Gli Equites


Gli Equites Romani.
Gli Equites Romani.

Appartenenti ad un ordine sociale e militare basato principalmente sul censo, gli Equites (letteralmente “cavalieri”), erano in epoca monarchica dei semplici soldati a cavallo. La loro costituzione sembra che sia stata voluta da Romolo in persona il quale fece eleggere dalla curia 300 cavalieri, divisi in tre “centuriae”, una centuria per ognuna delle gentes originarie, e cioè Ramnes, Tities e Luceres. Il terzo Re di Roma, Tullo Ostilio, a queste tre “centuriae” aggiunse dieci “turmae” di cavalieri Albani. (la “turmae” era la decima parte di un’ala di cavalleria, ed era composta da 30 soldati a cavallo). Il numero degli Equites ammontava ora così a 600 cavalieri.
Tarquinio Prisco, non soddisfatto tentò dal canto suo di raddoppiare gli esponenti dell’ordine equestre, ma Servio Tullio, con l’istituzione dei Comitia centuriata, riorganizzò l’intero esercito e quindi anche gli equites, formando dodici nuove centurie composte dai cittadini più ricchi, e in più organizzò altre sei centurie dalle tre originarie create da Romolo, di origine patrizia, per un totale di diciotto centurie così formate da 3600 equites.

Gli equites ricevevano dallo stato un cavallo, che veniva perciò detto “equus publicus”, oppure l’Aes equestre, consistente in 1.000 assi, che erano presso a poco i soldi necessari per acquistarne uno, più l’Aes hordearium, ovvero una somma annuale di 200 assi, sufficienti per il mantenimento dello stesso. Tito Livio riferisce che durante l’assedio di Veio, alcuni cittadini benestanti, che non facevano parte degli equites ma avevano abbastanza denaro per mantenere un cavallo, si arruolarono volontari con un cavallo preso a loro spese; Roma li ripagò così con una somma di denaro per aver servito con i propri cavalli. I soldati di fanteria avevano iniziato a ricevere una paga solo da pochi anni, ma la paga dei nuovi equites venne stabilita nel triplo. Le classi di equites divennero così due, e si distinguevano in: “equites equo publico”, mentre la seconda, composta da ricchi volontari, era detta degli equites Romani.
La struttura degli Equites andò via via consolidandosi nel periodo repubblicano. Gli equites che ricevevano un cavallo dallo stato, venivano sottoposti a ispezioni periodiche da parte dei censori, i quali avevano il potere di togliere loro il cavallo e ridurli alle condizioni di un soldato stipendiato di fanteria nonché di assegnare l’equus publicus a un cavaliere che aveva finora servito con un cavallo a sue spese e si era dimostrato valoroso. A proposito di questo, i censori, durante il loro mandato, tenevano un’ ispezione pubblica, detta “Equitum Recognitio”, nel Foro. Per l’occasione gli equites delle varie tribù si schieravano in ordine, e ognuno di loro veniva chiamato per nome e doveva sfilare a piedi davanti ai censori, i quali potevano giudicare l’equipaggiamento incompleto, o il cavaliere indegno, e sequestrargli il cavallo, obbligandolo a rifondere le spese del mantenimento allo stato. In questa rassegna delle truppe, gli equites che intendevano ritirarsi dal servizio, o avevano passato i limiti di età facevano davanti ai censori un resoconto delle campagne a cui avevano partecipato e delle azioni compiute, venendo così congedati con onore o con disonore.

Fino al II secolo a.C., le centurie equestri venivano inquadrate all’interno dell’esercito romano, e l’unica vera divisione che vigeva a Roma era quella fra patrizi e plebei, ma nel 123 a.C. la Lex Sempronia, introdotta da Gaio Sempronio Gracco, introduceva tra le due classi una terza, l’Ordo Equestris. La legge stabiliva che i giudici dovessero essere scelti tra i cittadini di censo equestre; il termine equites, perciò, dall’iniziale identificazione dei soldati a cavallo, passò prima a indicare chi quel cavallo aveva o aveva la possibilità di acquistarlo e poi chi aveva la possibilità di essere eletto come giudice. La Lex Sempronia venne successivamente smentita dalla Lex Aurelia, nell’80 a.C., venne così proibito agli Equites di essere eletti giudici, mantenendo tuttavia il loro prestigio e la loro ricchezza attraverso il ruolo dei Pubblicani, gli esattori delle imposte, ruolo che divenne naturale per gli equites nella tarda età repubblicana. I termini Pubblicano ed Equites erano diversi nella pronuncia, ma praticamente identici nel ruolo.
Nel 63 a.C., con la Lex Roscia, il tribuno della plebe Lucio Roscio ottenne per gli appartenenti alla classe equestre il privilegio di sedere nei primi quattordici posti davanti all’orchestra. Dopo questa, altre leggi restituirono all’ordo equestris le prerogative che Silla in precedenza aveva loro tolto; venne dato loro il diritto di vestire il Clavus Angustus, e il privilegio di indossare un anello d’oro, prima ristretto ai soli equites equo publico.

Rilievo di cavaliere romano.
Rilievo di cavaliere romano.

Tra la tarda età repubblicana e i primi imperatori romani, il numero di equites ammessi alla classe equestre, aumentò considerevolmente, mantenendo come criterio soltanto quello del censo, poiché i censori non indagarono più sulle radici familiari, che dovevano essere illustri, per decretarne l’ammissione. Nello stesso ceto equestre cominciò a serpeggiare il malcontento, sentendosi degradata come classe. Augusto cercò di rimediare a questa situazione tentando di ridare all’ordine equestre l’antico fasto. Oltre a rispolverare antiche tradizioni, Augusto formò una nuova classe di equites che dovevano avere il censo di un senatore, avevano la facoltà di indossare il latus clavius, ma ben più importante, potevano eleggere tra le loro fila sia i tribuni della plebe, sia i senatori. Come se non bastasse Ottaviano Augusto volle classificare alcuni parametri per permettere agli Equites di poter avanzare nel loro “cursus honorum”, parametri che videro la loro completa attuazione solo alcuni decenni dopo, durante il principato di Claudio.
Con il passare del tempo, l’importanza degli Equites decadde inesorabilmente fino ad arrivare al principato di Diocleziano dove ebbero solo il ruolo di guardia cittadina, sotto il comando del Praefectus Vigilum; mantenendo tuttavia, fino al tempo di Valente e Valentiniano il secondo grado in città e l’esenzione dalle pene corporali.

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