La Congiura di Catilina

Personaggio complesso in un’epoca agitata, Lucio Sergio Catilina è presentato dalla tradizione storica come un personaggio nobile decaduto per le sue stesse ambizioni. Fin dagli inizi della sua attività politica, Catilina aveva mostrato la sua ferocia, sia durante le proscrizioni di Silla, sia, come propretore, al governo della provincia d’Africa.
Nell’88 a.C., Lucio Sergio Catilina, agli ordini di Silla, segue il proprio generale nei territori del Ponto durante la guerra contro il Re Mitridate, occasione che forgia l’animo da soldato dell’allora giovane Catilina, ma mentre Silla era lontano da Roma, il tribuno della plebe Sulpicio Rufo, riesce a promulgare una legge che priva il generale romano di ogni comando, affidando pieni poteri al suo più grande avversario politico, Mario. E’ l’inizio della guerra civile, una guerra civile in cui Catilina si distinse per essere un fedele esecutore di omicidi a sfondo politico per favorire Silla. Quest’ultimo tornando rapidamente a Roma, vi entrò in armi e la conquistò con la forza, iniziando le terribili proscrizioni che videro cadere numerosissimi sostenitori di Mario che dal canto suo fuggì prontamente dalla città.

Lucio Sergio Catilina
Lucio Sergio Catilina

Catilina si segnala in questi anni funesti per le sue doti militari, insieme a Crasso si rivelò determinante per la vittoria finale, nella battaglia di porta Collina nell’82 a.C., che vedeva contrapposti gli uomini di Cinna, fedele sostenitore di Mario morto quattro anni prima, e appunto i sostenitori di Silla. Ed è in questa Roma completamente assoggettata da Silla, che nel frattempo era stato nominato Dittatore dal Senato, che Catilina, da fedele servitore quale era stato, raccolse i propri frutti.
Buttatosi a capofitto nella politica nel 78 a.C. è questore, nel 74 a.C. legato in Macedonia, nel 70 a.C. edile, nel 68 a.C. pretore, e nel 67 a.C., governatore in Africa. Tutto questo però accadeva in un momento di grosse mutazioni della Repubblica romana. Gradualmente Catilina si ritrovò praticamente isolato, negli anni infatti si distaccò materialmente e anche idealmente con gli “optimates” di cui faceva parte, d’altro canto i “populares” rimanevano comunque troppo lontani da lui come scuola di pensiero. In questo contesto nell’anno 66 a.C., a 42 anni di età, decide di candidarsi per il consolato dell’anno successivo. Ad opporsi alla sua candidatura però vi è l’intera casta oligarchica guidata da un abile oratore: Marco Tullio Cicerone.
Catilina non era uomo facile ad arrendersi, e lo dimostrò nel giugno dell’anno 64 a.C., quando ripresentò la propria candidatura per le elezioni del 63 a.C.. Questa volta a fermarlo furono nuovamente le abilità di Cicerone e una serie di brogli, organizzati da quest’ultimo con l’appoggio probabile di Cesare e Crasso, formalmente alleati di Catilina. Ritenendolo troppo ingombrante e pericoloso i futuri due triumviri preferirono con ogni probabilità convogliare segretamente i voti verso l’altro candidato Caio Antonio, ritenuto molto più malleabile, per non dire un vero e proprio fantoccio nelle loro mani. Il programma politico di Catilina di stampo populista, si era avvicinato molto alle posizioni dei meno abbienti, ergendosi a paladino contro l’usura e lo strozzinaggio che a Roma la facevano da padrone. Naturalmente ai personaggi più ricchi come Crasso, che sull’usura aveva creato buona parte delle sue ricchezze la cosa non piaceva affatto. Per la terza volta Catilina si candidò al consolato nell’anno 63 a.C. per la carica del 62 a.C.. Il suo programma faceva ora paura non solo agli aristocratici, ma anche agli stessi populares: era la prima volta infatti che un uomo appartenente all’aristocrazia si schierava così apertamente a favore della plebe. Ancora una volta, Catilina si vide di fronte i maneggi di Cicerone.

La congiura di Catilina in un dipinto di Joseph-Marie Vien
Cicerone in quell’anno era console, ebbe quindi la facoltà di rinviare con un pretesto i comizi proprio il giorno prima delle votazioni, posticipandoli dalla seconda metà di luglio alla prima metà di agosto. Questo significava che la campagna elettorale sarebbe durata di più, favorendo così i candidati più ricchi. Non solo: buona parte dei sostenitori di Catilina erano agricoltori delle campagne italiche, che non potevano economicamente permettersi una così lunga permanenza nell’Urbe, in attesa di poter votare. Allo stesso tempo Catilina veniva accusato a più riprese di comportamento eversivo, e come nelle occasioni precedenti risultò non eletto, a beneficio di uomini più ricchi appoggiati da Cesare e da Crasso.
A questo punto, stanco di tutte queste manovre tese a penalizzarlo, Catilina iniziò a pensare a qualcosa di più, una vera e propria congiura che sarebbe dovuta nascere con lo scopo di fare piazza pulita di tutti quei personaggi che ormai non tollerava oltre. Di questa congiura Cicerone e Sallustio, notoriamente ostili a Catilina, ci tramandano come fosse costituita dalla feccia della società romana dell’epoca, ma anche da donne da schiavi e da persone anziane. Non c’è dubbio invece che in questa impresa fossero arruolati anche cinici personaggi decisi a ricavare qualche utile dalle sommosse, tuttavia nessuno lasciò il campo di battaglia, e nessuno dei suoi soldati lo tradì nonostante il Senato per ben due volte avesse promesso premi e un’amnistia per chi avesse abbandonato le armi.
Il tradimento, invece, venne da una donna di nome Fulvia, moglie di Quinto Curio, ex senatore entrato nel gruppo dei congiurati. La donna riuscì a carpire informazioni al marito, un individuo facile alla chiacchiera, per poi rivenderle in moneta sonante a Cicerone. Venuto a sapere di ciò, Cicerone aveva ora ogni informazione per sventare questa congiura, ma gli mancavano le prove certe per poter denunciare Catilina e i suoi uomini di fronte al Senato. L’entrata in scena di Crasso tolse le castagne dal fuoco, egli infatti si recò personalmente all’abitazione di Cicerone portando con se alcune lettere, molto probabilmente redatte da lui stesso, dove veniva raccontato di una congiura dai possibili esiti sanguinosi. Il giorno dopo Cicerone ebbe buon gioco nella seduta del Senato a far approvare il “Senatus Consultum Ultimum” col quale si davano pieni poteri ai consoli. Catilina, presente, ovviamente smentì e anzi, propose di consegnarsi per gli arresti domiciliari nella casa di qualche senatore al di sopra ogni sospetto.

Nel frattempo i ribelli al seguito di Catilina, avevano stabilito il proprio quartier generale a Fiesole, guidati da Caio Manlio. Il Senato inviò truppe al comando di due generali, Quinto Marcio e Quinto Metello, rispettivamente a Fiesole nei pressi di Firenze, e nelle Puglie. La congiura era quindi scoperta, ma nonostante ciò Catilina continuava a rimanere a Roma. Ma è nella notte tra il 5 e il 6 novembre del 63 a.C., che Catilina e alcuni suoi seguaci prenderanno una decisione che si rivelerà fondamentale: Catilina avrebbe preso la strada di Fiesole, raggiungendo il suo fedele amico Manlio e i suoi uomini, mentre alcuni congiurati rimasti in città avrebbero preparato l’insurrezione della plebe.
Si giunge quindi alla leggendaria riunione del Senato dell’8 novembre dove Catilina in aperta contestazione con gli altri Senatori, si siede in disparte, lontano da tutti, ancora non sa che in quell’occasione verrà sopraffatto dalla mitica orazione che passerà alla storia, come prima Catilinaria di Cicerone.

Catilina, come deciso, fuggì in Etruria dove si ricongiunse con i suoi uomini, mentre il Senato affidò allora ai due consoli il compito di fronteggiare la rivolta: Caio Antonio ebbe l’incarico di marciare contro i ribelli, mentre Cicerone doveva rimanere a presidiare la capitale.
Da Roma partirono quindi due eserciti: uno costituito da tre legioni al comando del pretore Quinto Cecilio Metello Celere, l’altro al seguito di Antonio. Il primo si pose a guardia dei passi montani che Catilina avrebbe dovuto percorrere per ritirarsi nella Gallia Cisalpina dove contava su molti simpatizzanti, chidendogli ogni via di fuga; il secondo lo tallonava da vicino e lo spingeva verso l’Appennino per costringerlo a dare battaglia. Lo sccontro avvenne non lontano da Pistoia. Il luogo scelto da Catilina per attendere le armate di Antonio era senz’altro finalizzato ad impedire l’aggiramento delle proprie posizioni all’avversario più numeroso, e quindi in grado di allungare il fronte e di manovrare sui suoi fianchi.
Lo schieramento dei seguaci di Catilina, nonostante fosse formato solo in parte da soldati regolari, non vacillò all’urto, ma resistette valorosamente. In particolare, i feriti ed i morti venivano man mano sostituiti dalle riserve che così, invece di intervenire solo nel momento del pericolo o dello sforzo finale come voleva la tradizione militare, erano impiegate alla spicciolata per rifornire continuamente di uomini le prime file e renderle sempre salde e compatte. La situazione fu risolta tuttavia dalle coorti pretoriane dell’esercito di Roma, lanciate al centro dello schieramento nemico che non riuscì a resistere a questo ennesimo urto. Ceduto il centro dello schieramento ribelle, anche gli altri reparti si arresero, Catilina vista ormai disperata la situazione, impugnò le armi e si gettò nel folto della lotta, cadendo valorosamente. Fu trovato più tardi in mezzo ad un mucchio di cadaveri, che ancora respirava, accanto all’aquila d’argento che aveva avuto come insegna nella guerra contro i Cimbri. Il console Caio Antonio, che comandava le operazioni, non ebbe il coraggio di farlo curare per portarlo di fronte a un tribunale, e ordinò che venisse decapitato, ancora cosciente, il lugubre trofeo fu poi inviato a Roma.

Diversi anni dopo la morte di Catilina, nell’orazione “Pro Caelio” del 56 a.C., Cicerone ammetterà che Catilina aveva raccolto attorno a sé «anche persone forti e buone», offriva «qualche stimolo all’attività e all’impegno», e che in certi momenti era sembrato a Cicerone perfino «un buon cittadino, appassionato ammiratore degli uomini migliori, amico sicuro e leale». Catilina, ammetterà ancora Cicerone, «era gaio, spavaldo, attorniato da uno stuolo di giovani»; per di più, «vi erano in quest’uomo caratteristiche singolari: la capacità di legare a sé l’animo di molti con l’amicizia, conservarseli con l’ossequio, far parte a tutti di ciò che aveva, prestar servigi a chiunque con il denaro, con le aderenze, con l’opera…».

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