La disubbidienza di Quinto Fabio Massimo Rulliano

La disubbidienza di Quinto Fabio Massimo Rulliano rappresenta un atto di rifiuto avvenuto nel contesto della seconda guerra sannitica, quando il generale romano non rispettò una precisa direttiva del dittatore Lucio Papirio Cursore che aveva il comando assoluto delle operazioni.

Quinto Fabio Massimo Rulliano, di nobilissime origini e appartenente all’antica Gens Fabia, fu un politico e militare romano, console per ben cinque volte e grande eroe della seconda guerra sannitica.

L'atto di disubbidienza di Quinto Fabio Massimo Rulliano
La disubbidienza di Quinto Fabio Massimo Rulliano

LA DISUBBIDIENZA DI QUINTO FABIO MASSIMO RULLIANO, L’AVVENIMENTO INCRIMINATO:

La prima apparizione del generale romano nei documenti ufficiali lo vede già nel 324 a.C., nei panni di magister equitum, ovvero comandante della cavalleria e vero braccio destro del “Dictator”, Lucio Papirio Cursore. Proprio in quell’anno il generale romano ottenne una brillante vittoria sui Sanniti a Imbrinium, nei dintorini dell’odierna Frosinone, ignorando però il preciso ordine di Cursore, che nel frattempo aveva fatto rtorno a Roma e che gli aveva intimato di evitare ogni attacco al nemico. Rulliano ben consapevole di aver disubbidito ad un preciso ordine, attese il ritorno del dittatore all’accampamento, e temendone la punizione decise di chiedere la protezione dell’esercito. Una volta intuito però che a poco gli sarebbe valsa la protezione dei suoi soldati, Quinto Fabio Massimo Rulliano fuggì di nascosto dal campo e cercò rifugio a Roma, sperando nell’appoggio del Senato. Questo gesto servì però solo ad adirare maggiormente Lucio Papirio Cursore, che in modo ancor più determinato, tornò ancora una volta a Roma, deciso più che mai a punire il suo braccio destro. Il dittatore chiese con fermezza che il Senato punisse severamente Rulliano per disubbidienza agli ordini, e la stessa cosa ripetè anche davanti all’assemblea popolare, convocata dal padre di Rulliano, Marco Fabio Ambusto, mediante la procedura della “provocatio”, anche lui già tre volte console. Papirio Cursore si alzò in piedi sostenendo l’accusa quasi da solo, anche perchè buona parte del Senato, i tribuni e il popolo che assisteva appoggiavano apertamente Rulliano, che comunque aveva ottenuto una grande vittoria. Grande effetto ebbe anche l’appassionata difesa di Marco Fabio Ambusto in favore del figlio, ma il grosso dilemma era soprattutto rappresentato dall’affievolirsi del principio dell’autorità assoluta di cui il dittatore era stato investito, nel caso in cui Rulliano l’avesse passata liscia, il  che costituiva un fondamento essenziale dell’efficienza militare romana. Al termine di tutto, il padre di Rulliano si gettò ai piedi di Papirio supplicandolo in tutti i modi di perdonare il peccato del figlio, e questi, visto anche l’appoggio che gli davano i tribuni e il popolo, non potè fare altro, anche se molto mal volentieri,  che accordare la grazia, ammonendo però allo stesso tempo che la mancanza di un’adeguata punizione per un reato così grave, avrebbe costituito un pericoloso precedente, di cui le generazioni future avrebbero chiesto il conto. Tito Livio ci racconta così le sue parole:

«Sta bene, o Quiriti: ha vinto la disciplina militare, ha vinto la maestà del comando supremo, che avevano rischiato di perire in questa odierna giornata. Quinto Fabio, che ha combattuto contro gli ordini del comandante in capo, non viene assolto dal suo reato ma condannato per il crimine commesso, viene graziato per riguardo al popolo romano e alla potestà tribunizia, che ha elevato suppliche in suo favore, e non per intercessione legale. Vivi, Quinto Fabio, fortunato più per il consenso unanime della città nel proteggerti che per la vittoria di cui poco fa esultavi; vivi, malgrado aver osato compiere un’azione che neppure il padre  ti avrebbe perdonata, se si fosse trovato al posto di Lucio Papirio. Con me potrai riconciliarti, se vorrai. Al popolo romano cui devi la vita, miglior ringraziamento sarà che tu tragga chiaro insegnamento da questa giornata che, sia in guerra, sia in pace, tu devi sottometterti alla legittima autorità.»

La disubbidienza di Quinto Fabio Massimo Rulliano
La disubbidienza di Quinto Fabio Massimo Rulliano

 LA BRILLANTE CARRIERA DI RULLIANO:

Dopo questo inconveniente, Quinto Fabio divenne console per la prima volta nel 322 a.C., affiancato dal collega Lucio Fulvio Corvo, mentre Cornelio Cosso Arvina venne nominato dittatore per condurre la guerra contro i Sanniti. Nel 315 a.C., fu invece lo stesso Quinto Fabio Massimo Rulliano ad essere nominato “Dictator”, assediando con successo la città sannita di Saticula, perdendo però nell’assalto il suo magister equitum, Aulio Cerretano, riportando comunque subito dopo un’entusiasmante vittoria nella battaglia di Lautulae, mentre conduceva l’esercito all’assedio di Sora. Nel 310 a.C., ottenne per la seconda volta il consolato, affiancato da Gaio Marcio Rutilo Censorino, a Rulliano toccò la gestione della guerra con gli Etruschi, mentre a Gaio toccò quella contro i Sanniti. Anche in questa occasione Quinto Fabio si rese celebre quando portò soccorso alla città di Sutri, già assediata dagli Etruschi. Mentre si trovava nei dintorni dei monti Cimini, l’esercito romano si imbattè in una colonna di soldati nemici che riuscì a sconfiggere grazie ad una migliore posizione sul campo, Tito Livio ci racconta i fatti:

«Di lì, quasi disarmati e ridotti a mal partito dalle ferite, (gli Etruschi) si rifugiarono nella selva Ciminia. I Romani, dopo aver massacrato parecchie migliaia di Etruschi e aver loro sottratto trentotto insegne militari, si impadronirono anche dell’accampamento nemico, raccogliendovi un grosso bottino. Fu allora che si iniziò a pensare al modo di dare la caccia al nemico.»

Gli Etruschi reduci dal primo scontro, trovarono protezione addentrandosi nelle vicine foreste, approfittando anche del fatto che i romani, non conoscendo bene quei territori, erano restii ad inseguirli. Una volta però, ottenuta la preziosa alleanza con gli Umbri, gli uomini di Rulliano, meno preoccupati di subire imboscate, si decisero ad incalzare gli Etruschi all’interno delle foreste entro le quali si erano rifugiati e ne fecero grande strage. Gli Etruschi però, nonostante questa sconfitta, non si diedero per vinti e con l’aiuto di qualche città umbra alleata, radunarono un nuovo esercito che non tardò ad accamparsi nei pressi di Sutri, non lontano dal campo romano. Il mattino seguente Quinto Fabio Rulliano fece silenziosamente uscire il suo esercito alle prime luci dell’alba, e diede immediatamente l’ordine di attacco, i nemici colti così di sorpresa vennero ancora una volta annientati. Se dal canto suo, Rulliano otteneva grandi successi, lo stesso non si poteva dire del suo collega nei confronti dei Sanniti, Gaio Marcio Rutilo Censorino infatti aveva rimediato una cocente sconfitta in una battaglia campale, rimanendo egli stesso ferito, ragion per cui il Senato ritenne di dover nominare un dittatore che prendesse in mano la situazione, e scherzo del destino, la scelta ricadde nuovamente su Papirio Cursore, ancora memore delle vecchie ruggini che lo contrapponevano a Rulliano. Tito Livio ci racconta il dignitoso dissenso del console riguardo questa notizia:

«Quando gli ambasciatori arrivati al cospetto di Fabio gli ebbero comunicato la decisione del senato, descrivendola con parole all’altezza dell’incarico ricevuto, il console abbassò gli occhi a terra e si allontanò silenzioso dai delegati,che non avevano idea di che decisione avrebbe potuto prendere. Poi, nel silenzio della notte (come tradizione vuole), nominò dittatore Lucio Papirio. Quando gli inviati lo ringraziarono per aver piegato al meglio la propria disposizione d’animo, Fabio rimase ostinatamente in silenzio, e senza fornire risposta o commenti al suo gesto, licenziò gli inviati, perché fosse chiaro che grande dolore il suo animo stesse soffocando.»

In quell’anno Fabio Rulliano ebbe nuovamente la meglio sugli Etruschi nella battaglia di Perugia, una vittoria che gli valse il trionfo e la rielezione a console per l’anno successivo in compagnia di Decio Mure. Nel 304 a.C. ottenne la carica di censore, riportando i nulla tenenti all’interno delle quattro tribù cittadine, dopo che anni prima, Appio Claudio Cieco, li aveva redistribuiti tra tutte le tribù rurali e urbane esistenti, sempre Tito Livio ci racconta che questa decisione riportò la concordia in città, e valse a Quinto l’attribuzione del nome di Massimo.

Quinto Fabio fu console altre due volte, nel 297 a.C., e nel 295 a.C., sempre in compagnia di Decio Mure, a conferma di un sodalizio che aveva sempre funzionato  con grande armonia fra i due. In occasione dell’ultimo consolato però questo equilibrio si spezzò, probabilmente a causa delle loro classi sociali di provenienza, e i due non riuscirono a trovare un accordo su come gestire i fronti di guerra. Dopo aver consultato il Senato, il comando venne affidato a Fabio Rulliano e inizialmente Decio Mure venne inviato nel Sannio, ma siccome la situazione in Etruria stava diventando sempre più esplosiva, i due consoli ritennero più opportuno far convergere entrambi gli eserciti su quel fronte. Durante la violenta battaglia di Sentino il console Publio Decio Mure fu il protagonista della riscossa romana, grazie al suo sacrificio mediante il rito della “devotio”. La battaglia si risolse ancora una volta a favore dei romani e dei loro alleati Piceni.

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