività lavorativa dell’epoca, dal falegname, al muratore, al giardiniere all’agricoltore, all’allevatore di animali, non era però inusuale che alcuni schiavi provenienti da ambienti culturali privilegiati e colti, fossero utilizzati come insegnanti di lingue, in particolare il greco. A testimonianza di ciò sappiamo che molti schiavi erano presenti anche nelle professioni più specializzate come ad esempio l’architettura, la recitazione, o addirittura in certi casi, la filosofia e la poesia.   Tra le mansioni di medio livello vi era la cura estetica ed il benessere fisico della persona. Vi erano perciò addetti al bagno,  massaggiatori, prostitute, truccatrici, guardarobieri con il compito di aiutare ad indossare la toga. Gli schiavi venivano poi utilizzati anche come maggiordomi, essi infatti ricevevano gli invitati, raccoglievano la toga ed i calzari, preparavano il bagno caldo, insaponavano, risciacquavano ed asciugavano i padroni, e spesso lavavano loro i piedi. I più graziosi e gentili, erano meglio abbigliati, servivano il vino, tagliavano le vivande, porgevano i vassoi, mentre quelli incaricati di raccogliere, pulire i piatti e gettare o riciclare la spazzatura erano peggio vestiti. Spesso nelle famiglie più ricche ad ogni invitato si aggiudicava uno schiavo “servus ad pedes”, che rimaneva per tutto il tempo seduto ai piedi del triclinio. Esistevano comunque anche mansioni di bassissimo livello come ad esempio pulire le fogne, occuparsi dei rifiuti oppure il lavoro nelle miniere, il che più delle volte corrispondeva ad un’autentica condanna a morte. Ritenuti non affidabili non venivano utilizzati in battaglia.

Le pene o punizioni nei confronti degli schiavi erano molto diffuse, da quella più semplice del trasferimento in una famiglia rustica a quella del lavoro forzato in miniera, alle cave, alla macine, al circo, sino alla crocifissione. Molto in uso era il ricorso alla fustigazione, alla rasatura della testa, fino alla tortura vera e propria: l’ustione mediante lamine di metallo incandescenti, la frattura violenta degli stinchi, la mutilazione. Agli schiavi fuggitivi, bugiardi o ladri si scrivevano in fronte, col marchio infuocato, rispettivamente le lettere FUG (fugitivus), KAL (kalumniator) o FUR (fur=ladro). Tuttavia chi fuggiva e riusciva a non farsi catturare cessava automaticamente di essere schiavo, per una consuetudine passata nel diritto. Per gli schiavi ribelli, e sediziosi vi era la crocifissione; molti, però, finivano anche in pasto alle belve feroci del circo, bruciati vivi o venduti alle scuole gladiatorie, dove nella maggior parte dei casi la morte sopraggiungeva rapida.

La schiavitù nell'antica Roma
La schiavitù nell’antica Roma

La schiavitù nell’antica Roma, cause della schiavitù:

Vi erano diverse modalità per essere schiavi o per divenire tale, vediamone alcune:

-Nascita da una madre a sua volta schiava in una domus.

– Perdita della propria condizione di libero: (figlio venduto dal padre in virtù della sua condizione di “pater familias”, cittadino non romano prigioniero di guerra, cittadino romano o straniero catturato dai pirati e incapace di pagare il proprio riscatto, e incapace di dimostrare la propria identità.

– Individui condannati a pena giudiziaria comportante la perdita definitiva della libertà personale.

-Debiti, molti cittadini romani  divenivano proprietà del creditore in seguito alle leggi ferree che nell’età repubblicana tutelavano questi ultimi.

 

La schiavitù nell’antica Roma, condizione degli schiavi:

Nel II-I sec. a.C., periodo di grande espansionismo romano, agli schiavi non era concesso nessun diritto, neppure quelli che a noi oggi possono sembrare i più scontati, tanto più che un “dominus” era liberissimo di uccidere uno schiavo per puro capriccio rimanendo nel pieno rispetto della legge. Nell’82 a.C., la Lex Cornelia rappresentò un primo passo verso il cambiamento, in questa legge si stabiliva che un proprietario non poteva togliere la vita ad uno schiavo senza un motivo ben giustificato. Nel 32 a.C. la Lex Petronia rimosse l’obbligo  dello schiavo di combattere nel circo se richiestogli dal proprietario. Va detto comunque che l’uccisione degli schiavi non era una pratica molto usuale dato che  erano un bene molto costoso e capace di generare rendite. Tuttavia, in caso di grandi rivolte, come le guerre servili che funestarono l’età repubblicana, i romani non esitavano a punirli con crocifissioni di massa lungo le vie consolari, come monito per gli altri schiavi.

Con l’avvento dell’Impero la condizione degli schiavi migliorò decisamente, l’Imperatore Claudio ad esempio  stabilì che se un padrone non dava cure ad uno schiavo malato e questi veniva ricoverato da altri presso il tempio di  Esculapio, in caso di guarigione diventava libero, se invece lo schiavo moriva il padrone poteva essere incriminato. Il filosofo Seneca esortava nei suoi scritti a non maltrattare gli schiavi, l’Imperatore Domiziano vietò la castrazione, Adriano vietò la vendita di schiave ai lupanari, e ancora Marco Aurelio garantì il diritto di asilo ai fuggitivi che trovavano riparo presso le statue dell’Imperatore. Nel tardo Impero  la quantità di schiavi venduti cominciò a declinare progressivamente per la conclusione delle grandi guerre di conquista che avevano caratterizzato l’età repubblicana e i primi due secoli dell’Impero. Inoltre le persone cominciarono a servirsi di ogni risorsa legale o sociale per non essere fatte schiave. Con l’avvento della religione cristiana, non si registrò mai una chiara condanna della schiavitù da parte della chiesa (anche perchè nel 217 d.C. divenne pontefice il liberto Callisto). Tuttavia, nonostante non sia mai stato proclamato un editto imperiale che abolisse la schiavitù, grazie alla decadenza del paganesimo, alla protezione giuridica dello schiavo da parte della chiesa, le condizioni di questi ultimi cominciarono a migliorare e la schiavitù si estinse progressivamente.

 

2 Risposte a “La schiavitù nell’antica Roma”

  1. La mia domanda che cerco una risposta è dove sono finiti quei schiavi neri e come mai in Europa non ci sono sopravvissuti loro generazioni?

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