Le Scalae Gemoniae

Le Scalae Gemoniae, erano una scalinata che garantiva l’accesso al Campidoglio, direttamente dal Foro Romano, e probabilmente coincidenti con i “Gradus Monetae” che, come una gradinata esistente ancora oggi, passavano fra il Carcere Mamertino e il tempio della Concordia. Le Scalae Gemoniae hanno da sempre una fama piuttosto lugubre, sopra quei gradini infatti venivano esposti i corpi di quanti avevano subito la pena capitale, prima di essere gettati nel fiume Tevere.

Le Scalae Gemoniae
Le Scalae Gemoniae

le scalae gemoniae, storia:

Storicamente sul Campidoglio vi era la famosa Rupe Tarpea, resa celebre da un episodio dei primi anni della città, dove la vestale Tarpea, tradisce la sua gente per avidità, o secondo altri, per amore, permettendo ai Sabini di entrare in città per vendicare l’onta del rapimento da parte dei romani, delle loro donne. Secondo la leggenda, Tarpea dopo aver aperto i cancelli, venne uccisa dai Sabini sotto il peso delle Armille d’oro che tanto desiderava, ma secondo altri venne giustiziata per tradimento dagli stessi suoi concittadini. Quale sia la versione giusta, probabilmente non lo sapremo mai, ma di certo da quel momento in poi, chiunque avesse meritato la pena di morte, sarebbe stato gettato da quella rupe che  prese il nome della sfortunata protagonista. Proprio poco distanti dalla Rupe Tarpea, nel cuore della Capitale, vi erano le scalae gemoniae, conosciute anche con il nome di “scale del lutto”, altro luogo nel quale, almeno in età imperiale, venivano giustiziati i condannati a morte. Quasi sicuramente questa gradinata venne costruita in età augustea, anche perchè nessuna fonte precedente le riporta, ma fu l’imperatore Tiberio che per primo utilizzò questa scalinata per i condannati a morte. Dopo l’esecuzione, le salme venivano solitamente lasciate ai piedi di queste scale per diverso tempo, in totale balìa del ludibrio del popolo e degli animali, e solo dopo qualche tempo, già in avanzato stato di decomposizione (con tutto ciò che ne comportava), i poveri resti venivano gettati nel Tevere.

Era evidentemente un trattamento davvero poco rispettoso e disonorevole, che però non venne risparmiato anche a personaggi di altissimo rango, come per esempio, ad Elio Seiano, prefetto del pretorio e vero e propio imperatore ombra, quando Tiberio scelse di allontanarsi nella sua villa di Capri. L’imperatore, seppur lontano da Roma, e temendo le trame del suo subalterno, ormai diventato un personaggio potentissimo, ne ordinò l’arresto immediato, ma fu il Senato a decretarne la fine con la conseguente damnatio memoriae. Seiano fu strangolato e gettato giù dalle scalae gemoniae, e il suo corpo lasciato alle ingiurie e alle violenze del popolo, che non esitò ad infierire sulle sue spoglie, ma a rendere ancora più drammatica la vicenda, fu il fatto che anche ai suoi figli venne riservato il medesimo trattamento, compresa la giovane Iunilla, che per legge non poteva essere giustiziata perchè ancora vergine, l’intervento di un centurione però risolse in modo spiccio la questione. Anche alla morte di Tiberio, avvenuta nel 37 d.C., pare che il popolo pretendesse di infierire sul suo cadavere, cosa che fortunatamente non ottenne, anche se all’imperatore vennero concesse modeste onoranze funebri, fra gli insulti dei cittadini.  Con la morte di Tiberio, questo modo di utilizzo delle scalae gemoniae, venne notevolmente ridotto, ciò nonostante, un ventennio più tardi, una triste sorte toccò all’imperatore Vitellio.

Nel 69 d.C., anno passato alla storia come “anno dei quattro imperatori”, Vitellio, dopo soli otto mesi di regno, accettò di arrendersi alle armate di Vespasiano. Vitellio non si distinse certo per le sue qualità, e accettò suo malgrado il titolo di sovrano, un ruolo che avrebbe volentieri abbandonato alle prime avvisaglie di rivolta. In effetti pianificò la sua fuga verso Terracina, ma una volta partito fece il tragico errore di tornare a palazzo, convinto che la sua resa fosse stata accettata. Una volta capito lo sbaglio, pensò che l’unica soluzione fosse quella di riempirsi la pancia e ubriacarsi a più non posso, e proprio in queste condizioni lo trovò un tribuno di Vespasiano che senza perdere tempo lo trascinò in strada di peso. Li venne condotto lungo la via Sacra, legato per il collo, con un pugnale puntato al volto, dove venne fatto oggetto di tutte le ingiurie possibili e immaginabili, per poi essere giustiziato sulle scalae gemoniae, proprio come ci racconta Svetonio:

Le Scalae Gemoniae, Vitellio viene finito ai piedi della scalinata
Le Scalae Gemoniae, Vitellio viene finito ai piedi della scalinata

“C’era chi gli gettava sterco e fango e chi gli gridava incendiario e crapulone. La plebaglia gli rinfacciava anche i difetti fisici: e in realtà aveva una statura spropositata, una faccia rubizza da avvinazzato, il ventre obeso, una gamba malconcia per via di una botta che si era presa una volta nell’urto con la quadriga guidata da Caligola, mentre lui gli faceva da aiutante. Fu finito presso le Gemonie, dopo esser stato scarnificato da mille piccoli tagli; e da lì con un uncino fu trascinato nel Tevere.”

Dopo questo episodio delle scalae gemoniae non si sente quasi più parlare, anche perchè, a partire dal regno di Domiziano, i condannati avevano per così dire “il privilegio” di scegliere come passare a miglior vita, ma soprattutto venne finalmente proibito l’odioso villipendio delle salme. Le scalae gemoniae, tornarono ancora una volta alla ribalta nel 106 d.C., sotto il regno di Traiano, quando ad essere gettata da quei gradini, fu la testa del Re dei Daci, Decebalo, che una volta sconfitto, scelse di togliersi la vita piuttosto che essere fatto prigioniero. La sua testa prima venne portata in trionfo dall’imperatore di ritorno a Roma e poi gettata in segno di spregio dalle scale del lutto.

Credits to:

https://www.vanillamagazine.it/le-scalae-gemoniae-i-gradini-della-morte-nella-roma-imperiale/

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