Battaglia di Filippi

La battaglia di Filippi vide contrapporsi le legioni cesariane guidate dai due triumviri, Ottaviano e Marco Antonio, a quelle cosiddette repubblicane guidate dai principali cospiratori e assassini di Giulio Cesare, Bruto e Cassio. La battaglia si svolse non lontano dal mare, nei pressi dell’antica città macedone di Filippi nell’ottobre del 42 a.C., lungo l’importantissima via Egnatia alle pendici del monte Pangeo. Lo scontro si divise in due fasi ben distinte, la prima, il 3 ottobre, quando Bruto con le sue legioni ebbe la meglio su quelle guidate da Ottaviano, irrompendo e saccheggiandone anche il suo campo, cosa che fece simultaneamente anche Marco Antonio sull’altro lato dello schieramento occupando l’accampamento del generale Cassio. Cassio, sconvolto dalla sua sconfitta e non informato dal successo di Bruto decise di suicidarsi. La seconda fase della battaglia si ebbe il 23 di ottobre, ben venti giorni dopo i primi eventi bellici, in questa circostanza la grande energia di Marco Antonio ebbe la meglio in uno scontro che vide le legioni avversarie combattere con un accanimento difficilmente riscontrabile nella storia. Dopo la sconfitta anche Bruto seguì l’esempio di Cassio suicidandosi.

Battaglia di Filippi
Battaglia di Filippi

Battaglia di Filippi, preludio:

Gli assassini di Cesare, e in particolare i due principali cospiratori, Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, a causa delle loro indecisioni che lasciavano trasparire la vera mancanza di un chiaro progetto politico dopo la morte di Cesare, ma anche della forte azione del console superstite, Marco Antonio, non riuscirono a far presa sulla popolazione, e dopo molti altri ripensamenti, nell’autunno del 44 a.C., i due decisero di lasciare l’Italia alla volta dell’oriente. Bruto dopo aver raccolto ad Atene alcuni simpatizzanti si spostò in Macedonia, allora governata da Marco Ortensio, un suo parente che disponeva di due legioni. Nel marzo del 43 a.C., Bruto ruppe gli indugi e decise di prendere l’iniziativa contro la fazione cesariana in Grecia, per prima cosa si impadronì di tutto il denaro che i questori di Asia e Siria stavano trasportando a Roma, per poi organizzare una sollevazione generale delle forze repubblicane presenti nella regione. I due questori stessi, Marco Appuleio e Gaio Antistio Vetere, aderirono alla causa, seguiti da una intera legione e da un reparto di cavalleria. Giunto a Tessalonica, Bruto ricevette il sostegno anche di Marco Ortensio che si contrapponeva a Gaio Antonio, fratello di Marco, ed eletto dal console stesso nuovo governatore della regione. Qui Bruto reclutò una ulteriore legione fra i veterani di Pompeo Magno, ancora stanziati in Tessaglia. Il nuovo governatore di Macedonia, Gaio Antonio, si trovò presto in difficoltà in quanto privato di forze armate, dopo le defezioni in favore di Bruto, e del comportamento passivo del governatore dell’Illiria, Vatinio, che non mosse un dito per aiutarlo. L’indolenza di Vatinio ebbe conseguenze anche per lui in quanto due delle sue tre legioni passarono a Bruto che ora poteva dirigersi verso Durazzo dall’appena sbarcato Gaio Antonio e assediarlo ad Apollonia.

Mentre Bruto otteneva questi rilevanti risultati, Cassio in Asia ne ebbe di ancor più clamorosi. Gaio Cassio si era recato nella provincia d’Asia tempo prima del proconsole designato, Dolabella, un personaggio controverso che tentando di ottenere risultati dalla sua carriera politica, appoggiava ora uno e ora l’altro a seconda della sua convenienza. Cassio ricevette subito l’aiuto del governatore uscente, Gaio Trebonio, anch’egli fra i congiurati contro Cesare, dopo di che si diresse ad Apamea dove sei legioni cesariane ancora assediavano il pompeiano Quinto Cecilio Basso. All’arrivo di Cassio, le legioni cesariane defezionarono in suo favore, cosa che fece anche la legione di Basso asserragliata ad Apamea. la posizione di Cassio si rafforzò ulteriormente, quando Aulo Allieno condusse a lui dall’Egitto altre quattro legioni, probabilmente sottratte con un inganno a Cleopatra che le aveva originariamente promesse a Dolabella. L’imponente esercito di Cassio ora poteva controllare indisturbato tutte le province orientali.  Cornelio Dolabella tuttavia, seppur con le modeste forze rimaste a diposizione, tentò un contrattacco che ebbe l’immediato risultato di catturare e mettere a morte il cesaricida, Gaio Trebonio, le soverchianti forze messe in campo da Cassio però presero presto il sopravvento a Laodicea, dove Dolabella, ormai irrimediabilmente assediato e senza una via di fuga, decise di togliersi la vita.

Battaglia di Filippi, organizzazione dei Triumviri:

Nel frattempo a Roma, i protagonisti della scena politica, Marco Antonio, Ottaviano e Marco Emilio Lepido, una volta risolti i contrasti col Senato, che vedeva di cattivo occhio il loro strapotere, e una volta costituito il famoso “Secondo Triumvirato”, poterono volgere i loro obiettivi verso un oriente ormai smarcato dall’autorità di Roma. Venne così stabilito che Lepido rimanesse a Roma per evitare possibili colpi di mano, mentre Ottaviano e Antonio si sarebbero diretti nel nord della Grecia alla guida delle loro 28 legioni. La traversata dalla Puglia all’Epiro fu tranquilla e senza incidenti, dopo di che si decise di mandare in avanscoperta otto legioni lungo la via Egnatia, alla guida di Gaio Norbano e Decidio Saxa, per vedere dove si nascondesse il grosso dell’esercito nemico. I problemi per le legioni dei triumviri aumentarono mano a mano che si addentravano nell’entroterra, gli eventuali rifornimenti che sarebbero potuti arrivare dall’Italia, venivano ora sistematicamente bloccati dalla flotta di Domizio Enobarbo, trisavolo del futuro Imperatore Nerone, che aveva sposato la causa dei cesaricidi. Non solo, Ottaviano si ammalò di una malattia non ben definita che lo afflisse per tutto il periodo dello scontro, costringendolo ad un ruolo marginale. La tattica dei cesaricidi era chiara, non accettare lo scontro in campo aperto, ma lasciare che il nemico si logorasse lentamente in una posizione ben più sfavorevole rispetto alla loro, che godeva di continui rifornimenti di uomini e vettovaglie dal vicino porto di Tessalonica. Approfittando di forze superiori per numero, Bruto e Cassio costrinsero le legioni in avanscoperta a ripiegare, occupando un terreno ben difeso da un lato da impervie paludi e dall’altro da aspre colline.

Battaglia di Filippi, Marco Giunio Bruto
Battaglia di Filippi, Marco Giunio Bruto

Battaglia di Filippi, le fasi della battaglia:

Lo scontro che si andava preannunciando sarebbe stato uno dei più grandi della storia, non solo per l’importanza ma anche per i numeri in campo. Nel corso della storia sono tante le cifre snocciolate dagli studiosi, ma molto verosimilmente possiamo affermare che si stavano per affrontare due eserciti composti da circa 100.000 unità ciascuno, uno scontro titanico e fratricida. Marco Antonio schierò più volte i suoi uomini fuori dall’accampamento per provocare la battaglia, ma Bruto e Cassio rimasero sulle loro posizioni preferendo non cedere alle provocazioni, se non che, dopo dieci giorni di lavori, nascosti dai canneti delle paludi vicine dove i legionari di Antonio costruirono una massicciata che consentiva di superare le paludi stesse, le legioni cesariane tentarono di aggirare il fronte nemico. Era il 3 ottobre del 42 a.C., quando Marco Antonio decise di dividere in due gruppi la sua cavalleria, il primo reparto avrebbe dovuto varcare la massicciata costruita in 10 giorni per prendere alle spalle la fanteria, mentre l’altro gruppo si sarebbe dovuto lanciare sull’accampamento dello stesso Cassio. Il piano ebbe il successo sperato e Cassio venne sonoramente sconfitto. Lo stesso successo lo ebbe però anche Bruto, sull’altro lato dello schieramento, la veemenza delle legioni del cesaricida ebbero presto la meglio su quelle comandate da Ottaviano che vennero sbaragliate ma non inseguite, il bottino del campo di Ottaviano attirò maggiormente i soldati di Bruto che una volta entrati nella tenda del futuro Imperatore, crivellarono di colpi la sua portantina, nella speranza di averlo sorpreso. Ottaviano però non era presente, come ci racconta lui stesso  nel suo “Res Gestae Divi Augusti”, era stato messo in guardia qualche notte prima da un infausto sogno premonitore, ma più semplicemente come scrive Plinio, vista la mal parata si era nascosto nel fitto della palude. La battaglia sembrava finita con circa 9.000 morti tra le fila di Cassio e di ben 18.000 fra morti e feriti da parte di Ottaviano. Tuttavia Cassio fuggito su un’altura vicina, non riuscì a scorgere Bruto, così, credendolo morto o in fuga, per mano dell’amico Pindaro decise di suicidarsi. Quando Bruto scoprì l’accaduto pianse amaramente, forse perchè in cuor suo sapeva che le sue speranze di vittoria si affievolirono notevolmente con la morte di quel forte generale da lui definito “l’ultimo dei romani”.

Battaglia di Filippi, il secondo scontro:

A differenza di Cassio, Bruto non era molto rispettato dai suoi soldati in quanto visto più come un filosofo che come un soldato, e nonostante i militari bramassero un nuovo scontro che mettesse fine alla battaglia, Bruto decise ancora una volta di attendere il logoramento degli avversari che nel frattempo erano stati colpiti da una grave carestia a causa dei mancati rifornimenti. Nonostante l’opera di convincimento messa in opera da Bruto, sulla bontà della sua decisione, gli ufficiali temevano che la lunga attesa potesse sfociare in diserzione, e così avvenne. Era il 23 ottobre del 42 a.C., stanchi di aspettare uno scontro che desideravano ardentemente, alcuni alleati  e mercenari iniziarono ad abbandonare il campo, così Bruto si vide alle strette e fu costretto a dare l’ordine di attaccare. lo scontro che ne scaturì fu uno dei più cruenti della storia, i due eserciti non persero neppure tempo per usare gli arcieri o i frombolieri per sfoltire le fila nemiche, ma si lanciarono gli uni contro gli altri in un corpo a corpo violentissimo, le perdite furono altissime da entrambi gli schieramenti, e quando i corpi senza vita erano d’intralcio venivano sommariamente spostati per far posto a forze più fresche portate dai centurioni che tentavano di rioccupare gli spazi che si andavano a creare. Durante la battaglia il centro dello schieramento di Bruto si assottigliò andando a creare un piccolo varco nel quale Marco Antonio, senza esiatazione, vi lanciò la cavalleria, fu la mossa decisiva, la spinta dei cavalieri spezzò lo schieramento, spingendo il fronte centrale a ridosso di quello di sinistra, la confusione generale che ne scaturì vide i soldati di Bruto praticamente impegnati su tutti i lati e la rotta fu inevitabile, le truppe di Ottaviano raggiunsero il campo nemico, prima che Bruto vi si potesse asserragliare, costringendo quindi quest’ultimo ad una fuga precipitosa sulle colline circostanti, dove, con poche forze rimaste a lui fedeli, si suicidò.

Dopo la battaglia, al ritrovamento del corpo di Bruto, Marco Antonio si racconta che lo coprì con un manto color porpora in segno di rispetto, tempo indietro erano comunque stati amici e Bruto stesso accettò di cospirare contro Cesare a patto che Antonio non venisse toccato. Molti altri aristocratici persero la vita in questa battaglia e molti altri ancora trattarono la resa con i vincitori, quello che rimaneva del grande esercito dei cesaricidi venne inglobato in quello dei triumviri, Antonio rimase a Filippi per qualche tempo fondandovi una nuova colonia, mentre Ottaviano fece ritorno in Italia per cercare nuove terre da donare ai soldati in congedo (in particolare da espropriare nel mantovano e nel cremonese, in quanto luoghi che avrebbero favorito i cesaricidi, uno di questi appartenuto al famoso poeta Virgilio).

Si ringrazia per le foto:

http://storieromane.altervista.org/filippi-il-tramonto-della-repubblica/

https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Filippi

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