Il Culto della Bona Dea

Tra i tanti culti celebrati nella Roma antica, il culto della Bona Dea rivestiva una grandissima importanza. Le sue origini si perdono nelle nebbie dei tempi più remoti, come anche la sua identità, tutt’altro che chiara, in quanto neppure le fonti più antiche ci forniscono indicazioni, ne fisiche , ne morali.

Il culto della Bona Dea
Il culto della Bona Dea

Secondo il mito, questa figura femminile, non era altro che la moglie del Dio Fauno, molto pratica nelle attività domestiche, e talmente pudica da rimanere sempre confinata entro le mura della sua abitazione, tanto da non ammettere alla sua presenza, altro uomo all’infuori del marito. Sempre secondo la tradizione, un giorno, la giovane si imbattè in una brocca di vino,e non potendo resistere, ne bevve qualche sorso e si ubriacò, fino a quando il marito, ritrovandola in preda ai fumi dell’alcool, la punì percuotendola con verghe di mirto fino ad ucciderla. La sua storia insieme a quella del marito Fauno, si radica quindi ai territori del Latium Vetus, dove poi affonderanno le origini  della dinastia Giulio Claudia.

Almeno nella fase più antica, tale divinità viene associata a Fauna, moglie di Fauno e Dea dei boschi, in grado di predirre il futuro in favore di Roma, e del suo benessere. Con il passare dei secoli però, tale tradizione si legò probabilmente al culto della Dea Damia, di provenienza greca, attraverso i contatti, sempre più continui con i territori della Magna Grecia, e in particolare con la città di Taranto,  un culto ora più coinvolto in riti misterici a cui solo le donne potevano accedervi. Il culto della Bona Dea si celebrava nei primi giorni di dicembre, in una data non prestabilita, nelle ore notturne e all’interno dell’abitazione di un magistrato “cum imperio”, un luogo dove la matrone romane, insieme alle Vestali, si riunivano per celebrare riti in favore della città. Tale rito veniva presieduto dalla moglie del magistrato, presso la cui abitazione ci si riuniva, prendendo il nome di Damiatrix, derivato dal nome greco della Dea, ma quello che realmente avveniva durante questi riti era assolutamente segreto, e proprio per questo motivo, tale culto venne definito misterico. Da quel poco che sappiamo durante la celebrazione veniva sacrificata una scrofa, mentre la sala adibita veniva adornata di tralci di vite, il tutto era accompagnato da musiche, danze e come sembra, da molto vino.

Il tempio dedicato alla Bona Dea, si trovava ai piedi dell’Aventino, nei pressi dell’estremità orientale del Circo Massimo, dove all’epoca era presente un piccolo bosco, un tempio restaurato nel tempo da Livia Drusilla, moglie di Ottaviano Augusto e più avanti ancora dall’Imperatore Adriano. Alcune fonti ci raccontano che nessun uomo poteva anche solo sostare sulla sua soglia, e che  tale struttura fosse ancora presente nel IV secolo d.C.. Questa nuova veste della Dea, passata da nume tutelare dei boschi, ad un’immagine più votata al benessere generale di stampo greco, prese presto il sopravvento in tutta la penisola italica, ma anche in altre parti dell’Impero, basti pensare infatti che alcune iscrizioni a lei dedicate sono state rinvenute in Gallia, in Pannonia e persino nel nord Africa.

Oltre alle iscrizioni sono stati ritrovati rilievi e statuette, databili fra il I e il II secolo,  che raffigurano la Dea con il capo velato, seduta su di un trono con indosso un mantello e una sorta di diadema, mentre con la mano destra sostiene una cornucopia. Nella mano sinistra invece si nota un contenitore rotondo dal quale si abbevera un serpente che scende dal suo braccio.

Il culto della Bona Dea
Il culto della Bona Dea

il culto della bona dea, lo scandalo di clodio:

Come ampiamente scritto, i riti dedicati alla Bona Dea erano severamente interdetti agli uomini, ma ci fu un caso talmente scandaloso da attraversare i secoli per giungere fino ai giorni nostri, è il caso del controverso Publio Clodio, un patrizio che divenuto plebeo per scelta per ottenere il tribunato della plebe, intratteneva una relazione con Pompea, moglie di Giulio Cesare. Nel 62 a.C., Clodio, eletto questore per l’anno successivo, era in attesa di entrare in carica e di ottenere la responsabilità finanziaria di una delle province imperiali, così, nella notte fra il 4 e il 5 di dicembre, quando si celebravano i riti dedicati alla Bona Dea, all’interno della casa di Cesare, che ai tempi era Pontefice Massimo, pensò bene di travestirsi da donna e di introdursi abusivamente nell’abitazione. Non è chiarissimo il motivo di tale assurda decisione, ma si suppone che un motivo potesse essere quello di trascorrere un pò di tempo insieme alla sua amante, lontano da occhi indiscreti, ma forse c’era anche altro come vedremo in seguito. Clodio scelse di vestirsi da flautista e si presentò sulla porta accolto da un’ancella di Pompea, a conoscenza della loro relazione. L’ancella, di nome Abra, corse ad avvisare la padrona di casa, ma nel frattempo, un’altra serva di Pompea, all’oscuro di tutto, riconobbe l’uomo e diede subito l’allarme, facendo accorrere tutte le donne presenti, compresa la madre di Cesare, Aurelia Cotta, facendolo allontanare precipitosamente.

Cicerone, in una delle lettere spedite all’amico Attico, racconta l’accaduto: Publio Clodio, figlio di Appio, è stato colto in casa di Gaio Cesare mentre si compiva il sacrificio rituale per il popolo, in abito da donna, ed è riuscito a fuggire via solo per l’aiuto di una servetta; grave scandalo; sono sicuro che anche tu ne sarai indignato.  

Tornando ai motivi che spinsero Clodio ad un gesto così grave, non convince, o comunque risulta insufficiente la sola esigenza amorosa, qualcuno già ai tempi sospettava infatti che dietro ad un simile comportamento ci potesse essere un atto di sfida nei confronti dello stesso Cicerone, che l’anno prima, da console, aveva ricevuto auspici favorevoli proprio dalla Dea. Se in un primo momento questo avvenimento non causò particolari reazioni, all’inizio del nuovo anno, il cesariano Quinto Cornificio, portò la questione al Senato che fu natualmente obbligato ad aprire un procedimento nei confronti di Clodio, mentre le Vestali annullarono quei riti in quanto profanati. Clodio, nonostante continuasse ad assumere una condotta sprezzante, venne accusato di incesto, ma non si riuscì ad incriminarlo almeno fino alla metà di aprile. Le prove contro di lui erano a dir poco schiaccianti, tant’è che l’uomo si vide costretto a spedire fuori dall’Italia, quasi tutta la sua servitù, per evitare che venisse interrogata, un espediente che però non fu sufficiente, viste le testimonianze della madre e della sorella di Cesare. Un Cesare che invece decise di non testimoniare, e che anzi, poco tempo dopo ripudiò la moglie, la quale per questo motivo, non venne ritenuta una teste attendibile. Clodio tentò di difendersi in tutti i modi, sostenendo che in quei giorni fosse fuori città, una tesi però smentita dallo stesso Cicerone, che dichiarò di averlo incontrato in strada proprio nei pressi dell’abitazione di Cesare. La sua testimonianza fu per molti inaspettata, visto che fra lui e Clodio i rapporti erano tutto sommato buoni, ma la spiegazione ce la fornisce lui stesso in un altro passaggio delle lettere all’amico Attico:Constatato quanti pezzenti erano tra i giudici, ammainai le vele e nella mia testimonianza mi limitai a deporre quello che, essendo di dominio pubblico, non si poteva passare sotto silenzio”.

Nonostante questa testimonianza potesse condurlo alla morte, Clodio, confermando quanto scritto da Cicerone, non solo riuscì ad essere assolto, corrompendo i giudici, ma addirittura ottenne la questura in Sicilia.

Credits to:

http://www.honosetvirtus.roma.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=39%3Aculto-della-bona-dea&Itemid=591

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