” Quando l’Imperatore seppe che il Senato lo aveva bandito, posto fuori legge, inseguito e ricercato – egli che pure aveva mandato a morte tanta gente – chiese quale sarebbe stata la punizione tradizionale nel suo caso. Quando seppe che doveva essere legato nudo su una forca e frustato a morte, terrorizzato afferrò la spada, ne provò la punta e, attore fino alla fine, si lasciò cadere su di essa”.
Le uniche condanne che potevano gareggiare in crudeltà con la crocifissione erano senza dubbio la damnatio ad bestias, ovvero essere gettati disarmati al cospetto di animali feroci, oppure il rogo, tuttavia la morte mediante la forca, era la più temuta e veniva maggiormente messa in risalto da molti autori latini, molto probabilmente per la lentezza dell’agonia a cui era sottoposto il malcapitato. La testimonianza più cruda è certamente legata alla morte di Gesù, in particolare nel vangelo di Luca, si fa chiaramente riferimento al fatto che i condannati (Gesù e i ladroni ai suoi fianchi) continuassero a parlare e a lamentarsi fra loro, in più gli Ebrei, che ben sapevano di dover attendere a lungo, chiesero ai romani di fratturare le ginocchia dei condannati per velocizzare la loro dipartita. In effetti la frattura degli arti era una pratica già in uso presso i romani, anche come forma di punizione indipendente, come ad esempio fece Augusto con il suo segretario, Tallo, reo di peculato.
La storia antica però ci presenta tanti altri esempi legati alla crocifissione, non per forza legati alla tradizione cristiana, esempio ne è la condanna del cartaginese Bomilcare, crocifisso dal suo stesso popolo perchè sospettato di diserzione. Le fonti ci tramandano che la sua grande resistenza fisica trasformò la sua condanna in un’arringa, dall’alto della sua croce infatti, prese a parlare a voce talmente alta da radunare una folla davanti a lui dopo di che rimproverò loro gli errori commessi, e morì solo dopo aver parlato molto a lungo. Della lentezza del supplizio vale la pena citare anche un episodio che riguarda l’imperatore Claudio: egli che a volte amava assistere alle condanne a morte, fece crocifiggere alcuni criminali, rimanendo accanto a loro quasi tutta la giornata, fino a quando, verso sera, chiamò il boia per porre fine alla loro vita. Secondo molte fonti, il condannato veniva prima fustigato e poi bendato, esattamente come avveniva per l’impiccagione, era poi posta sulle sue spalle una lunga trave di legno alle quali venivano legati i polsi alle due estremità, dopo di che veniva issato sul palo già conficcato a terra, e nuovamente fustigato. Le sofferenze del condannato erano immani, e al dolore lentamente si univa il tormento della sete.
Ma quale valore rituale va attribuito alla crocifissione? Plinio il vecchio per esempio narra di come un chiodo e una corda della croce possedessero lo stesso potere magico di un legno colpito da un fulmine, una superstizione che potrebbe essere messa in relazione col fatto che anticamente, anche alcuni altari, sui quali si facevano sacrifici agli Dei, avevano una forma a croce, supponendo quindi che la forza vitale del condannato continuasse ad aleggiare “…..arricchita dal favore della deità placata, sul legno che aveva servito di mezzo per offrire il detto sacrificio”, per usare le parole di Plinio il vecchio. Allo stesso modo, nella concezione cristiana della croce, non si è fatto che adombrare un simbolismo sacro e tanto più sacro in quanto è la divinità stessa, che sulla croce, sacrificò quanto aveva di più caro.
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