Le Avvelenatrici che spaventarono Roma

Uno dei primissimi casi di donne nobili che ricorsero al veneficio per i loro scopi, e che fece epoca, passò alla storia come le avvelenatrici che spaventarono Roma, e avvenne nel 331 a.C., quando un gruppo di cortigiane vennero sospettate di aver ucciso diverse personalità di spicco della società, inclusi i propri mariti e amanti.

Le Avvelenatrici che spaventarono Roma
Le Avvelenatrici che spaventarono Roma

Secondo Tito Livio, in quell’anno, diverse personalità in vista trovarono la morte nelle medesime circostanze,  Le matrone, vennero smascherate da una schiava, che riferì tutto ciò che sapeva all’edile  Quinto Fabio Massimo, e dalle indagini che seguirono, si scoprì  effettivamente che alcune nobildonne erano in possesso di sostanze alquanto sospette. Grazie alle delazioni della schiava, alla quale venne garantita protezione (un pò come ai pentiti di mafia oggi), il magistrato risalì a decine di matrone romane potenzialmente coinvolte nei fatti. Tra queste risaltano tali Sergia e Cornelia, colte  in flagrante. Le due donne si difesero, affermando che le sostanze preparate, altro non erano che medicinali contro l’epidemia di peste che flagellava Roma in quegli anni. Per provare  così  la loro innocenza, venne chiesto alle due donne di bere ciò che avevano appena preparato, il risultato fu quello di una rapida morte fra atroci spasmi. Prese dal coraggio, anche perchè le ancelle delle donne già smascherate iniziarono a fare diversi nomi,  altre schiave denunciarono altri episodi che permisero di individuare oltre un centinaio(!!),  di assassine, tutte vennero condannate a morte dopo quello che noi oggi chiameremmo un maxi-processo. Ovviamente visto i tanti secoli che ci separano dai fatti, è impossibile stabilire quante persone eliminarono le avvelenatrici che spaventarono Roma, anche perchè proprio in quegli anni la città era vessata da un’epidemia mortale, i cui sintomi erano difficilmente distinguibili da un avvelenamento, le scarse conoscenze dell’epoca fecero il resto. Che gli uomini temessero veramente di essere avvelenati è testimoniato anche da una frase che era solita ripetere Catone: “Non c’è adultera che non sia anche avvelenatrice”.  L’episodio del 331 a.C., non fu comunque isolato, fra il 184 e il 180 a.C., un’altra strana epidemia divampò in città, richiedendo un intervento immediato del Senato. Questa misteriosa piaga fu talmente grave che per tre anni a Roma si faticò a trovare uomini per le legioni, sempre Tito Livio ci tramanda che trovarono una morte prematura, il console Caio Calpurnio, il pretore Tiberio Minucio e molti altre personalità illustri. Tuttavia i romani, avendo memoria di quanto successo nel 331 a.C., non si persero d’animo, e il Senato diede mandato al nuovo pretore, Caio Claudio, di condurre un’indagine per avvelenamento. La morte del console infatti non era passata inosservata, e apparve da subito molto strana, con la moglie subito sospettata dell’accaduto. Quarta Ostilia, questo il nome della moglie, pare che avesse agito per favorire l’elezione al consolato al figlio di primo letto, Flavio Flacco, che già tre volte si era visto respingere la candidatura. La posizione della donna si fece ancora più sospetta quando effettivamente Flacco venne eletto, contribuendo così alla sua condanna. Al termine delle indagini furono circa 2.000 le donne sottoposte a processo e poi condannate a morte per il reato di veneficio.

LE AVVELENATRICI CHE SPAVENTARONO ROMA, lUCUSTA:

Una delle donne più conosciute dell’antichità e dedita alle conoscenze venefiche, era senza dubbio Lucusta. Lucusta era una ragazza originaria della Gallia, e giunta a Roma, probabilmente come schiava, e gli avvenimenti che la riguardano risalgono al I secolo d.C.. La sua figura rimane ammantata dal mistero e avvolta dalla vaghezza dell’epoca, persino il suo nome è probabilmente sprofondato fra le nebbie dei tempi, Lucusta non è altro che un soprannome e di lei è giunta ai nostri giorni una fama sinistra., ma la sua istruzione, quasi sicuramente tramandata dai Druidi, la fece diventare una vera autorità in pozioni magiche ed elisir, e sul Palatino, nell’emporio che gestiva, era possibile reperire una gran quantità di sostanze e intrugli, utili per togliere di mezzo silenziosamente le inconsapevoli vittime. Annoverata di diritto fra le avvelenatrici che spaventarono Roma, Lucusta, viene menzionata anche nelle satire di Giovenale grazie alle sue “imprese”, che riguardarono anche alcune fra le personalità più importanti dell’epoca. Agrippina minore si rivolse a lei per avvelenare l’imperatore Claudio, caduto  vittima nel 54 d.C., dopo aver mangiato alcuni funghi alterati e reperiti proprio da Lucusta. Sempre al suo discutibile talento si rivolse anche Nerone, per eliminare l’ingombrante Britannico, in seguito lo stesso Nerone graziò la donna sulla quale pendeva una condanna a morte dopo la dipartita di Claudio, e probabilmente fu sempre lei che fornì all’imperatore una sostanza per togliersi la vita a seguito della sua fuga da Roma, dopo la rivolta del 68 d.C.. ma si ritiene che furono molteplici le sue vittime che direttamente o indirettamente trovarono la morte per le sue oscure conoscenze. Fra i protagonisti della rivolta del 68 d.C., vi era Galba, che poi subentrò a Nerone, il quale fece brutalemente giustiziare Lucusta, non prima però di averla fatta trascinare in catene per le vie della città. Come sia effettivamente morta la donna, e quali siano state le vicende che effettivamente la coinvolsero, resterà per sempre un mistero consegnato alla storia, in ogni caso Lucusta attraversa i secoli come prima assassina seriale documentata, forse la prima di una lunga scia di sangue arrivata fino ai nostri tempi e che continua a sucitare grandi attenzione.

Le Avvelenatrici che spaventarono Roma
Le Avvelenatrici che spaventarono Roma

Ma dopo tutto questo possiamo affermare che le matrone romane fossero delle avvelenatrici seriali? Di sicuro non è semplice dare la giusta lettura dei fatti, dopo tanti secoli. Certo ogni donna era molto esperta nella preparazione di cure di vario tipo, fino a procurare un aborto, vietato dalla Lex Cornelia, in quanto ritenuto una minaccia per l’autorità del pater familias, alla quale ogni donna era giuridicamente sottosposta. Il tutto semmai, dimostra un problema fra i due sessi, acuito dal fatto che le donne sapessero maneggiare con destrezza certe sostanze, e che per questo erano dagli uomini molto temute.

Credits to:

https://www.vanillamagazine.it/

https://fivedabliu.it/2018/11/19/a-roma-i-maxi-processi-alle-avvelenatrici/

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