Geta l’Imperatore cancellato

Geta, il cui nome completo era Publio Settimio Geta, nacque a Roma il 7 marzo del 189 d.C., e morì sempre nella capitale il 26 di dicembre del 211 d.C., ad opera del fratello Caracalla. Geta era figlio dell’Imperatore Settimio Severo e di Giulia Domna e fu co-Imperatore romano dal 209 al 211 d.C., prima associato al padre e poi in seguito al fratello maggiore Caracalla.

GETA, L’IMPERATORE CANCELLATO, CONTESTO STORICO:

Publio Settimio Geta fu il figlio più giovane avuto da Giulia Domna e da Settimio Severo quando quest’ultimo era ancora un semplice governatore provinciale al servizio dell’Imperatore Commodo. A dispetto del fratello maggiore Caracalla, Geta fu sempre posto in secondo piano, e forse proprio per questo motivo la rivalità fra i due fu sempre molto accesa fin dai tempi dell’infanzia, tant’è che in molte circostanze questi costanti conflitti richiedevano l’intervento deciso della madre. Il giovane Geta, di spirito indubbiamente più sensibile e raffinato del fratello Caracalla, amava le opere letterarie degli antichi, ed era a sua volta profondamente amato dalla madre, che aveva una predilezione per la sua fragilità; si dice che avesse una voce melodiosa e suadente, anche se talvolta frenata dalla balbuzie. Adorava vestirsi con eleganza e ricercatezza, manifestando modi cordiali: per questo fu benvoluto dal popolo, dal Senato e dall’esercito, che si fece promotore della richiesta a Settimio Severo di associare al trono anche Geta, dopo che ciò era stato fatto col fratello più grande.

Nel 198 d.C., in realtà Settimio Severo  promosse Geta al rango di “Cesare” esacerbando ancora di più l’animo truce del fratello maggiore. Più volte da giovane uomo , Geta amava prendere le difese di tutti quei cittadini che per un motivo o per un altro erano finiti nel mirino dello Stato come persone non gradite o pericolose, e proprio in una di queste circostanze pare che iniziò a rimproverare duramente il fratello maggiore, più incline ad eliminare i suoi avversari politici, tanto da fargli esclamare: “Tu che non perdoni niente a nessuno, saresti  persino capace di uccidere tuo fratello”, una frase tristemente profetica. Durante la campagna contro i Britanni nel III secolo d.C., promossa dallo stesso Imperatore Settimio Severo, nelle cronache ufficiali, la propaganda imperiale mostrava una famiglia felice che per affrontare la situazione si divideva equamente  compiti e responsabilità. Caracalla vice comandante dell’esercito, Giulia Domna come consigliere di fiducia e a Geta l’onere dei compiti amministrativi e burocratici, ma la realtà dei fatti era molto distante da quella dipinta dalla propaganda, e l’antipatia e la forte rivalità che divideva i due fratelli si faceva sempre più accesa e pericolosa.

Alla morte di Settimio Severo, avvenuta a York il 4 di febbraio del 211 d.C., Caracalla e Geta vennero proclamati insieme Imperatori, facendo ritorno a Roma, ma il loro governo congiunto si rivelò ben presto un autentico disastro. Alcune fonti dell’epoca rivelano la possibile intenzione dei due rivali di dividere l’Impero a metà, ma verso la fine del 211 d.C., la situazione finì per diventare del tutto insostenibile. Il 26 dicembre di quell’anno l’odio che ormai divampava fra i due fratelli trovò l’epilogo, quando un gruppo di centurioni, al soldo di Caracalla tesero l’agguato decisivo a Geta, trafiggendolo quando quest’ultimo si trovava fra le braccia della madre in cerca di riparo. Geta venne poi sepolto sul Settizonio, un complesso monumentale fatto costruire proprio dal padre Settimio Severo, dopo di che Giulia Mesia, zia di Geta e Caracalla, trasferì il corpo all’interno del Mausoleo di Adriano. Anche lungo la via Appia esiste un monumento funebre chiamato tomba di Geta, che per anni venne confuso come sepolcro dello sfortunato e giovane sovrano.

Geta, l'Imperatore cancellato
Geta, l’Imperatore cancellato

GETA, L’IMPERATORE CANCELLATO, LA DAMNATIO MEMORIAE:

Non pago di averlo fatto trucidare, Caracalla continuò nella sua bieca opera, infangando anche la memoria del fratello, ordinando che il suo nome fosse rimosso da qualsiasi iscrizione, dopo di che come unico reggente dell’Impero ebbe campo libero per sbarazzarsi di tutti gli avversari politici e di coloro che sostenevano il defunto fratello. In uno dei periodi di maggior successo sul piano economico e militare per l’Impero romano, ne iniziò contemporanemente uno dei più bui, si calcola che circa 20.000 persone vennero uccise con le liste di proscrizione di Caracalla, fra i quali figurava anche il giurista Emilio Papiniano, condannato per essersi rifiutato di comporre un’apologia del fratricidio da poco avvenuto. Caracalla decise così di eliminare scientificamente ogni iscrizione e qualsiasi altra cosa che provasse che suo fratello fosse vissuto, attuando una procedura riservata solo a coloro che avevano macchiato l’onore di Roma con le loro azioni. Gli esempi della Damnatio Memoriae riservata a Geta sono ancora oggi visibili sull’arco di Settimio Severo lungo il complesso dei Fori Imperiali a Roma, dove il nome di Geta venne in seguito sostituito con le parole: “optimis fortissimisque principibus”,  oppure sull’arco dei Severi a Leptis Magna, dove la figura di Geta appare abrasa e irriconoscibile. Anche nel celebre tondo severiano che ritrae la famiglia al completo, il volto di Geta è cancellato e reso indistinguibile. La distruzione della memoria di Geta venne eseguita in modo capillare e metodico, forse come mai avvenne nella storia di Roma, rendendo molto difficile reperire prove per ricostruire la sua breve vita, o anche solo trovarne tracce.

GETA, L’IMPERATORE CANCELLATO, HYSTORIA AUGUSTA:

“Dopo la morte del padre (Caracalla) si recò nel castro pretorio, e si lamentò con i soldati che il fratello gli tendeva insidie: così lo fece uccidere nel Palazzo, ordinando che il suo cadavere venisse subito cremato. Parlando ai soldati, ebbe inoltre a dire che il fratello aveva tentato di avvelenarlo, e che si era mostrato irrispettoso verso la madre; e ringraziò pubblicamente quelli che lo avevano ucciso, aumentando persino loro lo stipendio, come soldati che avevano mostrato maggior fedeltà nei suoi confronti. Una parte dei soldati, che stazionavano ad Alba, accolse la notizia dell’uccisione di Geta con grande disappunto: tutti quanti dicevano di aver promesso fedeltà ai due figli di Severo e che dovevano quindi serbarla ad entrambi; chiuse dunque le porte dell’accampamento, per lungo tempo non lasciarono entrare l’imperatore, finché questi riuscì a calmare gli animi, non solo ripetendo le lamentele e le accuse nei confronti di Geta, ma soprattutto placando i soldati, come è d’uso, mediante la distribuzione di enormi somme di denaro; ritornò quindi a Roma. Entrò allora nella curia indossando una corazza sotto l’abito senatorio e facendosi accompagnare da una guardia di soldati armati, che dispose in duplice fila in mezzo ai sedili: e così tenne il suo discorso. Si lagnò delle insidie che il fratello gli avrebbe teso, con lo scopo evidente di accusare quello e giustificare se stesso, parlando peraltro in modo involuto e disordinato. Ma un discorso del genere, in cui egli affermava che non aveva negato mai nulla a suo fratello, e addirittura lo aveva più volte salvato da gravi pericoli, mentre quello, anziché ricambiare il suo affetto fraterno, aveva tramato contro di lui un complotto mortale, non fu certo accolto con favore dal senato.”

(Historia Augusta, Caracalla, 2, 4-11)

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