Arminio il traditore dell’Impero

Nel 9 d.C., Arminio, il traditore dell’Impero mise in atto il suo piano meticolosamente organizzato con altre tribù germaniche, riuscendo nello scopo di annientare completamente le tre legioni romane guidate dal governatore Publio Quintilio Varo, all’interno dell’inospitale foresta di Teutoburgo. Arminio, fu un principe e condottiero della popolazione dei Germani Cherusci, non che un ex prefetto di una coorte di ausiliari appartenenti alla sua tribù, dell’esercito romano. Il suo nome è giunto fino a noi in forma latinizzata, ma originariamente è probabile che derivasse dal germanico Irmin (grande), anche il più recente Hermann, (guerriero),  a lui associato, risale alla riforma protestante di Martin Lutero che intendeva trasformarlo in un simbolo di lotta delle popolazioni germaniche contro l’espansionismo romano.

Arminio, il traditore dell'Impero
Arminio, il traditore dell’Impero

ARMINIO IL TRADITORE DELL’IMPERO NELL’ESERCITO DI ROMA:

Nato nel 18 a.C., e figlio del capo Cherusco, Sigimero, Arminio viene descritto come un combattente valoroso, rapido nel prendere decisioni e molto ingegnoso, non che dotato di un profondo sentimento anti-romano, prese in sposa Tusnelda, figlia di Segeste, da cui ebbe un figlio di nome Tumelico. Arminio aveva anche un  fratello di nome Flavus, che al suo contrario militò sempre con fedeltà sotto le insegne romane. Come era prassi in quei tempi, Arminio e il fratello Flavo vennero dati in ostaggio ai romani come simbolo di obbedienza, il che permetteva  a Roma di cautelarsi anche da future rivolte, dopo di che, servendo sotto l’esercito, con grande abilità scalò rapidamente le gerarchie fino a diventare cavaliere, trasformando il suo nome nel latino Gaio Giulio Arminio. Nel 5 d.C., servì l’esercito romano in Germania sotto la guida di Tiberio, dopo di che venne trasferito insieme al suo reparto di cavalleria in Pannonia, intrevenendo durante la rivolta dalmato pannonica. Ottenuta la cittadinanza nel 7 o nell’8 d.C., tornò nuovamente in Germania, dove i romani nel frattempo, avevano conquistato tutti i territori fra il Reno e il fiume Elba,  posti sotto il diretto controllo del nuovo governatore, Publio Quintilio Varo.  Fu proprio in quel periodo che approfittando della grande fiducia di cui godeva, Arminio iniziò segretamente a complottare con le altre tribù germaniche, allo scopo di compattarle in funzione anti-romana, così mentre di nascosto tramava, dall’altro lato, manteneva il suo ruolo all’interno dell’esercito romano, ottenendo la completa fiducia di Varo, che ignorò completamente le voci che comunque giravano su di un possibile tradimento del cherusco, promuovendolo addirittura come suo consigliere militare. Nel 9 d.C., Arminio fece scattare la sua trappola, guidando le legioni di Varo attraverso le inospitali foreste di Teutoburgo, non solo, simulando una rivolta, convinse il governatore romano a compiere un’ulteriore deviazione, dove il terreno paludoso rese ancor più complicata la marcia. Al momento opportuno Arminio, si girò contro quegli uomini che fino a pochi istanti prima, erano suoi commilitoni, guidando l’attacco delle tribù germaniche, che nell’arco di tre drammatici giorni, sterminarono circa 20.000 uomini. I legionari romani vennero talmente colti di sorpresa che non furono in grado di organizzarsi, viceversa i germani che conoscevano benissimo quelle foreste avevano completa libertà di movimento, bersagliando senza sosta il malcapitato nemico. Il risultato fu che circa 20.000 romani persero la vita, compreso Quintilio Varo che piuttosto di cadere in mano nemica, si suicidò.

ARMINIO IL TRADITORE DELL’IMPERO, contro Germanico:

Pochi anni dopo quella terribile disfatta, le forze imperiali, sotto la guida del giovane e amatissimo dal popolo, Germanico, penetrarono a fondo nei territori nemici infliggendo una severa sconfitta ad Arminio e alle tribù coalizzate sotto il suo comando. Poco prima delle due decisive battaglie sul fiume Visurgi (oggi Weser), si tenne un curioso incontro fra Arminio e il fratello Flavo, che militava ancora sotto le insegne romane. Vediamo come Tacito ci racconta l’episodio:

Arminio, il traditore dell'Impero, l'incontro fra Arminio e il fratello Flavo
Arminio, il traditore dell’Impero, l’incontro fra Arminio e il fratello Flavo

«Tra i Romani e i Cherusci scorreva il fiume Visurgi. Arminio con gli altri capi si fermò su la riva e domandò se Cesare era giunto. Gli fu risposto che era già lì; allora pregò che gli fosse consentito un colloquio con il fratello. Questi, di nome Flavio, militava nel nostro esercito ed era noto per la sua lealtà. Pochi anni prima, mentre combatteva agli ordini di Tiberio, per una ferita aveva perduto un occhio. Ricevuta l’autorizzazione, si fa avanti e Arminio lo saluta; poi fa allontanare la scorta e chiede che vadano via anche gli arcieri, schierati lungo la riva. Non appena se ne furono andati, Arminio domanda al fratello come mai ha uno sfregio sul volto. Questi allora gli riferisce il luogo e la battaglia dove è avvenuto e Arminio gli chiede quale compenso abbia ricevuto; Flavio gli comunica l’aumento di stipendio, il bracciale, la corona e le altre decorazioni militari ottenute; e Arminio schernisce la grama mercede avuta per essere schiavo. A questo punto si mettono ad altercare uno contro l’altro: uno esalta la grandezza di Roma, la potenza dell’imperatore, le gravi pene inflitte ai vinti, la clemenza accordata agli arresi; e gli assicura che sua moglie e suo figlio non sono trattati da nemici. L’altro ricorda la santità della patria, la libertà avita, gli dèi tutelari della Germania e la madre, che si unisce alle sue preghiere; e lo ammonisce a non disertare, a non tradire i suoi. Poco a poco scesero alle ingiurie e poco mancò che si azzuffassero e neppure il fiume che scorreva tra loro avrebbe costituito un ostacolo, se non fosse accorso Stertinio a calmare Flavio, il quale, infuriato, chiedeva armi e un cavallo. Sull’altra riva si scorgeva Arminio che in atteggiamento minaccioso ci sfidava a battaglia; nel suo parlare frammischiava parecchi vocaboli in latino, poiché aveva militato negli accampamenti romani come comandante dei suoi connazionali.»

Da li a poco si svolsero le due battaglie sul fiume Weser, anche se molti affermano che ci fu un solo scontro, diviso in due fasi diverse, fatto sta che Arminio venne pesantemente battuto da Germanico, ma proprio quando vide persa ogni speranza, riuscì a fuggire con pochi seguaci. La sua fortuna fu che Germanico poco dopo venne richiamato in patria dal’imperatore Tiberio in persona, evitando così ai romani nuovi pericoli, ma dando la possibilità ad Arminio di continuare la guerra. Germanico ebbe a Roma il suo trionfo, durante il quale si racconta che sfilarono come prigionieri di guerra sia la moglie di Arminio, Tusnelda, che il figlio, Tumelico.

ARMINIO IL TRADITORE DELL’IMPERO, la fine:

Dopo il ritiro dei romani, la coalizione messa in piedi da Arminio si sfaldò rapidamente, scoppiò infatti un aspro conflitto fra il capo cherusco e Maroboduo, Re dei Marcomanni, già federati con Roma e stanziati nell’odierna Boemia. I due eserciti si scontrarono in una battaglia campale che al termine arrise ad Arminio. Maroboduo fuggì a Ravenna chiedendo asilo politico all’imperatore Tiberio. La fine per Arminio era ormai prossima il suo crescente potere iniziò ad essere talmente temuto da molti dei suoi sudditi, che di li a poco si passò dalle parole ai fatti, nel 19 d.C., una congiura mise fine alla vita del grande generale dei Cherusci.

Ancora Tacito ci descrive quei giorni:

«Apprendo dagli storici e dai senatori contemporanei agli eventi che in Senato fu letta una lettera di Adgandestrio, capo dei Catti, con la quale prometteva la morte di Arminio se gli fosse stato inviato un veleno adatto all’assassinio. Gli fu risposto che il popolo romano si vendicava dei suoi nemici non con la frode o con trame occulte, ma apertamente e con le armi […] del resto Arminio, aspirando al regno mentre i Romani si stavano ritirando a seguito della cacciata di Maroboduo, ebbe a suo sfavore l’amore per la libertà del suo popolo, e assalito con le armi mentre combatteva con esito incerto, cadde tradito dai suoi collaboratori. Indubbiamente fu il liberatore della Germania, uno che ingaggiò guerra non al popolo romano ai suoi inizi, come altri re e comandanti, ma ad un impero nel suo massimo splendore. Ebbe fortuna alterna in battaglia, ma non fu vinto in guerra. Visse trentasette anni e per dodici fu potente. Anche ora è cantato nelle saghe dei barbari, ignorato nelle storie dei Greci che ammirano solo le proprie imprese, da noi Romani non è celebrato ancora come si dovrebbe, noi che mentre esaltiamo l’antichità non badiamo ai fatti recenti.»

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