La criminalità nella Roma antica

La criminalità nella Roma antica rappresentò nel corso di tutta la storia dell’Urbe un problema molto grave e praticamente privo di soluzioni valide, ciò era dovuto in gran parte alle dimensioni della città, che già in epoca imperiale contava di una popolazione superiore al milione di unità.

la criminalità nella Roma antica
la criminalità nella Roma antica

Già lo scrittore e poeta romano, Marziale, scriveva ironicamente che solo un pazzo poteva uscire di casa quando calava il buio, senza prima aver fatto testamento. Circolavano per Roma le ronde notturne, formate da squadroni di cavalleria composti da 300 uomini, ma la vastità delle zone da perlustrare era tale che risultava molto raro incontrarle, viceversa erano molto rapide ad accorrere qual’ora ce ne fosse bisogno. Anche i vigiles, incaricati principalmente di spegenere gli incendi, potevano svolgere il ruolo di sorveglianti, catturando i malintenzionati. Tuttavia, come detto, erano ben poca cosa rispetto all’immenso problema che affliggeva la città e solo i vagabondi senza dimora si azzardavano ad addentrarsi negli stretti vicoli bui di Roma. Le strade di notte erano quindi terreno fertilissimo per ladri e criminali che in molti casi erano liberi di operare senza troppi rischi di essere scoperti, se possibile, nelle altre grandi città dell’Impero la situazione era anche più insostenibilie visto che i reparti di sicurezza sopra citati erano praticamente assenti. Naturalmente vi erano casi in cui alcune persone erano costrette per vari motivi ad uscire di casa in ore serali, esempio ne erano i vari banchetti ai quali personaggi benestanti erano regolarmente invitati, costringendoli perciò a circondarsi di schiavi armati durante gli spostamenti notturni.

La criminalità nella Roma antica si poteva però manifestare in tanti modi diversi, e in alcuni casi era molto più subdola. L’obiettivo prediletto di questa criminalità più nascosta erano le coppie benestanti senza figli. L’ignara coppia veniva  infatti invitata  ai banchetti e riempita di lusinghe e doni molto preziosi per guadagnarsene la fiducia, da sedicenti personaggi a caccia della loro eredità, che in diversi casi ottenevano dopo avere avvelenato le proprie vittime, assicurandosi somme davvero elevate. Viceversa sono noti anche episodi dove le vittime, venute a conoscenza dei sotterfugi, siano riuscite ad approfittare dei doni e dei favori a loro fatti, oppure fingendosi malati  minacciando di cambiare il testamento qual’ora non avessero ottenuto quanto era da loro desiderato. La malavita quindi abbondava e si celava ovunque, anche se sembra accertato che non fossero presenti, ne a Roma, ne sul suolo italico, strutture criminali organizzate o gerarchizzate, sullo stile mafioso, anche se pare che alcuni malfattori siano riusciti a formare una sorta di corporazione alla Verna, vicino ad Arezzo, luogo poi sacro a San Francesco un millennio più tardi. Ai tempi di Augusto la criminalità era a livelli altissimi e molti portavano un’arma con se per potersi difendere, ma al termine della guerra civile, Ottaviano emanò la “Lex Iulia” che vietava il possesso illecito di armi. Venire sorpresi con un’arma senza giustificazione diventava da quel momento in poi un grave reato, e il risultato di questo drastico calo di armi fu quello di continuare ad avere risse quotidiane che con l’uso delle sole mani o al massimo di qualche bastone, provocavano meno morti per le strade o comunque meno danni per chi subiva l’aggressione.

La criminalità nella Roma antica si radicava nel mondo rurale, esportando nelle città le azioni delle principali organizzazioni criminali, come i banditi, i pirati o i briganti che attaccavano le principali vie, o porti d’accesso, andando ad incidere in modo pesante sull’aumento dei prezzi e sul costo dei beni. Non è comunque mai definita la presenza di un gruppo specifico di criminali radicato su un determinato territorio, eccettuati infatti i fenomeni di ribellione, che non miravano alla rapina in se  ma avevano finalità politiche, tramandando un quadro di una criminalità su piccola scala, fondata su bande che controllavano piccoli territori impervi, o di confine, senza che fossero radicate e inserite nel tessuto sociale o urbano di quella regione. Discorso diverso invece per quanto riguardava le orde barbariche che imperversavano nel tardo impero, esse non venivano considerate bande criminali organizzate, ma avevano molti punti in comune con esse, agendo spesso con violenza e con intimidazioni, rispettando codici e leggi proprie.

LA CRIMINALITA’ NELLA ROMA ANTICA, IL BRIGANTAGGIO:

I furti e la criminalità erano per Roma un grande problema, ma nulla a confronto delle scorribande di pirati e briganti che mettevano a rischio le rotte commericiali e i viaggiatori che si spostavano fuori città senza alcuna protezione. Il brigantaggio si fondava sull’azione di vere bande armate che potevano assalire chiunque, dal gruppo di viaggiatori solitari, ai pastori ai semplici contadini. Il termine “Brigante” deriva dalla Dea celtica, Brigantia, dea della morte e della guerra a cui si rivolgevano soldati, ma anche rivoltosi e ribelli, ma soprattutto si rivolsero a lei i Britanni contro la dominazione romana. Proprio tra chi si opponeva a Roma in Britannia si costituirono le tribù dei Briganti, che si rivelarono nel tempo una vera e propria spina nel fianco con le loro fulminee azioni di guerriglia, depredando e saccheggiando tutto quanto era possibile, non potendo naturalmente competere sul campo di battaglia. Tuttavia quello del brigantaggio era una piaga già presente da molto tempo, e ancora ai tempi della Repubblica sono ricordati episodi violenti in risposta alle ingiustizie dello Stato, come ad esempio a Taranto nel 185 a.C., quando un gruppo di ribelli, per lo più formato da pastori e contadini si sollevò per protestare contro il rialzo delle tasse. Anche successivamente Lucio Cornelio Silla attuò durissimi provvedimenti contro i birganti, che potevano essere chiamati anche “Latrones” o “sicarii”, con la “Lex Cornelia de sicarii” dell’81 a.C., che prevedeva la pena capitale per i colpevoli mediante la crocefissione o l’esposizione alle belve. Alcuni criminali lasciarono il segno delle loro imprese vediamone alcuni:

la criminalità nella Roma antica
la criminalità nella Roma antica
LA CRIMINALITA’ NELLA ROMA ANTICA, SELEURO E COROCOTTA:

La storia ci ricorda la figura di Seleuro, chiamato figlio dell’Etna, un allevatore che si mise a capo di una banda armata che per diverso tempo razziò tutta l’area etnea. Una volta catturato, Seleuro venne portato a Roma con la scusa di farlo assistere ad un combattimento fra gladiatori, ma una volta giunto sul posto venne sistemato sopra di un palco che rappresentava l’Etna sotto il quale erano posizionate alcune gabbie contenenti diverse belve feroci, all’improvviso il palco si aprì facendovi precipitare il malcapitato Seleuro che finì sbranato.

Plinio il Vecchio ci tramanda le imprese di Corocotta, in Cantabria, nel nord della Spagna, in un periodo nel quale Ottaviano Augusto per avere ragione di quel popolo, fu costretto ad intervenire in prima persona, utilizzando le legioni meglio preparate. Al termine della battaglia decisiva, nel 26 a.C., tutti i cantabri prigionieri vennero giustiziati, e le loro teste furono esposte in cima ad alti pali, così da essere ben notate e che fossero da monito a coloro che fossero intenzionati a ribellarsi nuovamente. In questo contesto si innesta quella che con molta probabilità è la leggenda di Corocotta. Il ribelle, saputo che Augusto aveva posto una taglia sulla sua testa, si presentò personalmente davanti al futuro Imperatore per reclamare il suo compenso, ammirato da tanto coraggio, non solo Augusto gli consegnò quanto accordato ma addirittura lo dispensò da tutti i reati passati, ma come detto è probabilmente solo una storia puramente inventata.

LA CRIMINALITA’ NELLA ROMA ANTICA, LA STORIA DI BULLA FELIX:

Bulla Felix fu un brigante romano che operò lungo la via Appia dal 205 al 207 d.C., durante il principato di Settimio Severo. L’origine del suo nome deriva probabilmente da fittizie qualità come capo bandito. La Bulla era un amuleto che portavano al collo i bambini fino al compimento del sedicesimo anno di età, venendo poi conservata nel tempo ed esposta in particolari occasioni per allontanare influenze negative come ad esempio l’invidia di altri uomini. Felix era invece un titolo adottato dai generali romani che era sinonimo di fortuna e di procurata felicità per se stesso e per coloro i quali erano nelle sue vicinanze.

Bulla Felix, secondo le tradizioni era a capo di uno squadrone di circa 600 uomini, composto per lo più da fuggiaschi e da liberti che avevano perso il loro status a causa della recente guerra civile che vide emergere il principato di Settimio Severo. Tra gli appartenenti a questa banda vi erano poi coloro che avevano perso i loro terreni a causa delle confische ed ex pretoriani scartati dall’epurazione di Severo, per il cui reparto non veniva più privilegiata la gioventù italica, lasciando così molti elementi liberi di concedersi al mestiere delle armi. Bulla Felix, di probabile origine ligure, venne istruito da un sacerdote che lo spinse allo studio della filosofia e del diritto romano, diritto romano che Bulla ridicolizzò per la sua imprendibilità e impunità. Bulla Felix divenne noto anche per la sua astuzia e per la fitta rete di complici e fiancheggiatori che aveva organizzato, arrivando a conoscere ogni ricchezza e trasportata come e da chi, fra quelli che si recavano al porto di Brindisi o viceversa di quelli che percorrevano la strada al contrario verso la capitale. Bulla incarnava la figura del bandito gentiluomo, giacchè mai ricorreva all’omicidio, e una parte del suo ricavato veniva donato alle persone che vivevano nell’indigenza, quando si trovava a rapire degli artigiani, per esempio, si serviva del loro lavoro, dopo di che li liberava non prima di averli giustamente ricompensati, la sua clemenza gli garantì l’appoggio della popolazione, il che gli consentì di sfuggire alla cattura per oltre due anni.

Gli aneddoti più rinomati riguardo le gesta di Bulla Felix ci vengono descritte dallo storico Cassio Dione, che ce lo dipinge come un maestro dell’inganno, per esempio, quando due elementi della sua banda vennero catturati, Bulla si travestì da governatore provinciale e recandosi nel carcere dove erano detenuti chiese due elementi con caratteristiche fisiche particolari per eseguire alcuni lavori, naturalmente le caratteristiche coincidevano con quelle dei suoi compagni, ragion per cui riuscì a farli liberare. In un’altra occasione. Bulla travestito per non farsi riconoscere, svelò ad un centurione dove si trovava il bandito da loro ricercato, il centurione gli credette e cadde lui stesso in un agguato nel quale Bulla comparve vestito come un giudice sentenziando che al centurione venisse parzialmente rasata la testa come era in uso per gli schiavi. Il centurione venne poi liberato con l’impegno di riferire ai suoi superiori di non affamare troppo i loro schiavi affinchè anch’essi non si fossero tramutati in briganti. Dopo due anni di latitanza Bulla venne infine catturato da un tribuno militare, incaricato dall’Imperatore in persona, con la minaccia di essere messo a morte in caso di fallimento. Proprio dall’amante di Bulla, il tribuno venne a sapere che il bandito si nascondeva in una grotta in Liguria, fatto prigioniero venne condotto dal prefetto del pretorio Papiniano che lo interrogò, e alla domanda “Perchè sei diventato bandito?”, Bulla rispose “E tu perchè sei diventato prefetto?” lasciando così intendere in modo ironico che Papiniano fosse un bandito come lui. Bulla Felix venne condannato a morte per esposizione alle belve, dopo di che la sua banda si disperse in modo definitivo.

credits to:

https://www.romanoimpero.com/2018/06/criminalita-romana.html

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.