La seconda guerra punica

La seconda guerra punica  fu il secondo grande conflitto che vide fronteggiarsi romani e cartaginesi per 16 lunghi anni, dal 218 al 202 a.C.. Il conflitto iniziò per volere dei cartaginesi che dopo aver perso il primo conflitto, intendevano recuperare il terreno perduto e la loro potenza militare, inoltrandosi in un secondo scontro, valutato da molti storici come il più vasto di tutta l’antichità, per i suoi costi economici e per il numero delle popolazioni coinvolte.

La seconda guerra punica
La seconda guerra punica

LA SECONDA GUERRA PUNICA, ANTEFATTI:

Mentre Roma era sempre più impegnata ad estendere e consolidare i suoi confini, a Cartagine, che nel frattempo era in netta ripresa economica, le discussioni fra le fazioni interne erano molto accese, e in particolar modo fra i dirigenti dell’ala più pacifista, e che non avevano nessuna intenzione di mettere a repentaglio le loro proprietà per addentrarsi nei meandri di un nuovo e dispendioso conflitto, e il partito più espansionista che mirava senza mezzi termini a riportare Cartagine ai fasti di un tempo. Al termine di svariate diatribe interne, prevalse il partito più ambizioso, e in pochi anni Cartagine si ritrovò come vero punto di riferimento per almeno la metà della penisola iberica, terra ricca di risorse minerarie, ma soprattutto luogo dove poter arruolare mercenari in grande quantità. Nel 221 a.C., il comando del rinnovato esercito punico passò sotto la guida di Annibale, il grande generale cartaginese che si rivelò negli anni seguenti, il più grande nemico di Roma. Egli, non solo passò la storia per essere uno dei più grandi condottieri dell’antichità, ma anche per essere animato da un odio feroce verso i romani, cosa che lo convinse al fatto che una nuova guerra era inevitabile, e che quel periodo storico in particolare era l’unico che poteva favorire Cartagine, per lui quindi un’occasione irripetibile di successo da non lasciarsi sfuggire.

LA SECONDA GUERRA PUNICA, I PIANI DI ANNIBALE:

Il condottiero punico trasse le sue conclusioni e programmò i suoi piani in base ad alcuni presupposti politici, che a conti fatti lo portarono davvero ad un’inezia dal completo successo, Annibale riteneva infatti, non a torto, che le varie popolazioni italiche sottomesse a Roma come Galli, Etruschi, Greci, e Sanniti, a patto di restituirgli la loro antica autonomia, avrebbero salutato Cartagine come loro liberatrice, disfando in un sol colpo la Lega Italica, tessuta da Roma con grande pazienza, e riportando le etnie sottomesse alla loro indipendenza. Nei piani di Annibale era prevista una guerra lampo, sfruttando le doti del suo non numeroso ma preparatissimo esercito, portando la guerra sul suolo italico, esattamente come Roma aveva portato la guerra alle porte di Cartagine solo pochi anni prima. Di conseguenza la presenza di un esercito punico vittorioso in Italia, avrebbe certamente convinto tutte le popolazioni italiche a sollevarsi dall’egemonia romana per affiancarsi e combattere insieme il nemico comune. Con queste premesse Annibale attuò una serie di provocazioni per costringere i romani allo scoperto e a dichiarare guerra. I patti sottoscritti anni prima fra Roma e Cartagine prevedevano che in Spagna, tutti i territori a sud del fiume Ebro fossero sotto l’influenza punica, ma nel 219 a.C., i cartaginesi decisero di assediare la cittadina di Sagunto, alleata di Roma, dopo di che, una volta espugnata, ne  trucidarono in massa i cittadini. L’affronto era servito e Roma, come previsto da Annibale, non poteva rimanere inerme di fronte ad un torto simile, ragion per cui la guerra fu dichiarata e  il console Scipione venne inviato in Spagna con lo scopo di fermare le azioni cartaginesi.

La seconda guerra punica, Annibale varca le Alpi
La seconda guerra punica, Annibale varca le Alpi

LA SECONDA GUERRA PUNICA, SVOLGIMENTO DEI FATTI:

Senza attendere altro tempo, Annibale partì via terra con il suo esercito in direzione dei Pirenei, bruciando sul tempo il console Scipione, che al suo arrivo in Spagna mancò il contatto con il suo avversario. La marcia di Annibale rimarrà nella storia per essere riuscito a condurre le sue truppe fino alla pianura padana, varcando gli ostili passi alpini che provocarono grandi perdite, compresi svariati elefanti che facevano parte della sua armata. Al termine di questa marcia l’esausta armata cartaginese poteva comunque contare su circa 20.000 fanti, 6.000 cavalieri e una dozzina di elefanti da guerra. Una volta recuperate le forze Annibale inferse dure sconfitte all’esercito romano, sul fiume Ticino prima e sul Trebbia in un secondo momento. Non solo, una volta varcati anche gli Appennini, i cartaginesi assestarono un altro durissimo colpo ai romani all’altezza del Lago Trasimeno. Nell’occasione i 25.000 uomini agli ordini del console Flaminio, totalmente all’oscuro del fatto che il nemico fosse molto più vicino di quanto loro potessero pensare, vennero sorpresi nelle prime ore del mattino di un nebbioso giorno, durante un normale trasferimento. Fu una vera ecatombe e se le due precedenti sconfitte, comunque ancora abbastanza lontane da Roma, potevano essere ridimensionate dalla propaganda, quest’ultima, avvenuta a soli pochi giorni di marcia di distanza, scatenò scene di panico e momenti di vero terrore in tutta la capitale. Come in tutti i periodi di difficoltà nella storia di Roma, la prima reazione si tramutò nella proclamazione di un “Dictator”, che venne individuato nella persona di Quinto Fabio Massimo, un vecchio esponente dell’aristocrazia terriera, che passerà la storia con il soprannome di “Cunctator”. La tattica di Quinto Fabio Massimo era molto semplice, evitare uno scontro armato in campo aperto, facendo tesoro delle sconfitte precedenti, attuando allo stesso tempo una tattica di guerriglia, poco avvezza ai romani, ma più efficace nello specifico. Il suo modo di condurre la guerra gli attirò svariate critiche che lo accusavano di inettitudine e codardia, ma alla lunga i fatti gli avrebbero dato ragione.

CANNE:

Le tattiche di Quinto Fabio Massimo, impedirono il vettovagliamento alle truppe nemiche, assicurandosi allo stesso tempo che le stesse non riuscissero ad addentrarsi nella valle del Tevere. Annibale infastidito dalle mosse romane ripiegò verso la Puglia dove stabilì i suoi quartieri invernali. Nel frattempo a Roma l’evolversi della situazione convinse il Senato che era giunto il momento di affrontare faccia a faccia Annibale, ritenendo che le tattiche di Massimo l’avessero sufficientemente indebolito e messo in qualche modo all’angolo. Venne a tal proposito reclutato un vastissimo esercito agli ordini dei due consoli, Paolo Emilio e Terenzio Varrone. Il dualismo che si venne a creare fra i due consoli, fu certamente la prima causa della disfatta romana, i due infatti non trovando un accordo, stabilirono che il comando assoluto toccasse a ciascuno di essi a giorni alterni, e se Paolo Emilio fosse certamente più accorto e più incline a seguire le vincenti tattiche di Massimo, il più interventista e impulsivo Varrone riteneva inopportuno rinviare una vittoria secondo lui praticamente scontata. Il console attese quindi il momento più propizio, ma soprattutto un giorno dove toccasse solo a lui il comando delle operazioni. Fu in una pianura di fronte al villaggio di Canne, non distante dall’odierna Barletta, che i due eserciti si scontrarono, e la battaglia si rivelò  un autentico disastro per i romani che vennero sopraffatti dalle tattiche del generale punico, lasciando sul campo ben 70.000 legionari, compreso il console Paolo Emilio, mentre Varrone riuscì a fuggire con pochi superstiti.

La seconda guerra punica, battaglia di Canne
La seconda guerra punica, battaglia di Canne

 ANNIBALE NON SFRUTTA LA VITTORIA DI CANNE:

Per prima cosa Annibale liberò senza riscatto tutti i prigionieri italici nella speranza  di ingraziarsi le popolazioni interessate, e in un primo momento sembrò che i suoi piani andassero nella giusta direzione. Sanniti e Lucani si ribellarono e addirittura la città di Capua, la seconda in Italia per ricchezza e importanza, aprì le sue porte ai cartaginesi.

A Roma, ancora sconvolta per l’immane tragedia di Canne, si cercava lentamente di fare la conta dei danni, ma nessuno aveva intenzione di chiedere una tregua o un compromesso, anzi, cresceva sempre più un sentimento di vendetta che portò il Senato ad intraprendere ogni misura per riorganizzarsi e tentare una controffensiva. Le cose tuttavia sembrarono precipitare quando ad Annibale si affiancarono anche la città di Siracusa e Filippo V, Re di Macedonia. In aiuto a Roma venne però inconsapevolmente lo stesso Annibale, il generale punico infatti, anzichè sfruttare il vantaggio che si era venuto a creare per assediare Roma, preferì tergiversare, insicuro sul da farsi. In questo tempo Roma ebbe così il tempo per riorganizzarsi e per riattivare le trame politiche che la portarono ad allearsi con le principali città greche, nemiche dei macedoni, impedendo così a Filippo V di sbarcare in Italia. Di pari passo ogni uomo che potesse reggere un’arma venne arruolato, e in poco tempo un esercito venne diviso in due parti, di cui una venne inviata verso Siracusa, mentre l’altra teneva sotto controllo le mosse di Annibale. L’arma vincente fu però la solidità della Lega Italica, Latini ed Etruschi, insieme ad altre popolazioni del centro Italia, rimasero fedeli a Roma, al contrario di quello che pensava Annibale, più che altro per la mancanza di fiducia che avrebbe ispirato un nuovo conquistatore straniero, ritenendo più opportuno continuare ad avere a che fare con qualcuno che già si conosceva e con il quale già esistevano da tempo solidi accordi.

LA SECONDA GUERRA PUNICA, EPILOGO:

Annibale così passò da assediante ad assediato, i piani che si era prefissato iniziarono a prendere una piega imprevista, aggravati anche dal fatto che da Cartagine arrivavano sempre meno aiuti, in Africa infatti i continui scontri fra le fazioni interne, vedevano ora prevalere l’ala più pacifista guidata da Annone. Negli anni successivi infatti, Siracusa cadde nuovamente in mano romana, nel 212 a.C., nonostante la resistenza alimentata dalle  invenzioni di Archimede. Anche Capua venne posta sotto assedio, e una volta espugnata, venne dai romani fortemente punita, così da causare terrore in quanti progettavano di ribellarsi. La svolta decisiva si ebbe in Spagna, vero serbatoio per i rifornimenti punici,  nel 210 a.C., quando il giovane Publio Cornelio Scipione conquistò la capitale Carthago Nova, facendo così prendere il sopravvento ai romani in quella regione. Pochi anni dopo, nel 207 a.C., il fratello minore di Annibale, Asdrubale riuscì a penetrare in Italia tentando un ricongiungimento degli eserciti punici, fortunantamente per Roma, l’esercito condotto da Marco Livio Salinatore impedì tali progetti, sconfiggendo il nuovo esercito invasore nelle Marche, presso il fiume Metauro, uno scontro nel quale lo stesso Asdrubale trovò la morte. La fase finale del conflitto si ebbe quando Publio Cornelio Scipione avanzò l’ambiziosa proposta di riportare la guerra in Africa, costringendo Annibale ad abbandonare il suolo italico per correre in aiuto della madre patria. Il progetto venne inizialmente accolto con diffidenza dal Senato, che alla fine però si convinse autorizzando Scipione ad arruolare un esercito di volontari, in gran parte italici, con il quale sbarcò in Africa ed iniziò le operazioni belliche.

Con l’aiuto del Re dei Numidi, Massinissa, Scipione trovò una supremazia anche sulla cavalleria punica, un’arma che fino a quel momento era sempre risultata determinante per i successi di Annibale. Messa così alle strette, Cartagine si vide costretta a richiamare Annibale in patria, da dove mancava ormai da 15 anni. Nel 202 a.C., sulla piana di Zama, Scipione e Annibale si affrontarono in campo aperto, dopo che pochi giorni prima, si erano incontrati personalmente per evitare la battaglia e trovare un compromesso. Nonostante i ripetuti sforzi il generale cartaginese dovette alzare bandiera bianca nei confronti di Scipione che si rivelò molto scaltro ad attuare sul campo di battaglia le stesse tattiche che tanto successo avevano portato ai punici sul suolo italico. A Cartagine non restava che chiedere la pace e accettare le durissime richieste romane, che consistevano nel rinunciare a qualsiasi possedimento al di fuori dell’Africa, la consegna dell’intera flotta e pagare una fortissima indennità di guerra. Scipione inoltre rifiutò molto cavallerescamente di chiedere la consegna di Annibale,  una volta rientrato a Roma celebrò un sontuoso trionfo, e per la sua vittoria venne soprannominato “Africano”.

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