La Legione romana in battaglia

La Legione romana in battaglia, si schierava sul terreno in un muro di scudi, gli uomini ben piantati a terra, magari dopo aver formato una testudo, assorbono il disordinato impatto delle orde barbariche, dopo di che passano al contrattacco facendo a pezzi il nemico. Questa è per sommi capi, come il cinema, e l’immaginario collettivo, hanno sempre dipinto la legione romana in battaglia, beh! niente di più sbagliato, vediamo il perchè.

Le fonti antiche, tanto per cominciare, ci offrono un quadro ben diverso, un contesto nel quale sono le legioni romane ad iniziare l’attacco, scagliandosi con furore sul nemico. Purtroppo però, va anche sottolineato come queste fonti, non siano sempre chiare e precise  su come la legione romana in battaglia si comportasse effettivamente, lasciando quindi spazio alle tantissime interpretazioni che gli studiosi hanno ipotizzato negli anni. Questo problema si fa poi ancora più rilevante quando viene trattato il comportamento dell’esercito manipolare del periodo repubblicano, dovendo fare affidamento esclusivamente sugli scrittori dell’epoca come Polibio, o come lo stesso Giulio Cesare, naturalmente imparziale fino ad un certo punto….Ipotesi più recenti messe in piedi da storici contemporanei, ci aiutano forse a comprendere meglio la questione.

La Legione romana in battaglia
La Legione romana in battaglia

LA LEGIONE ROMANA IN BATTAGLIA, LE FONTI ANTICHE:

Polibio scriveva che i romani:

” Caricavano il nemico lanciando il loro grido di guerra e sbattendo le armi contro lo scudo, secondo il loro costume.” 

Contrariamente a quello che si è sempre visto nei film e in alcuni documentari, è ormai accertato che l’esercito manipolare di epoca repubblicana, ma in seguito anche quello formato dalle coorti, non rimaneva fermo in attesa dell’attacco nemico, viceversa erano proprio i romani ad aggredirlo, inizialmente al passo, coprendo poi solo gli ultimi metri di corsa, dopo aver scagliato il famigerato pilum contro le prime file avversarie. Questo atteggiamento particolarmente aggressivo sul campo di battaglia, è confermato anche dallo stesso Giulio Cesare nei suoi commentari, che poi avrebbero costituito il “De bello gallico” e il “De bello civili”. Il conquistatore delle Gallie, nello specifico,  ci racconta come durante una battaglia contro gli uomini di Ariovisto, i suoi uomini si scagliarono con una tale irruenza sul nemico che non vi fu ne il tempo ne lo spazio necessario per lanciare il pilum. Sempre Cesare ci scrive un altro aneddoto, questa volta  sulla battaglia di Farsalo, che lo vedeva impegnato contro Pompeo Magno, egli infatti si meraviglia di come il suo avversario non facesse avanzare le proprie coorti:

 “Tra le due schiere vi era rimasto solo lo spazio che bastava ai due eserciti per venire all’attacco. Ma Pompeo aveva precedentemente detto ai suoi di aspettare l’assalto di Cesare e di non muoversi dalla posizione e di lasciare che l’esercito di Cesare si scompaginasse”. 

Successivamente il condottiero romano scriverà di come fosse stata fatta quella scelta al fine di portare una novità tattica sul campo che potesse mettere in difficoltà i suoi uomini, egli infatti ci dice che:

“Sperava che trattenendoli sulle loro posizioni, i giavellotti sarebbero caduti con danno minore di quello subito andando incontro ai proiettili scagliati; nello stesso stesso tempo sperava che i soldati di Cesare venissero fiaccati dalla distanza doppia che dovevano coprire di corsa”.

La scelta che poi si rivelò sbagliata di Pompeo, viene ancora analizzata da Cesare che ancora una volta, in maniera molto lucida, sottolinea:

“….sembra che Pompeo abbia fatto ciò senza nessuna ragione, poiché per natura sono innati in tutti l’entusiasmo e l’esuberanza che vengono accesi dal desiderio di battaglia. I comandanti non devono reprimerli, ma potenziarli; e non invano nell’antichità si stabilì che le trombe squillassero da ogni parte e tutti quanti levassero grida; si pensò di atterrire con questi mezzi i nemici e di incitare i propri soldati”.

Appare quindi fin troppo chiaro, come l’atteggiamento remissivo di Pompeo costituisse una rara eccezione nel comportamento della legione romana in battaglia, in poche righe Giulio Cesare ci ha tramandato, anche se forse in modo non molto imparziale, qual’era l’atteggiamento tenuto dai soldati  sul campo. Abbiamo detto dell’eccezionalità della misura adottata da Pompeo contro Cesare, ma probabilmente l’ex triumviro fu incoraggiato da un precedente creato qualche decennio prima.  Plutarco infatti ci racconta che già Gaio Mario ad Aquae Sextiae adottò una tattica di attesa contro i temibili Cimbri, ottenendo nell’occasione un esito molto positivo, ma anche in quel caso venne messo in luce di come non fosse consuetudine dell’esercito romano una simile tattica di attesa.

Questo modo di combattere non era tipico delle epoche più antiche, anche in età imperiale è attestata l’aggressività romana durante gli scontri armati, un valido esempio di ciò ce lo offre Cassio Dione, quando narrando della battaglia della strada Waitling, fra Svetonio Paolino e la regina degli Iceni, Boudicca, nel 60 d.C., racconta di come i due schieramenti si avvicinarono gli uni agli altri. I barbari, disordinati e rumorosi, i romani al passo e silenziosi, finchè al momento convenuto, questi ultimi aumentarono visibilmente l’andatura e caricarono il nemico al massimo della velocità, riuscendo a scompaginare le fila avversarie al primo impatto.  A conferma di tutto quanto già detto, vi è l’armamento stesso del legionario, ovvero lo scutum e il gladio, indici di un tipo di combattimento molto più dinamico e mobile, fatto per attaccare e cercare lo scontro ravvicinato, un armamento in totale contrapposizione a quello della falange, adottata in età règia, e molto più incline ad assorbire prima gli urti dei nemici. Proprio quest’ultima considerazione trova riscontro nella costituzione dei Triarii di epoca repubblicana, una evidente reminescenza di quell’epoca,  che costituivano una preziosa riserva dietro i quali potevano ricompattarsi le prime linee di hastati e princeps, se i loro attacchi non fossero andati a buon fine.

LA LEGIONE ROMANA IN BATTAGLIA, il lancio del pilum, e la mancanza di spazio:

Come abbiamo visto, è ormai assodato che i legionari lanciassero il loro pilum, in corsa, poco prima di impattare il nemico, viene però da chiedersi come avrebbero potuto eseguire questo movimento, mantenendo la minima distanza fra i vari manipoli, che come sappiamo erano schierati a scacchiera. Da alcune prove effettuate pare  sia emerso che un legionario avrebbe avuto bisogno di più spazio, rendendo di fatto impossibile quanto teorizzato da alcuni studiosi, e cioè che gli spazi lasciati vuoti dalla prima linea venissero riempiti da quelli della seconda. Alcune ricostruzioni tendono però a fornire un’interessante teoria secondo la quale, quegli spazi fossero riempiti non dalle seconde linee, bensì sempre dalla prima, in quanto il movimento stesso di ciascun legionario porterebbe quest’ultimo a coprire uno spazio maggiore, occupando quindi in modo omogeneo l’intero fronte.

Credits to:

https://tribunus.it/2020/09/11/la-legione-romana-in-battaglia/

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