La disfatta di Carre

La disfatta di Carre avvenne il 9 giugno del 53 a.C., in conseguenza della battaglia che si svolse fra l’esercito partico guidato dal generale Surenas e fra i legionari romani alla cui testa era il ricchissimo Marco Licinio Crasso. La battaglia si svolse presso Carre (attuale città di Harran in Turchia) e per le armate romane si rivelò una delle più grosse sconfitte della sua millenaria storia.

La disfatta di Carre, busto di Marco Licinio Crasso
La disfatta di Carre, busto di Marco Licinio Crasso

La disfatta di Carre, la campagna militare:

Marco Licinio Crasso, l’uomo più ricco di Roma, e membro del primo triumvirato insieme a Cesare e Pompeo, da sempre ansioso di eguagliare il loro prestigio militare, trovò in Medioriente il modo per tentare di accrescere la propria popolarità. Fortunatamente per lui, o per meglio dire sfortunatamente visto l’epilogo dei fatti, il casus belli furono gli stessi Parti a fornirglielo a causa delle loro ataviche lotte dinastiche. Dopo la morte del Re Fraate III furono i due figli Orode e Mitridate a contendersi il regno, Orode ebbe la meglio ma Mitridate non si dette per vinto e appoggiato dagli stessi romani ne richiese l’intervento. Crasso ruppe così subito gli indugi ed entrò in territorio siriano da sud attraverso il deserto con lo scopo di sorprendere il generale dei Parti Surenas con il grosso del proprio esercito costituito da circa 32.000 legionari e da circa 4.000 ausiliari. La decisione del ricco triumviro si rivelò da subito scellerata dato che sarebbe stato molto più conveniente seguire il corso del fiume Eufrate fino alla città di Seleucia,  che avrebbe garantito all’esercito romano una continua fornitura di acqua e una certa copertura di un fianco dello schieramento in caso di aggressione improvvisa. Secondo le fonti storiche anche i suoi sottoposti spingevano per seguire questo percorso, ma Crasso, ansioso di assestare subito un colpo da K.O., preferì mantenere le proprie idee e addentrarsi sempre più nel deserto siriano. Secondo Plutarco la decisione di attraversare il deserto fu presa dopo che tre nobili Parti, presentatisi orribilmente mutilati, convinsero Crasso del loro desiderio di vendetta per le torture subite e lo consigliarono di seguire un percorso alternativo, per sorprendere le forze partiche stanziate nel deserto. Impressionato dalla crudeltà con la quale i tre erano stati torturati, Crasso seguì il loro consiglio, avventurandosi tra le sabbie, ignaro che in realtà questi nobili si erano fatti mutilare volontariamente, per tendergli un tranello. Qualunque sia stato il reale motivo di questa decisione, sta di fatto che le armate romane in territorio desertico arrancavano sempre più, e i Parti, come loro costume, si guardavano bene dallo schierarsi a battaglia in campo aperto dove avrebbero avuto la peggio, preferendo la guerriglia in cui erano assai più abili. I cavalieri parti armati dei loro temibili archi scagliavano miriadi frecce che provocavano molte perdite e molti danni fra i romani, per poi ritirarsi velocemente prima che questi ultimi potessero organizzare una qualunque contromossa. Marco Licinio Crasso non si curava di ciò, considerando anzi, la tattica dei Parti una forma di codardia accrescendo ancor di più la sua convinzione di uscirne completamente vittorioso.

La disfatta di Carre, la battaglia:

Quando i Parti si risolsero a schierarsi a battaglia, i romani erano ormai stremati dal lungo peregrinare per il deserto e dalla scarsità di acqua.  Crasso schierò inizialmente l’esercito nella classica formazione in linea con la fanteria al centro e la cavalleria sulle ali, ma poi decise di schierare il suo esercito a quadrato in una formazione difensiva contro un esercito partico formato prevalentemente da soldati a cavallo. Dopo le classiche schermaglie iniziali fra le due fanterie leggere, i Parti attaccarono per primi lanciando alla carica i temibili cavalieri catafratti che però non riuscirono a sfondare lo schieramento romano, a quel punto entrarono in scena i cavalieri parti che scoccando la loro gran quantità di frecce oltre a provocare gravi danni, indussero i romani a rompere il loro schieramento per l’attacco frontale.  Il lato sinistro dello schieramento comandato da Publio, figlio di Crasso, attaccò con tutti i propri effettivi di 1300 cavalieri gallici e 8 coorti, i veloci arcieri a cavallo parti si ritirarono, continuando a lanciare frecce, e portando l’ala nemica sempre più lontana dal resto della formazione. Poi circondarono e caricarono le truppe romane con i catafratti fino a distruggerle e ad uccidere lo stesso Publio. I romani provati dalla fatica fecero ritorno al loro accampamento dove trascorsero la notte in preda allo scoramento, e proprio in quel frangente Crasso capì che era in quel momento incapace di dare nuovamente battaglia, accingendosi ad una precipitosa fuga nella notte a costo di lasciare in mano nemica i numerosi feriti presenti nell’accampamento e che potevano rallentare la marcia. Il piano seppure molto discutibile andò in porto e i romani trovarono rifugio presso la rocca di Carre, ma qui, anzichè attendere rinforzi, contando anche sulla incapacità dei Parti di assediare una fortezza, Crasso mosse ancora i suoi uomini in direzione nord, verso l’alleato armeno, secondo Plutarco a causa di un tranello teso da un disertore di nome Andromaco. In questa occasione si consumò la rottura tra Crasso e i suoi subordinati guidati da Cassio, che stanchi e in disaccordo sulla conduzione di quella campagna militare, decisero di muovere in direzione sud est per una via più lunga ma meno prevedibile dal nemico conducendo in salvo i circa 10.000 legionari al loro seguito. Marco Licinio Crasso con il resto dell’esercito venne quasi subito intercettato e sgominato dai Parti nei pressi della città di Orfa.  Le fonti storiche ci raccontano che in seguito i feriti, lasciati nel campo romano siano stati massacrati, e che a Crasso, uno degli uomini più facoltosi della storia di Roma, sia stato versato dell’oro fuso in bocca, come punizione per la fame di ricchezze che lo aveva spinto nell’impresa.

La disfatta di Carre, conseguenze:

La prima importante conseguenza della disfatta di Carre fu naturalmente la morte di Marco Licinio Crasso, uno degli uomini più ricchi che la storia di Roma abbia conosciuto, rendendo Cesare e Pompeo Magno totalmente padroni della scena politica. Immediatamente dopo, i Parti, forti del grande successo, invasero i territori romani fino alla Cilicia, assediando Cassio ad Antiochia. Nell’occasione i rinforzi romani guidati da Cicerone giunsero in tempo disperdendo i nemici oltre l’Eufrate, le guerre fra romani e parti si susseguirono poi a più riprese nell’arco dei secoli seguenti fino all’avvento degli Arabi.

La disfatta di Carre, la riconsegna delle insegne perdute da Marco Licinio Crasso
La disfatta di Carre, la riconsegna delle insegne perdute da Marco Licinio Crasso

In seguito Ottaviano Augusto divenuto Princeps, mentre progettava l’invasione della Germania, per evitare di trovarsi impegnato su troppi fronti, stipulò un accordo con i Parti per stabilizzare il confine orientale. Questo accordo venne siglato nel 17 a.C., e prevedeva la riconsegna delle insegne delle legioni perdute da Crasso e la restituzione di tutti i prigionieri romani caduti nella mani dei Parti, ma di quei prigionieri si perse ogni traccia. A tal proposito è ormai famosa la teoria per cui la disfatta di Carre aprì la strada alle prime relazioni sino-romane. Secondo Plinio, infatti, nel 52 a.C., 10.000 prigionieri romani furono deportati dai Parti affinché aiutassero la guarnigione di guardia al confine orientale dell’Impero, da dove in seguito sarebbero entrati in contatto con la dinastia cinese degli Han, prestando servizio come mercenari e stanziandosi nela zona del Liqian dove avrebbero lasciato importanti tracce antropologiche. Non ci sono però evidenti prove archeologiche o genetiche di un collegamento diretto tra questi villaggi e i romani o addirittura ai legionari di Carre.

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